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LIZ TAYLOR

I miei pochi ricordi su Liz Taylor sono piccanti solo di peperoncino. Durante
il leggendario "Cleopatra" fu ricoverata d'urgenza per una lavanda gastrica. Si
parlo' di tentato suicidio, ma lei spiego' che aveva mangiato del 'chili con
carne' da una scatoletta probabilmente avariata. Pochi le credettero, ma io da
quando ho avuto l'onore di mangiare al suo fianco tendo a prestarle fede senza
esitazioni.

Per quasi tutti gli anni '70 il mio compare Vincenzoni ha tenuto casa a Beverly
Hills, e io ci parcheggiavo spesso con la scusa delle sceneggiature, ma in
realta' per misurarmi con lui nella preparazione di pranzi e cene che attirava-
no astutamente alla nostra tavola registi e attori difficilmente raggiungibili
per vie non gastroenoiche.

Cosi' e' successo una sera che il filo lungo di uno spaghetto mi ha legato per
qualche ora a quei due leggendari occhi viola che avevo sognato fin dai tempi
di Lassie e di "Gran Premio". Tutto attorno, purtroppo, c'era ormai solo una
signora sovrappeso vicina alla mezza eta' .

Che donna, pero'. Abbiamo mangiato e bevuto come due alpini al raduno annuale.
Sboccata e golosa, un compagno di tavola ideale. Abbiamo parlato dei suoi anni
romani, ma solo in termini di coratella coi carciofi e di bucatini alla gricia
rosa. A un certo punto mi disse una cosa che non ho piu' dimenticato : "Voi i-
taliani mi piacete perche' siete gli unici capaci di stare a tavola ad abbuf-
farvi, e intanto parlare di altri pranzi e altri cibi." Che altro c'e' da capi-
re di noi ?


MARCELLO MASTROIANNI " ...Comunque in cucina un piatto di minestra te lo conserveremo sempre..." Questa frase precisa l'ho sentita un sacco di volte da Ruggero Ma- stroianni, grande montatore, detta a suo fratello Marcello. "Perche' tu cosi' finisci, " aggiungeva cupo. Per fortuna e' stato cattivo profeta. Ma effettivamente tanti anni fa Marcello Mastroianni ha attraversato un periodo bruttissimo. Nessuno gli offri- va piu' un copione, aveva problemi economici e per un periodo ha vivacchiato a Fregene, al Villaggio dei pescatori, in casa di un'amica. Eh gia', Marcello e le donne, ci si potrebbero scrivere dieci romanzi. Fin da neonato se lo sono mangiato di baci, e' cresciuto pigro, dolce e viziatissimo. Non ha mai avuto bisogno non dico di corteggiare, ma neppure di desiderare : gli e' bastato esserci perche' tutte le piu' belle gli saltassero addosso. Mite com'e', e' sempre stato facile preda per le femmine piu' volitive e ag- gressive della specie. Se sua moglie Flora ne e' un esemplare poco noto, cele- bri donne d'acciaio sono Faye Dunaway e Catherine Deneuve. Grandi amori finiti tra le lacrime. Di Marcello, sempre. Il fatto e' che Mastroianni e', nell'anima, un bancario romano. E infatti que- sto era quando Giulietta Masina, collega d'Universita', lo convinse a provarsi sulle tavole d'un palcoscenico. Il successo fu immediato, ma il sogno della sua vita e' rimasto quello di mettere su casa, fare figli, impantofolarsi e ingras- sare sbevazzando in quiete tavolate d'amici. Lo tento' sia con Faye che con Catherine : e l'operazione gli riusci' fino al primo livello : casa e figlio. Dopodiche', scadenza un anno, massimo due, al- l'inizio dell'impantofolamento si sentiva dire "amore mio mi annoio da morire, ecco qua la tua valigia, arrivederci e restiamo amici, si capisce." E' appena il caso di dire che le case, miliardate di attici in Central Park West o Avenue Foch, restavano alla signora. "Ecco cosa so' io," si disperava Marcello. "Un Gabetti-lover." Ma poi s'innamorava subito di nuovo, fortunatamente. Sono sicuro che quando gli tocchera', il piu' tardi possibile, morira' innamorato.

