Architettura teatrale. Ricerche e problemi

Lettera dall'Italia, 1 aprile 1995

L'Italia e' probabilmente il paese dove il teatro, dalle origini, ha lasciato le più rilevanti tracce concrete: edifici, testimonianze, documenti, modi di dire e prassi operative. Ma il problema di una conoscenza sistematica del patrimonio edilizio teatrale nazionale non è mai stato seriamente affrontato. Gli ultimi manuali ad uso degli impresari risalgono ai primi del secolo. Chi cerca di farsi oggi un' idea del nostro patrimonio architettonico, la cui importanza è riconosciuta da chiunque si occupi di teatro, in qualsiasi paese del mondo, si imbatte in una miriade di dati disaggregati, di categorie diverse, ora amministrative, ora legate alla normativa di sicurezza, ora alla proprietà, ora alle destinazioni d'uso delle sale. Sono state fate indagini parziali, con risultati interessanti e discutibili e importanti lavori di ricerca su singoli teatri e a diverse scale territoriali.

Appare decisivo il problema di una giusta composizione dell'istanza filologico-erudita, alla quale gli studi qui sotto menzionati sono debitori della completezza della descrizione degli edifici esistenti e della loro storia, con la loro finalizzazione a una strategia di recupero e utilizzo attuale degli edifici stessi, che deve tenere conto di una serie di fattori eterogenei, dalla vita amministrativa all'attività turistica alla produzione per la riproducibilità tecnica, i.e. reti radiofoniche e televisive, sia a livello nazionale che locale. Il teatro vive della composizione di elementi provenienti da contesti diversi. Tale eterogeneità è inevitabile e si rispecchia in modo inconscio e direi meccanico nella eterogeneità degli studi. La scommessa di oggi è dunque quella di rompere la cerchia degli esoterismi e delle reciproche incomprensioni e di intrecciare i due discorsi, quello storico e quello attualistico in un disegno di ordine superiore.

A scala nazionale, dopo il manualetto di Grabinski-Broglio ad uso degli impresari privati, nato fra la gloriosa povere del teatro "all'antica italiana", i dati statistici sono stati forniti da tre fondamentali censimenti curati dalla SIAE, nel '53, nel '63 e nel '73 , che presentano i dati crudi del tracollo del patrimonio edilizio teatrale, quando scomparve un grande numero di teatri costruiti prevalentemente nella seconda metà dell'Ottocento, in conseguenza della travolgente avanzata del cinema. Risulta che in dieci anni -dal '53 al '63- 1200 sipari calino per l'ultima volta, lasciando dietro di sé un silenzio che fa rabbrividire anche se si considera che il dato è desunto non dalla forma degli edifici ma dall'attività che vi si svolgeva, e che quindi i "veri" teatri scomparsi in quel decennio sono probabilmente un po' meno. In anni più recenti e in seguito al progressivo impegno delle amministrazioni nei confronti della vita culturale, varie istituzioni -AGIS , CIDIM , ETI - si sono poste il problema di una conoscenza del patrimonio, considerato come "strumento operativo". A questi studi va aggiunta una vasta ricerca, non pubblicata, curata da Fulvio Fo nelle regioni meridionali.

A fronte di questo filone di ricerche, la cui difficoltà principale è l'obsolescenza dei dati soggetti, come per qualsiasi informazione che si riferisca ad organismi viventi a continui cambiamenti ed aggiornamenti, sono stati realizzati ottimi studi, in qualche caso veri e propri monumenti di storiografia, alcuni dei quali, ancora in corso, non cessano di far tornare alla luce frammenti sempre più cospicui di una vicenda culturale ricchissima. Di questo tenore sono le ricerche curate da Franco Mancini, Maria Teresa Muraro ed Elena Povoledo sui teatri del Veneto e quelle svolte da Elvira Garbero Zorzi sul territorio toscano , oltre alle schedature condotte dalle Soprintendenze. Vi sono vari altri lavori a scala regionale dei quali non sapremmo dare un quadro oggettivo e aggiornato senza fare probabilmente torto a qualche studioso non ancora arrivato alla dignità della pubblicazione.

Una anamnesi delle varie ricerche finanziate dalle amministrazioni a scala provinciale e locale e al vasto numero saggi monografici che hanno spesso trovato motivo nell'intensa vita culturale di questo e di quel teatro prenderebbe molte pagine. In essi si trovano spesso notizie d'architettura, come anche un ulteriore filone di studi, a volte molto ponderosi, dedicato alla storia della scenografia , che dell'architettura è il doppio teatrale.

Per aprire dunque il sommario dei problemi abbiamo lasciato da ultimo, in questo breve excursus sulle ricerche, il monumentale lavoro di ricerca sui teatri classici pubblicato dalla SEAT. Riprendendo una linea di ricerche avviata negli anni '30 e continuata dall' Enciclopedia dello Spettacolo e sull'Enciclopedia Dell'Arte Antica , quest'opera punta a descrivere nella sua interezza il patrimonio di edifici teatrali classici, pietre miliari della unificazione culturale europea condotta dall'Impero Romano, e ci offre così l'occasione di segnalare una caratteristica decisiva degli oggetti in questione: per vocazione e struttura, essi si presentano immediatamente come patrimonio sovranazionale. Al lettore preparato a diffidare del concetto di "cultura nazionale" assieme alla locuzione "all'italiana" la dinamica dei "beni culturali" riferiti al teatro dischiude in questo punto una vita più intima.

