Caracalla, guerra da sovrintendente

Si combatte sui ruderi. Dopo l'estate il Ministro Ronchey aveva revocato la concessione triennale, rinnovata l'anno scorso in "zona Cesarini" da Andreotti, ministro ad interim, delle Terme di Caracalla alla stagione estiva del Teatro Dell'Opera. Quest'ultimo ha fatto ricorso al TAR, che ha sospeso l'efficacia del provvedimento. Assistito dall'Avvocato dello Stato Giorgio Ferri, il Ministero ha fatto appello Consiglio di Stato, la corte suprema dei conflitti fra amministrazioni, sostenendo che la concessione triennale delle Terme al Teatro era subordinata alla rigorosa osservanza delle disposizioni della Soprintendenza e alla ricerca di una soluzione alternativa. Quest'ultima esigenza sembra rimasta lettera morta, insieme progetto di una platea per 12.000 persone nel comprensorio del Mattatoio, preparato dall'Ufficio Speciale per il Centro Storico. "Noi non pensiamo proprio a soluzioni alternative. Il nostro unico obbiettivo rimane Caracalla", dichiara Giampaolo Cresci.

Soprintendente dell'Opera. Sul fronte opposto della barricata, il teatro sbandiera gli introiti dell'ultima stagione e schiera un collegio di quattro avvocati, fra i quali spicca il nome di Gioia Vaccari, una veterana della difesa dei Beni Culturali, che sottolinea l'inesistenza di danni provocati dai fuochi d'artificio e sostiene la natura di "bene culturale" della stagione estiva del teatro. Alcuni organismi sindacali gridano alla fame che la mancata realizzazione della stagione estiva farebbe incombere su 700 famiglie. IL TEMPO ha incontrato Luciano Damiani e Giorgio Muratore.

Damiani è uno dei più importanti scenografi europei, artefice delle atmosfere magiche dei più famosi spettacoli di Strehler, poi passato alla regia lirica. Da oltre dieci anni, egli vive e lavora nella capitale, dove ha realizzato, in quella meraviglia tutta romana del Monte dei Cocci, un piccolo teatro che è la logica conclusione della sua lunga pratica artistica. Damiani, qual'è il valore artistico della lirica fra le rovine?

E' sbagliato parlare di "lirica fra le rovine", come se fosse dapertutto la stessa cosa: il teatro è un luogo d'origine. Quella degli attuali spettacoli all'aperto è in un evento e in un testo molto precisi: la famosa Aida all'Arena di Verona, nel 1913, resa epocale da una congiura di circostanze: prima di tutto Aida, in cui Verdi da una descrizione, lucida ed ancora attualissima, della tragedia dei nazionalismi. L'argomento non è la vicenda sentimentale di Radamés, né quella della delicatissima figura femminile che dà nome all'opera, ma il loro soccombere ad una guerra bigotta, sanguinaria, spietata. Assurda, come tutte le guerre, antiche e moderne. E' una convinzione che si fa strada lentamente in Verdi e prende forma nelle opere della maturità, come Don Carlo e La Forza Del Destino. Poi c'è il luogo.

L'anfiteatro romano?

Appunto. Era un luogo di sterminio, di spettacolarizzazione della morte, costruito in modo tale da amplificare, ad esempio, i rantoli dei gladiatori e delle belve morenti. Ottima acustica, diremmo oggi e dissero nel '13. L'anfiteatro era adatto del resto alle scene di massa che fanno da contrappunto alla cieca tragedia dei singoli. La tradizione esecutiva si è sbilanciata, da allora, verso i trionfi, le parate. Da ultimo, l'anno: il 1913. Il più grande sterminio di massa che la storia ricordi sta per scoppiare. Testo, pubblico e momento storico sono fusi in un amalgama indissolubile e, per il 1913, moderno. Ma quello che si fa oggi mi trova piuttosto freddo. Io non lavorerei a Caracalla.

Eppure lei ha firmato tante regie nell'Arena di Verona, fra cui una famosa Aida, e continua a farlo.

