Il teatro Comunale di Firenze

Francesco Sforza

Tanto gloriosa e lunga la vicenda del Maggio quanto oscura e breve -se paragonata a quella dell'altro piú importante teatro che tradizionalmente ne ospita le manifestazioni, La Pergola- la storia del Comunale. Nasce come Politeama Fiorentino nel 1861, in seguito all'incendio di un altro politeama della cittá, poi brucia a sua volta e viene ricostruito pochi anni dopo. In origine aveva 6000 posti e nessuna copetura, sí che i fiorentini l'avevano ribattezzato "l'arena". I politeami, diffusi durante la seconda metá dell'ottocento, erano strutture a grande capienza adatte - come suggerisce il nome- alle piú diverse rappresentazioni: prosa, musica, rivista, circo equestre, ecc.; prime manifestazioni di quello stesso concetto di polivalenza che in seguito occuperá molti architetti.

L'edificio è oggetto di vari rimaneggiamenti, alcuni dei quali radicali, come quello del 1930. Nel 1933 viene ribattezzato Teatro Comunale. Come spesso le costruzioni del fascismo, anche questa è grandiosa ma povera nei materiali. Nel '44 il palcoscenico è distrutto dalle bombe, e nel '57 si rende evidente la necessitá di una ricostruzione quasi completa, da cui risulta il Comunale di oggi. Lo sviluppo in lunghezza caratteristico del vecchio politeama, una specie di piccolo stadio da calcio tronco da un lato, persiste nella sala oblunga, in cui l'ultima poltrona dista oltre 50 metri dalla linea di boccascena, e nel palcoscenico alto e profondo ma privo di sfoghi laterali, così che si è dovuto approntare recentemente un prolungamento di lamiera che funge da magazzino. Non si possono tenere due allestimenti in contemporanea, se uno dei due non è tutto "di soffitta", dice Giulio Cipriani, della Direzione Allestimenti. Secondo Sylvano Bussotti "l'acustica non è felice in platea e migliora via via che si sale verso l'alto".

Con tutti questi difetti, il Comunale ha accolto la migliore delle vite culturali possibili. Al di lá della filosofia semplice del palcoscenico, che dice che il meglio è nemico del bene e che le difficoltá sono di stimolo alla fantasia, i pregi che non sono della casa appartengono agli abitanti. Di questi, i piú vicini all'architettura, i tecnici, sono famosi per la loro bravura. A loro tutti gli artisti del Maggio hanno lasciato qualcosa. Bruno Mello, autore dell'unica trattazione moderna di scenotecnica italiana -conosciuta da tutti gli scenografi- che descrive con accuratezza e naiveté veri segreti della finzione, e con lui tanti altri, alcuni dei quali in odore di leggenda in questo piccolo mondo, sono passati per il palco del Comunale. Gli artigiani teatrali italiani conservano un primato mondiale pacificamente riconosciuto all'estero. Senz'ombra d'ironia Carmelo Bene dice di credere piú al giudizio dei macchinisti sui suoi spettacoli che a quello dei direttori dei teatri. I loro luoghi principali di formazione sono la compagnia di giro e il grande teatro lirico, dove sopravvive per tradizione diretta la memoria di tecniche che sarebbe sbagliato definire antiche.

Si tratta di un artigianato che ha la curiositá di avere un oggetto indefinibile, come le intuizioni degli artisti, e di aspirare, direi per carattere, a circondarsi di mistero. L'eccezionale perizia dei tecnici non è valsa a impedire l'errore del Ridotto, costruito nel 1959 e rimaneggiato pochi anni fa. Una sala ingombra di putrelle metalliche messe piuttosto a caso e un palcoscenico malforme attraversato da enormi piloni di cemento, che rassomiglia soltanto alle sale sperimentali costruite negli U.S.A. e in altri paesi europei, e che ha inghiottito oltre tre miliardi. "Piú che una sala questa è una scenografia di una sala" commento. Franco Passerotti, capomacchinista, uno che come pochi sa distinguere fra realtá e finzione, mi fa un sorriso ..."e noi fra qualche mese si fa il Simone tutto di tela dipinta e armata, come una volta..."


©Francesco Sforza