Ferro e sangue

Francesco Sforza

Qualcuno afferma che l'Arena -mai menzionata nella Commedia, a differenza di altri monumenti veronesi minori, almeno quanto alle dimensioni- venne presa a modello da Dante per la struttura stessa dell'Inferno. Certo è che nel Medioevo si diceva che una costruzione così gigantesca, che offriva facile asilo a ogni genere di malviventi, poteva essere solo opera del diavolo. E spettacolo veramente infernale essa diede il 13 febbraio 1278, quando gli inquisitori vi arsero al rogo oltre 160 eretici catturati nella vicina Sirmione.

Occasionalmente, in età comunale, la città si cura della conservazione del monumento, e dal Cinquecento senza interruzioni. L'Arena ospitò in epoca romana naumachie, feroci ludi gladiatori e massacri di cristiani; nel Medioevo "duelli giudiziari" (barbara prassi longobarda per decidere le controversie) ed esercitazioni militari; nel Rinascimento saltuariamente feste, giostre e tornei; nel Settecento anche "cacce ai tori", sorta di corride alla veneziana soppresse poi dagli austriaci. Le grandi gradinate erano sfruttate dai comici dell'Arte fin dal Seicento. E' documentata nel Settecento l'erezione, di fronte ad esse, di un teatrino smontabile di legno, che continuò a funzionare con alterna fortuna fino al 1919. Goldoni ricorda i buoni utili che la grande capienza della struttura permetteva alle compagnie. Manifestazioni musicali e opere vi si tennero per tutto l'Ottocento.

Nella seconda metà di quel secolo si andava diffondendo il gusto per gli spettacoli grandiosi. Trionfava a Parigi il grand-opéra. Davano allora forma all'Europa contemporanea avvenimenti economici e politici di dimensioni mai viste: le nazioni industrialmente sviluppate inneggiano alla guerra. Inizia l'imperialismo. Napoleone III, inventore della mitragliatrice, cerca, ancora romanticamente una morte onorevole esponendosi inutilmente a Sédan al piombo prussiano. "Col ferro e col sangue" Bismarck fonda il primo Reich. E proprio a Parigi, assediata dai prussiani, rimangono bloccati i costumi dell'Aida, pronti a partire per il Cairo. Il musicista forse più lucidamente critico delle vicende storiche della sua epoca scelse, per congedarsi dal teatro, una trama semplicissima, di origini oscure quanto mai altre sue opere, tutte nate da un testo drammatico ben riconoscibile. Sulla lacerazione fra trionfale grandiosità "alla moda" e solitaria tragedia dei singoli prende forma una delicata dialettica fra le scene di massa e i prevalenti momenti intimisti.

Sole, sangue e polvere, violenza deliberata e feroce e, sopra a tutto, il cielo stellato: ingredienti drammaturgici che sembrano aver prescritto ad Aida l'Arena; dove venne in effetti portata nel 1913, spenta la memoria diretta delle prime esecuzioni, nel centenario della nascita del profeta bussetano, dal tenore Zenatello, impresario e interprete (Radamés) insieme a sua moglie Maria Gay (Amneris). Siamo agli inizi di due tradizioni: quella degli anniversari rituali dei grandi del passato, dove spesso più del celebrato trionfa il celebrante, e quella di rappresentazioni in Arena scelte dal repertorio tradizionale a grande effetto spettacolare. L'acustica è buona nella zona centrale della platea, non troppo vicino né lontano dall'orchestra. Sulle gradinate i conoscitori scelgono la zona dietro la quale si erge ancora un frammento della costruzione più esterna, che funge da riflettore.

Sempre Aida inaugurò, l'anno seguente, una analoga tradizione romana, prima allo Stadio Flaminio, poi a partire dal '38, alle Terme di Caracalla, dove fino a qualche anno fa si continuava a costruire una gran macchina di tubi di ferro, con danni alle preesistenze archeologiche più volte lamentati dalla Soprintendenza. Né poteva valere la chiamata di correo, che i pigri amministratori romani erano soliti addurre, degli spettacoli all'Arena: questa è da sempre e a tutti gli effetti un teatro, con il posto del pubblico, quello per la scena, porte per entrare e uscire, ecc. Il paradosso è che poco lontano dalle Terme di Caracalla le strutture un tempo coperte del Colosseo restano esposte all'ingiuria del tempo per la mancanza del palcoscenico di legno...


©Francesco Sforza