AUDREY HEPBURN "Vacanze romane" ? Ho incontrato piu' volte Audrey Hepburn, che com'e' noto dopo quel film s'e' innamorata di Roma al punto di farsene pratica- mente casa - e com'e' meno noto si e' innamorata del mio fratellone Luciano Vincenzoni al punto di rischiare di sposarlo e diventarmi una specie di cogna- ta. Il vecchio porco pero' la trovava troppo 'skinny' per i suoi gusti trevigiani e cosi' lei fini' per accasarsi, sempre su piazza, con uno psicanalista alla mo- da. Era una donna intelligente e incantevole, fragile come un grissino dall'a- nima d'acciaio. Non so quale press agent hollywoodiano le invento', agli esordi di "Sabrina", una biografia che attribuiva la sua magrezza a un'infanzia di stenti e di terrori nell'Europa occupata dai nazisti. Lei non la smenti' mai, ma in realta' era di una famiglia olandese con sette generazioni di mercanti e banchieri, e ho idea che la cosa della Seconda Guerra Mondiale che le e' mai arrivata piu' vicino sia stato qualche titolo della "Tribune de Lausanne", dov'era al sicuro in collegio.

GIANCARLO GIANNINI Giancarlo Giannini come forse gia' sapete e' un perito elettronico con molte invenzioni serie e importanti al proprio attivo, che dichiara di fare l'attore per hobby. Quello che invece forse non sapete e' che il suo talento di smanettone qualche anno fa gli e' costato una bella sorpresina. Mentre collaudava da fuori citta' non so che aggeggio per intercettare le telefonate a distanza, ha avuto la sor- presa di ascoltare la sua signora in una conversazione piuttosto inequivocabile col classico "migliore amico". Non sono indiscreto : e' una storia che lo stesso Giancarlo racconta volentie- ri, anche perche' l'ormai ex signora e il migliore amico hanno finito per spo- sarsi tra loro e lui si considera vendicato :-)

BUD SPENCER Da quello che so, Carlo Pedersoli e' stato il primo italiano a nuotare i 100 stile libero sotto il "muro" del minuto, in 59" e qualcosa. Arrivo' mi pare in semifinale alle Olimpiadi del '52 ( era Melbourne ?). Notizie piu' dirette e meno dubitose ho sulla sua vita privata. Sposo' giovane una donna volitiva e formidabile, figlia del mitico produttore Peppino Amato ("questo film sara' una pietra emiliana nella storia del cinema"). Fino ai suoi "late thirties" Carlo ciondolo' senza grande costrutto, facendo genericate nel cinema, e scrivendo canzoncine per bambini, stile zecchino d'oro, che osava an- che cantare pizzicando con le ditone una chitarra : "Il trenino, ciuf, ciuf, ciuf..." Don Peppino sospirava e confidava agli amici : "Mio genero e' nu bravo guaglio- ne, ma e' 'nu poco strunzo...". Mori' purtroppo subito prima che Bud Spencer conquistasse fama e fortuna. E ancora oggi la grande spina nel cuore di Carlo e' non essere riuscito a dimostrare al suo fantasmagorico suocero, che adorava, di non essere poi tanto "strunzo". Quanto agli aerei, Pedersoli li pilota per una serie di ottime ragioni : a) Li importa in Italia. Ha l'esclusiva (mi pare di ricordare) dei Cessna. b) Possiede una piccola compagnia che fa servizi di aero-taxi. c) Quando pilota porta gli occhiali. Se li leva solo per fare i servizi foto- grafici su Carlo Pedersoli pilota... L'avversione degli attori in genere per le lenti a contatto, che io sappia, ha anche un motivo "tecnico". Il fortissimo calore delle luci di scena (i famosi 'bruti' da 5000W e piu') e' pericoloso per quelle lenti. Una volta ad un'attri- ce ne e' letteralmente scoppiata una nell'occhio.

FRANCESCO NUTI A mio modesto avviso Nuti pratica una sorta di cinema-cabaret, ricco di piccole invenzioni, povero di sostanza narrativa, e tutto sommato destinato a rimanere molto marginale - un prodottino ben confezionato e mirato con astuta precisione al consumo festilenziale. E' una sua scelta, che gli consente di guadagnare bene e vivere tranquillo, de- dicandosi al suo hobby prediletto, l'amore, sul quale arpeggia instancabilmente nei suoi film e che altrettanto instancabilmente pratica nei momenti liberi . Ai tempi di Casablanca, Casablanca (e dunque prima di Daunbailo') accadde a me e a Vincenzoni di offrirgli una golosa occasione 'americana', oltretutto basata su un incantevole racconto di Damon Runyon del quale il nostro produttore aveva i diritti. Francesco ci giocherello' a lungo ma alla fine tiro' il culo indietro. Allora mi sembro' una mancanza di coraggio. Ripensandoci, e' stata forse intel- ligente coscienza dei propri limiti. Il che non toglie che il successivo salto di qualita' di Benigni l'abbia fatto umanamente rosicare a sangue. A parte che Roberto lo castiga regolarmente a poker, i due, pur non essendosi mai incontra- ti prima del successo, sono nati a neanche due chilometri di distanza. Quanto ai toscani narcisisti musini di topo, occhio che adesso e' in arrivo an- che Sergio Rubini. Peggio non e' morto mai...

