Amor vacui Francesco Sforza

Oggi Il teatro abita ancora le stesse case in via della Pergola, dove lo fece, trecentotrent'anni fa, un'associazione di giovani nobili fiorentini. Sulla loro soglia, chi considera l'antichità di questa vita non può non provare un brivido di emozione. Ma se si aspettasse di trovare in esse qualcosa di sorprendente, magari da fotografare, resterebbe deluso.

Già da fuori il teatro non si noterebbe. L'intonaco rosso bruciato è stato dato di recente, proprio per metterlo un poco in evidenza, non senza "aver ritrovato le coloriture originali". La facciata si riduce a qualche cornicione di un mezzo rifacimento ottocentesco, che sembra voler lasciare il posto a una facciata vera e propria, allora immaginata, ma di cui non si sentì mai una reale necessità. Che il teatro fosse in via della Pergola lo sapevano tutti. L'ingresso, leggermente più grande di un portone normale, è marcato nella linea della strada solo dalla tettoia che gli venne attaccata sopra ai primi del Novecento. L'interno del teatro è stato ricostuito una mezza dozzina di volte, l'ultima nel 1857. Del foyer, costruito sopprimendo un antico quanto fascinoso complesso di ambienti e ambientini con le più varie destinazioni, si può dire che è ... proprio ottocentesco. Con le sue colonne un pò troppo grandi per lo spazio ci parla del rito sociale di classe di una cultura con la C maiuscola. La sala è un ibrido tipologico, che risulta dalla sostituzione, operata nel 1912, degli ultimi due ordini di palchi della sala del '57 con le esili colonnine di ferro e le capaci balconate del progressismo debut du siécle. A dividerla dalla scena cala da centosessant'anni lo stesso sipario dipinto. Dietro c'è il nulla. Sapientemente situato all'interno della fabbrica, non arriva in palcoscenico nemmeno l'eco dei pur notevoli frastuoni di oggi, che turberebbe il necessario raccoglimento. Io ci andai una prima volta qualche anno fa, alla ricerca di certi leggendari martelli che solo un fabbro della Pergola ormai scomparso sapeva forgiare, tagliandoli dal buon ferro dei binari ferroviari. E vi rimasi per una mezz'ora nella penombra, a chiacchierare con suo figlio, anch'egli macchinista, seduti in un angolo del vano vuoto e gigantesco, che sembrava fatto a misura dei grandi che vi avevano agito.

"Al pubblico il meraviglioso. Noi ci occupiamo del comprensibile", disse una volta uno di loro. La cultura che abita qui è "minuscola", non di rado sottile, forse per questo capace di raggiungere a volte la profondità, forse l'armonia. Tutto qui è vero, e una parola ha la stessa corporea sostanza delle pietre dei muri. Le immagini che nascono qui sono fatte di cose anche troppo comprensibili e materiali, per chi le guarda migrare, nella speranza che trovino la ragione assopita dal ritmo, e risvegliata dalla melodia la fantasia degli spettatori, che è di natura così simile a loro, e si confondano con essa. Allora nel piccolo sogno di una sera si sente l'eco del grande sogno, dove la libertà, madre di ogni fantasia, si sposa con la ragione. Appunto questa ha vagliato ogni dettaglio architettonico e lo ha disposto verso la libertà nella maniera più propizia, componendo il grande vuoto del palco con tanti altri vuoti più piccoli: sale prova, e camerini, e stanze per le pitture, e appartamenti per i teatranti di passo. "Un bel quaderno bianco, dove puoi scrivere quello che ti pare", così lo definisce il suo direttore, Alfonso Spadoni. E così alla Pergola è stato scritto il prestigio del teatro italiano. Tanto che nel '42 esso venne acquisito dall' Ente Teatrale Italiano appena fondato, che si proponeva "l' acquisto e la costruzione, nonché i restauri e gli adattamenti" di teatri nuovi ed antichi. L'acustica è asciutta ovunque e perfetta nelle poltrone più lontane dall'orchestra.


©Francesco Sforza