Lumanità dellinternet
(le vie della rete sono infinite)di Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
Capitolo 14
Globale si e no
Si fa un gran parlare di globalità e di globalizzazione e sembra che tutto sia sempre più concentrato. Le nazioni si aggregano (non solo in Europa) in unioni e federazioni. Leconomia è dominata da grandi imprese multinazionali che continuano a fondersi in strutture ancora più grandi. Il sistema dellinformazione è omogeneizzato su scala mondiale. In ogni angolo del pianeta si beve la cocacola, si mangiano gli stessi panini (o la pizza), si ascolta la stessa musica, si seguono le stesse mode. Ma è proprio così?
Abbiamo visto nel capitolo 6, a proposito di tecnologie e valori umani, che ogni spinta apparentemente dominante crea una spinta contraria. Lo stesso accade con la globalizzazione. Molti studi, condotti in ogni parte del mondo, dimostrano la co-evoluzione di globalità e diversità, di piccolo e grande, di mondiale e regionale, come componenti intimamente interconnesse del sistema. Vediamo crescere nellUnione Europea il valore delle culture regionali e locali. Ma anche nel resto del mondo le realtà culturali sono più complesse dei confini politici degli stati. La Cina comprende 56 nazioni diverse. In India si parlano 16 lingue. La vecchia Unione Sovietica era costituita da 104 gruppi etnici. Nel Sud America ci sono più di cento realtà etnico-linguistiche. Si parlano più lingue in Africa che in qualsiasi altro continente; per esempio ci sono 40 diverse identità etniche in Kenya, altrettante in Uganda e nel Gabon, più di 200 nello Zaire. Ci sono 300 gruppi etnici nelle 3000 isole dellIndonesia. Eccetera... Meno del dieci per cento delle nazioni nel mondo è etnicamente omogeneo.
Tutto questo non significa che gli stati nazionali si debbano spezzare. Alcuni si sono smembrati, altri forse si divideranno, molti continueranno a esistere (fra questi lItalia, che come unità politica è nata nel 1861 ma come realtà e coscienza umana e culturale esiste da duemila anni). Ma il fatto è che, man mano che la politica, leconomia e la cultura mondiale si globalizzano, cresce la spinta alla ricerca delle identità locali. Il mondo diventa tribale. Una parola che spaventa chi crede ancora che possano sopravvivere i grossi sistemi burocratici centralizzati, ma che invece va letta come positiva, come vitalità e molteplicità culturale.
LItalia, in questa situazione, è avvantaggiata. Non si tratta di smembrare il nostro paese, né discutibili sistemi di federalismo. Ciò che conta non è un problema politico-amministrativo ma una realtà culturale. LItalia ha la fortuna di essere un paese strutturalmente decentrato, con forti culture locali e regionali. Nel mondo della globalità, e specialmente nel mondo delle reti, questo diventa ancora di più un valore e un vantaggio.
Questa evoluzione ci sarebbe anche se non esistesse linternet. Ma la rete è al centro del cambiamento. Ed è lincarnazione del paradosso per cui nella globalità cresce limportanza dellindividuo, della diversità e delle piccole comunità umane.
In un libro pubblicato nel 1994, Global Paradox, John Naisbitt spiegava che più il sistema diventa globale, più crescono la forza e limportanza degli operatori più piccoli. Molti altri economisti e studiosi dellevoluzione sociale sono arrivati a conclusioni simili.
È ragionevole pensare che la rete sia il terreno naturale per lo sviluppo di scambi che trascendono e trascurano i confini delle nazioni; e realizzare quella combinazione dinamica di globale e locale, di condiviso e diverso, che è la linfa vitale di una nuova civiltà.
Un mondo in cui ogni persona può costruire una propria mappa globale tagliata su misura. Questa esigenza non nasce dalla tecnologia, ma dallevoluzione economica e culturale; le reti di comunicazione elettronica ne sono il naturale strumento.
Ci sono due internet?
La continua tendenza alla concentrazione che si nota nel mondo delle reti come in ogni altro settore mi aveva portato gradualmente a pensare che si stessero sviluppando due diverse internet. Non separate; perennemente incrociate, interdipendenti e co-evolventi; ma concettualmente contrapposte. Una sempre più pesante e centralizzata, secondo il modello dei mass media tradizionali; laltra apparentemente più piccola ma molteplice, diversa, complessa e diffusa, secondo il modello che gli ideatori della rete avevano in mente trentanni fa. Ma, per fortuna (e nonostante le apparenze) non è così. Lo sviluppo della rete (quella vera) ha superato la soglia oltre la quale non è più possibile riportarla nel solco dei sistemi centralizzati.
Nel settembre 1999 ho avuto un interessante incontro con uno dei padri dellinternet: Vint Cerf. Gli ho chiesto la sua opinione su questo argomento. Mi ha risposto che secondo lui il problema non esiste. La rete è quella che sappiamo. Molteplice, diffusa, decentralizzata; aperta, trasparente, compatibile, accessibile a tutti, senza alcun percorso o canale privilegiato. Così come è stata concepita e realizzata, non solo allorigine ma anche nel suo sviluppo successivo. Le parti centralizzate sono una presenza inevitabile, talvolta non inutile, ma sono solo un dettaglio; molto più ingombranti in apparenza che in realtà. «È naturale che i sistemi broadcasting facciano il loro mestiere, anche nellinternet; ma questo non cambia la natura né la struttura della rete».
È vero o no? Dipende da noi. In generale, il prevalere della centralizzazione tenderebbe a frenare lo sviluppo di tutti i valori (umani, culturali, sociali ed economici) che si evolvono per mezzo della rete. Ma nessuno potrà mai impedirci di scavalcare le fragili e fumose barriere dei grandi sistemi e trovare i nostri, personali e liberi, percorsi nella rete.
Per voce di un protagonista storico dellinternet, oggi la sfida americana si può leggere così: «Vi abbiamo dato un bel giocattolo, che funziona bene e che è uguale per tutti. Adesso fateci vedere come siete capaci di usarlo».
Non a caso gli americani usano, per la rete, la metafora della frontiera. Cè un territorio potenzialmente molto grande, anche se non infinito; non siamo ancora in grado di conoscerne i limiti, ma lo spazio esplorato finora è certamente piccolo rispetto allespansione che potrà avere. Per quanti frutti possano essere già stati colti, le possibilità di nuove esplorazioni sono moltissime e in gran parte imprevedibili.
La vera frontiera non è quella della mitologia western, descritta (e in buona parte inventata) da Hollywood. Non si tratta di pistoleri, avventurieri, briganti e giocatori dazzardo, ma di pionieri e agricoltori: capaci di coltivare con pazienza, di seminare bene e scegliere con giudizio la stagione del raccolto, di costruire esperienze e relazioni in grado di crescere e maturare. Lo spirito della frontiera, che animava la rete cinque o dieci anni fa, sembra essersi spento ora che linternet è quasi per tutti. Ma basta guardare un po al di là delle apparenze per scoprire che nella rete ci sono infinite possibilità di scoperta e di dialogo. Non solo per chi si affaccia oggi al mondo delle reti, ma anche per chi lo frequenta da anni, lavventura è appena cominciata.
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