Ma è una cosa completamente, assolutamente diversa: l'Arena, come Taormina, come Ostia Antica, è nata come teatro, sia pure di gladiature e di bestie. L'inserimento in essa di uno spettacolo rigidamente assiale, come quello lirico, ha creato e continua a creare i più stimolanti problemi. Caracalla invece è un sistema di palcoscenico-platea fisso, rigidamente incastrato nelle preesistenze, in modo che queste ultime facciano da fondale, proprio come un fondale di tela. La prova sono quelle quinte scenografate come "finto muro romano", che costituiscono il vero raccordo fra la scenografia degli spettacoli e lo sfondo costituito dalle Terme. Ecco, per uno scenografo quelle quinte sono il simbolo di un certo modo di far spettacolo, che è lontanissimo dal mio.

Ma in parole povere, lei è a favore o contro la stagione alle terme di Caracalla?

Di fronte al rischio anche lontano di un danno al patrimonio artistico il vero teatro dovrebbe girare la testa e guardare altrove. Esso vive di cambiamento: le difficoltà, anche quelle economiche, ne esaltano le capacità creative e l'orgoglio. Roma e' ricchissima di occasioni spettacolari affascinanti, ma anche molto complesse. In linea di principio, attorno ai miei spetttacoli io cerco la natura, non la storia. Il bello teatrale nasce nell'isolamento, nell'autonomia dal resto. Un frammento di archologia mi disturba come un rumore inatteso in mezzo ad una esecuzione musicale, per esempio di un aereo. Ora, è anche possibile creare un avvenimento, come ful l'Aida del '13, in cui la rovina archeologica, il "luogo storico", l'aereo che passa "facciano la loro parte". Bruto potrebbe parlare davanti ai Rostri. Ma lei capisce quanto sia difficile, quando si tratta di tradurre in realtà idee del genere.

Il prof. Giorgio Muratore è docente di Storia alla Facoltà di Architettura della Sapienza ed è uno dei più attenti studiosi dell'architettura romana fra le due guerre. C'è un carattere tipicamente "romano" dello spettacolo alle Terme, e qual'è?

Probabilmente quello nazional-popolare aggiunto dal fascismo al significato simbolico di questa città, cui l'aveva già in qualche modo candidata lo stato unitario. Il 1913 è anche l'anno della creazione del parco archeologico del quale le Terme di Caracalla fanno parte. L'Aida di Verona viene portata a Roma nel'19, cioé tre anni prima della Marcia su Roma, allo stadio Nazionale, quello che poi diventerà il Flaminio. Allora si parlò di 60.000 persone. Poi la stagione venne istituzionalizzata, nel '37, alle Terme, dove le rovine antiche hanno la funzione di inquadrare un rito collettivo di massa con aspirazioni culturali. Un episodio rivelatore fu la rappresentazione del Lohengrin in occasione della visita di Hitler, nel '38, per il quale anche vennero costruiti ruderi finti, nell'area del Foro Mussolini in costruzione.

Ma a Caracalla i ruderi sono veri.

Veri e finti, tenendo presente che in uno spettacolo il vero è un concetto quanto mai vacillante. Caracalla è un po' la "sorella minore" di quelle manifestazioni a grande effetto spettacolare. Anche le masse non sono più quelle "oceaniche" dei grandi spettacoli d'origine, mentre lo spettacolo è diventato più piccolo, più mediocre e più tenace, nell'aggrapparsi alle rovine antiche, quasi sentisse svanire la sua vitalità. Bisogna ricordare che una delle ragioni strutturali della sua nascita fu quella di dare lavoro agli orchestrali del teatro Dell'Opera, che d'estate si ritrovavano a spasso. Si spiegano così anche la "coazione a ripetere", le difficoltà di rinnovamento e l'assurdo spettacolo attuale di una guerra fra amministrazioni, di follia autodistruttiva, che ha il carattere di un vandalismo di Stato. Se le Terme di Caracalla appartenessero a un privato la Soprintendenza detterebbe le sue condizioni e stop. I problemi sorgono quando lo Stato si contrappone a sé stesso, trasformandosi per i beni ed i cittadini amministrati in un incubo. Anche questo è un portato del Fascismo, che creava istituzioni completamente separate e rigidamente subalterne dall'esecutivo ma dotate, nel loro piccolo, di una perniciosa inclinazione al conflitto.

Il Tempo, 26 feb 93


©Francesco Sforza