L'ultimo paradigma

Francesco Sforza

I teatri sono pieni di paradossi. Alla Scala ha preso stanza nel corso degli anni un genius loci prepotente, che l'ha reso simbolo della sua cittá e luogo di fatti irripetibili, ma proprio per questo esso è stato tanto imitato da prendere, nella sintassi dell'architettura teatrale, valore di paradigma.

S. Maria della Scala era una delle 78 chiese distrutte per fare posto agli edifici pubblici di una nuova Milano imperiale e regia. Nel quadro della razionalizzazione della burocrazia e della limitazione della influenza della manomorta ecclesiastica promosse da Maria Antonietta e dal governo austriaco, il progetto dell'"architetto-funzionario" Piermarini è una misurata affermazione di modernismo. L'uniforme semplicità adottata per la decorazione della sala e il massiccio portico bugnato interpretano una tendenza del neoclassicismo dell'epoca, che considera ridondante la tradizionale sovrapposizione degli ordini classici e che qui e in altri teatri (S.Carlo di Napoli, Fenice di Venezia, Valle di Roma) vuole agitati i vari piani delle facciate e differenziati i volumi. Gli spazi di servizio per il pubblico degli spettacoli verranno ampliati in seguito con l'aggiunta di due corpi laterali.

Fino alla inoltrata metà dell'ottocento si mantenne la tradizione di agire sulle fiamme della ribalta, per i palchetti cari agli aristocratici, all'incirca sopra il luogo dove si trova ora rivolta al pubblico la schiena del direttore. Piú adatta alla concentrata attenzione richiesta dal dramma musicale moderno era invece la platea, dove sedevano i borghesi. Ma qui la visione era disturbata dall'orchestra, che da parte sua stava crescendo d'organico. La soppressione napoleonica del palco "imperiale e regio" diviso in sei palchetti per "persone liberate" fu per tutto l'ottocento l'unica modifica rilevante fra le diverse auspicate: Verdi voleva la sala buia e il sipario sulla linea della ribalta; sui criteri con cui Wagner aveva costruito a Bayreuth un teatro secondo i suoi propri ideali drammaturgici non c'era concordia di giudizi. Boito, Puccini e Toscanini -al quale si può far risalire l'idea di un piano mobile per l'orchestra - parteciparono a una commissione incaricata di studiare l'intervento. Tra il 1906 e il 1921 l'orchestra sprofonda e riceve il nome di "golfo mistico" e la ribalta arretra di circa due metri. Subito imitata da tutti i teatri italiani, questa semplice "correzione" architettonica-poco osservata appunto per l'assenza di termini di confronto- ha conseguenze radicali: gli organici delle orchestre aumentano, non più solo per esigenze estetiche, ma anche per necessità funzionali; i cantanti si preoccupano della potenza dell'emissione; lo spettacolo è sospinto verso il fondo del teatro; si può forse iscrivere fra queste addirittura la realizzazione, nel 1955, della "Piccola Scala", una sala concepita espressamente per le piccole orchestre settecentesche e oggi desueta.

L'acustica è rimasta proverbiale: l'interno del teatro è ancora tutto di legno. La vòlta della sala distrutta da un bombardamento è stata scrupolosamente ricostruita e l'ignifugazione (l'adeguamento alle leggi per la prevenzione degli incendi è il problema di oggi di tutti i teatri storici) della struttura dei palchetti è avvenuta recentemente secondo tecniche tanto antiche quanto efficaci.


©Francesco Sforza