E' del resto più che nota la problematicità che l'idea di nazione vive in Italia, e logico che uno sguardo cosciente nei confronti del patrimonio teatrale non possa non risentirne in profondità. Il valore dunque della salvaguardia e della evidenziazione della dinamica intima di questo genere di oggetti ha valenze ben più vaste della dimensione nazionale, toccando direttamente l'immagine del nostro paese all'estero diffusa e riconosciuta. Come il patrimonio architettonico italiano appartiene al mondo e continua ad offrire lezioni valide anche per le esperienze spettacolari apparentemente più remote, così gran parte del patrimonio architettonico teatrale mondiale trova nella vicenda italiana il suo redde rationem, arrivando solo attraverso l'analisi di quest'ultima ad una vera conoscenza di sé stesso. Gli istituti di ricerca italiani e i musei teatrali, alcuni di altissimo profilo, formano assieme ai loro omologhi degli altri paesi un reticolo europeo naturalmente sopranazionale, quantunque le ricerche siano necessariamente stampate in una lingua. Ci si trova così all'apparente paradosso che il problema della "sala all'italiana" sia trattato criticamente più in testi scritti in lingua francese o inglese che in italiano.

Et pour cause. La "perfezione" del tipo di edificio teatrale che si fregia appunto di questa locuzione è appunto pubblicizzata all'inizio del Novecento come effetto di una modifica, l'apertura del golfo mistico, caldeggiata da Toscanini. Si pensava così di rendere l'ambiente ancora marcatamente settecentesco della Scala adatto al repertorio tardoromantico, senza rinunciare alle messe in scena di testi di epoche precedenti, secondo una logica "commerciale" con aspirazioni di assolutismo. Queste sale si presentano come uniche eredi "tipologiche" di un passato mitico, adatte, più d'ogni altra cosa, all'Aida e al Gesamtkunstwerk ma pronte ad accoglierne, o meglio inghiottire, tutto e il contrario di tutto. Fra le tante realizzazioni di questi anni si trovano il Teatro Nazionale dell'Opera di Budapest (1884), il Narodny Divadlo di Praga (1881), i teatri Real (1850) e De La Zarzuela (1856) di Madrid, il Metropolitan di New York (1882) e il Colòn di Buenos Aires (1857). E quello che é diventato un po' il simbolo della fondazione di una nazione attraverso la costruzione di un teatro: il Festspielhaus di Bayreuth (1856). La costruzione di teatri "all'italiana" in tutto il mondo smentisce così il nazionalismo proprio nel momento in cui sembra fondarlo, attraverso la costruzione dei "teatri nazionali". Il gesto sacrificale celato all'origine di ogni mitizzazione riguarda qui la dimensione concreta, storica e artigiana del lavoro di messa in scena, della quale l'Italia conserva tuttora il primato attuale.

I "beni culturali" che dal teatro derivano si presentano infatti con il doppio aspetto di strumenti operativi e di testimonianza di situazioni irripetibili. Questa delicata dialettica può fruttificare soltanto a partire da una vivace attenzione critica nei confronti di questo genere di inevitabili aporie, dalle quali si può uscire vincenti solo alla luce di una sintesi creativa attuale. Il lettore non troverà ormai del tutto paradossale che nel paese dei Bibiena non esista un luogo -come ad esempio il teatro di Drottningholm in Svezia- istituzionalmente destinato alla riproduzione della sua pur celebratissima scenografia classica e che gli sforzi degli studiosi incontrino così tante difficoltà a congiungersi con quelli degli uomini di teatro. Quante volte, del resto, nel restauro di un teatro ci si è trovati di fronte al dilemma se conservare a scapito della funzionalità, o se modernizzare a scapito della testimonianza?

Basti, per chiudere, il paradosso più grave: la paralisi dell'evoluzione della più diffusa forma di sala teatrale nel paese che le ha dato vita e nome in seguito ad una norma -in diretta relazione con la mitografia nazionalistica- di origini ottocentesche, formalizzata nello stato unitario, ribadita dal fascismo e inserita nel '51 nel corpus normativo, che prescrive la costruzione, fra lo spazio occupato dal pubblico e la scena, di un grosso muro nel quale è permessa una sola apertura, il boccascena, chiuso a sua volta da quell' altra gigantesca paratia di sicurezza che è il sipario di ferro. Tale consuetudine di tagliare in due lo spazio teatrale ha preso piede quando si voleva presentare agli spettatori un mondo "vero" (il cinema era alle porte), separato da quello reale dalla cosiddetta "quarta parete". Quando l' esigenza di un "altro" mondo venne completamente soddisfatta dalle pellicole, gli uomini di teatro più sensibili predicarono la riunione di spettacolo e spettatori in un ambiente unico. Ma nel frattempo si era formato un corpus di norme rigide, per il quale la locuzione "teatro all'italiana" non è più la gazza ladra inseguita dagli spiriti peregrini degli studiosi e dei teatranti: ma solo la forma banalizzata di un inerte conglomerato cementizo. Tutti i progetti genuinamente contemporanei entrano così fatalmente in rotta di collisione con una concezione del teatro ottocentesca e superata.

Le strutture da spettacolo, dalla sala cinematografica, alle città del cinema, ai teatri di posa televisivi si presentano, dal punto di vista concreto della attività che in essi si svolge, come splendide conchiglie generate dalle metamorfosi di uno stesso organismo vivente dotato della capacità di percorrere instancabilmente il ponte che porta dal palcoscenico alla ricerca erudita, conscio della necessità di quest'esercizio per non consegnarsi all'inefficacia. E' sull'orizzonte avanzato della tecnica di riproducibilità che bisogna guardare per percepire le vere ragioni delle trasformazioni architettoniche. Oggi, la separazione della scrittura dalla rigidità dei supporti fisici, generata dalla diffusione di quelli elettromagnetici, e la crescente quantità di dati a disposizione sta riportando il teatro alla situazione culturalmente centrale che gli è propria.


©Francesco Sforza