HENRY FONDA Un giorno, durante la preparazione di "C'era una volta il West", Leone e io passeggiavamo per uno di quei vialetti di Cinecitta' dove ora Funari parcheggia le sue bancarelle (o tempora) quando vedemmo per la prima volta Henry (Hank per gli amici) Fonda. Dall'auto della produzione scese un signore poco oltre i sessanta, grigio, ru- goso, un po' curvo, con uno sguardo miope e distratto nei celebri occhi azzurri ora diventati leggermente acquosi. Lo seguiva una moglie in braghette pastello, con un orologio ad ogni polso, uno con l'ora di Los Angeles e l'altro con quel- la di Roma. E uno dei due aveva Mickey Mouse con le manine che facevano da lan- cette. Gesu', era QUESTO Henry Fonda ?!? Sergio Leone fu preso subito da uno dei suoi tipici panici frenetici. "'azz... Ma questo e' un vecchio rincojonito," mi sus- surro' "Ma io lo protesto... Ma io ne pijo 'n'antro..." Si decise, per prende- re tempo, di mandare Fonda a provare i costumi. Neanche dieci minuti dopo, mentre Leone cercava di mettersi in contatto con l'agente e piantare un casino, la porta della sartoria si apri' e invece del vecchietto magicamente usci' fuori, come da un fotogramma di My Darling Clemen- tine, l'Henry Fonda di sempre. S'era calcato in testa lo Stetson e aveva indossato quel costume nero aderente che poi avrete visto nel film. Ma quello che era quasi incredibile era che s'e- ra raddrizzato, aveva cambiato sguardo, passo, gestualita', e senza un'ombra di trucco di scena s'era in qualche modo tolto vent'anni di dosso. Sono sicuro che anche Leone provo' la stessa sensazione mia, di risentirsi ra- gazzino nella sedia di legno di un qualche pidocchietto a sognare appresso a u- na pellicola in bianco e nero rigata da mille passaggi. E di continuare a vi- verlo, quel sogno...

CLINT, ELI & LEE Dei tre, Clint Eastwood e' senz'altro quello che piu' somiglia ai propri perso- naggi : chiuso, taciturno, ironico. Diventa umano solo davanti a un piatto di spaghetti : eccettuato Bud Spencer non ho piu' visto un altro attore capace co- me lui di farsene regolarmente tre doppie porzioni. Ma lui non ingrassa, male- detto. Per restare in tema alimentare, a Eli Wallach (e a sua moglie Anne Jackson, grande attrice teatrale usata pochissimo e male dal cinema) devo la sopravvi- venza in un lontano e gelido inverno newyorchese. Nelle pause di un intermina- bile editing americano del Buono, Brutto e Cattivo mi salvarono dalle corrosive insidie dei fast food, introducendomi con affettuosa ebraica gastrosollecitudi- ne ai segreti dell'hot pastrami, del corned beef, dei matzoth balls, del gefil- lte fish e altre colesteroliche delizie reperibili solo su raccomandazione ini- ziatica nei piu' remoti "deli" yiddish della citta'. Il ricordo piu' affettuoso tuttavia se lo merita quello che non c'e' piu', Lee Van Cleef. Leone aveva in mente quel suo profilo grifagno fin da quando l'aveva visto la prima volta in una piccola parte : uno dei tre banditi che aspettano alla stazione il cattivo di "Mezzogiorno di Fuoco". Lo ando' a ripescare in Ca- lifornia che ormai pensava d'aver chiuso col cinema : aveva problemi di alcool e di fumo, campava vendendo qualche piccola scultura. I due film di Sergio lo rimisero al mondo in ogni senso, e lui gli fu grato e devoto fino alla fine. O- ra che ci penso, sono morti lo stesso anno, era l'89. Van Cleef, il "Cattivo", era in realta' uno degli uomini piu' miti e gentili che abbia mai conosciuto. In "Per qualche dollaro in piu'" doveva prendere a schiaffi una prostituta, e non riusciva neanche a far finta. L'attrice, che era Rada Rassimov, gli diceva "Ma dai, non ti preoccupare anche se ti scappa una sberla vera, non m'importa, picchiami...". Lui spiegava arrossendo che proprio non gli riusciva di alzare le mani su una donna, era piu' forte di lui. E poi, non solo non era capace di montare, ma addirittura aveva una incontrol- labile paura dei cavalli. Gli dettero un morellino docile e ammaestrato come u- na bestia da circo (se ci fate caso, in altre scene dello stesso BB&C lo monta anche Wallach, altro stracittadino negato per la sella). Ma per farlo salire in groppa ci voleva una sedia (giuro) e un uomo che reggesse l'animale. E dopo an- che scendere, ovviamente, era analoga tragedia. Pero' proprio sfruttando il terrore che irrigidiva Van Cleef, Leone ebbe il colpo di genio d'inventarsi quella ormai celeberrima discesa da cavallo del "Colonnello" e poi di "Sentenza" : ritto sulla staffa, lentissimo, un cobra pronto a scattare. Riguardatevela, se vi capita. Quella non era bravura d'atto- re, era semplicemente fifa riciclata.

