"Ci devi venire..." non c'è segnale migliore del valore di uno spettacolo della impossibilità di riferirne: paradosso della critica ed esperienza comune a tutti. Quanto meno il contenuto del teatro è descrivibile, ma solo approssimabile con metafore diverse, tanto più vigorosa è l'attrazione verso di esso. Essa è l'anima di questi luoghi e ne assimila la storia e l'evoluzione a quella di un organismo vivente. Ogni tipo di convenzione linguistica, musicale, figurativa, morale viene qui messa in discusssione. L'unica "convenzione" che resiste è quella di essere, appunto, "convenuti" in uno stesso luogo. Il gioco delle parole è tutt' altro che casuale. Solo al riparo di queste mura esse perdono il peso dei significati che sono costrette a portare nel mondo banale e si fanno segni astratti di lettere, dotati per questo di una concretezza inconsueta, che rende il lavoro di messa in scena faticoso, per la necessaria rinuncia alle banalità che rendono "confortevole" il linguaggio quotidiano ed entusiasmante, per la ricchezza delle opportunità espressive che così si dischiude.
Nell' architettura di un teatro avviene qualcosa di simile: attirati dal magnetismo di una funzione d' uso sfuggente, come lo spettacolo, tutti i momenti del progettare e del realizzare, anche quelli che appartengono alla routine del lavoro "banale" dell' architettura (qualcuno direbbe "dell' edilizia") assumono uno spessore problematico inconsueto: i criteri guida di ogni operazione, dai calcoli strutturali, alla tecnica di posa di un rivestimento, alla scelta di un colore o di un materiale, possono (e anzi dovrebbero) venirne influenzati. L' architettura trova nel teatro l'occasione di una verifica dei valori.