Il Bibiena spennacchiato

Francesco Sforza

Sui resti dell'antica dimora rinascimentale dei Bentivoglio, saccheggiata per un mese intero dal popolo in furore dopo la vittoria di papa Giulio II e dei francesi su Giovanni II, chiamati "Il Guasto" dai bolognesi, si costruisce attorno alla metá del '700 un nuovo teatro, che prenderá poi il nome di "Comunale". Fin dall'inizio la sua vicenda è sofferta: ad Antonio Galli Bibiena, erede della gloriosa tradizione di una famiglia di scenografi e architetti assidui delle corti di mezza Europa, "uomini di sí vaste e magnifiche idee, che ... sembrano nati per il servigio di Re e Imperatori", venne affidato l'incarico di una progettazione che si volle poi "moderna", nel carattere e nella rappresentativitá dell'edificio, entitá autonoma a servizio di tutti i "cittadini". E giá sullo splendido progetto di legno (che ancora ci resta) l'idea originale è crocefissa dagli argomenti "illuministi" -poi ribattuti dall'Algarotti nel suo famoso Saggio sopra l'opera in musica- portati all'incandescenza dall'animositá e dall'invidia delle fazioni locali che elevano, in nome del "Vero" del "Bello" e del "Bene", una serie di gravi critiche al progetto, dalle quali l'architetto, dialetticamente non molto agguerrito, è ridotto"in verissimo pericolo d'impazzire". Siamo agli inizi dell'architettura teatrale moderna.

Nel progetto originario una vasta struttura architettonica accoglieva un profondo proscenio e due ingressi alla scena indipendenti dal boccascena vero e proprio. Hospitalia e versurae, secondo Vitruvio, erano aperure nella scena accessorie della valva regia principale . Ma l'Algarotti tuonava, e l'Accademia Clementina gli faceva eco, che "gli attori hanno necessariamente a starsi al di lá della imboccatura del teatro, dentro alle scene, lungi dall'occhio dello spettatore; hanno da far parte anch'essi del dolce inganno, altrimenti se ne toglie via l'effetto, distaccando gli attori dal rimanente della decorazione, e trasportandoli di fra le scene nel bel mezzo della platea, la qual cosa non puó farsi, che non mostrino il fianco, e non voltino anche le spalle a buona parte dell'udienza (...) una sconciatura grandissima"... Non si puó fare a meno di pensare al Globe e a Shakespeare, che Algarotti giudicava di pessimo gusto.

Il "barocco" Bibiena tentó una debole difesa del retaggio dei suoi antenati e della pietra (materiale ignifugo, diremmo oggi) che voleva usare per l'edificio; ma gli altri l'ebbero vinta, si adoperó come di consueto il legno e molto del disegno originario venne trasformato o non realizzato affatto. Nella sala, priva di compiutezza se non di carattere, continuarono poi le modifiche: i parapetti e le colonnine dei palchi persero la forma iniziale, vennero eliminate le sculture allegoriche che ornavano il boccascena e i palchi di proscenio uniformati agli altri, cambiata l'inclinazione della platea, rifatte le pitture e gli ornamenti, fino alla realizzazione del golfo mistico, nel '24, in occasione del Nerone di Boito. Uno sguardo superstizioso vedrebbe nelle molte generazioni di tarli "messi in opera" insieme alle pezzature di legno nuovo in occasione di ogni intervento, che rodono per due secoli la struttura lignea della sala, il fantasma dell' architetto tornato a farsi vendetta. Recentemente, in occasione di restauri al 5^ ordine, si trovó il teatro sul punto di crollare. E cominciarono restauri, secondo idee alla moda , che durano da sette anni. E ricominciarono le polemiche...


©Francesco Sforza