MOSTRI E VOLONTE' Il film "Il mostro" fu offerto a Volonte', che era allora, nei primi anni '70, il massimo. A Gianmaria piacque moltissimo quel "dietro le quinte" di un giornalismo cinico e cialtrone, ma in quel momento si sentiva troppo "impegnato" per girare un semplice "film noir". E mi convinse a rielaborare lo stesso tema sull'attualita' piu' bruciante di quei giorni : nacque cosi' "Sbatti il mostro in prima pa- gina", che dopo varie vicissitudini fini' diretto (e politicamente esasperato e stravolto fino alla pallosa predicazione) da Marco Bellocchio. Il precedente "mostro" rimase in giro per scrivanie di distributori e produtto- ri finche' qualche anno dopo fece innamorare quello splendido regista che era Luigi Zampa. Il quale lo giro' anche con grande convinzione. Ma Dorelli, per quanto ce la mettesse tutta, era un protagonista sbagliatissimo : e tutta la storia era ormai percettibilmente "outdated". L'esito principale fu che molti giornalisti si offesero a morte per come la categoria era trattata nel film, e puoi non crederci ma molti di loro mi tengono ancora sulla lista nera. La verita' e' che per ogni film, come per un amore o per la frutta di stagione, c'e' un breve istante di perfezione passato il quale diventa un avanzo di fri- gorifero. In area Inglese, dove si parlava de "I due mondi di Charlie", ricor- davo che il protagonista Cliff Robertson era l'attore che Sergio Leone avrebbe voluto in "Per un Pugno di Dollari", e che Eastwood fu un "ripiego" dell'ultimo momento, scelto sopratutto perche' costava quasi niente. Mi sono sempre chiesto che cosa sarebbe successo se poncho e cigarillo li aves- se avuti Cliff Robertson. Magari non sarebbe scattata quella magica alchimia di successo, non sarebbe mai nato lo spaghetti-western, Leone avrebbe continuato a fare le 'seconde unita'" dei film americani e oggi il vecchio caratterista te- levisivo Clint Eastwood farebbe la parte di un maestro di equitazione ancora piacente che si spupazza due o tre siliconate di "Hollywood"... :-)

CHARLES BRONSON In un certo senso Charlie Bronson e' un altro dei "ripescaggi" di Leone di cui si parlava tempo fa. "C'era una volta il West" infatti e' il suo debutto in ve- ste di protagonista : prima la sua carriera era stata quella di un caratteri- sta, sia pure di lusso ("La Sporca Dozzina", "I Magnifici Sette") ma pur sempre un comprimario. Sul set di Leone, tuttavia, non ebbe vita facile perche' si trovo' strizzato fra i talenti di due mostri sacri come Henry Fonda e Jason Robards che per co- si' dire gli recitavano sopra la testa : un po' come se Bombolo fosse buttato alla ribalta con Gassman e Carmelo Bene. Ma se la cavo' con onore, anche per- che' il suo copione era fatto sostanzialmente di silenzi e di sguardi e di pi- ripiri di armonica a bocca... Al proposito mi ricordo che prima delle riprese mi cerco' per dirmi che gli sa- rebbe piaciuto rivedere con me la sua parte nel film. Ci sedemmo con la sceneg- giatura davanti e lui comincio' a pignoleggiare su ogni singola parola di ogni sua singola battuta con osservazioni del tipo : "Ma questo non si potrebbe dire in un altro modo?" E' il genere di domanda che fa imbufalire uno sceneggiatore, e io stavo per proporre la mia risposta acidula standard ("Certo, anche 'essere o non essere' si puo' dire con altre parole"), quando mi colpi' improvvisa la folgorazione : Bronson stava semplicemente cercando di estirpare dalle sue battute tutte le parole contenenti una esse! Questo perche' era afflitto da una leggerissima forma di quella che a Roma si chiama "lisca", per cui le sibilanti gli uscivano un po' fischiando. Mi venne da ridere e gli chiesi se non sarebbe stato piu' semplice spiegarmi subito e francamente il problema. Al che anche lui si fece una bella risata, diranno i miei piccoli lettori... Sarebbe una simpatica conclusione, ma invece nella vita reale successe che lui, da bravo crapone polacco, s'incupi' e mi ringhio' facendo gli occhi a fessura di Armonica : "Waddaya fay, be feriouf..." E mi batte' freddo da li' all'eter- nita'.