Il potere della stupidità
Kali
Capitolo 15


La stupidità e l’abitudine


Anche in questo caso mi sembra necessaria una breve premessa. Non tutte le abitudini sono stupide. Molte possono essere utili, funzionali, comode e rassicuranti. “Cambiare per il gusto di cambiare” può essere divertente, ma non sempre le cose migliorano con il cambiamento. Ma la “forza dell’abitudine” può essere accecante, specialmente quando si associa alla stupidità (o all’ignoranza o alla paura).

L’abitudine è (o sembra) rassicurante. Fare e pensare ciò che è abituale ci dà un senso di falsa sicurezza. L’abitudine è sorella e complice di un’altra fonte di stupidità: l’imitazione. “Fare come gli altri” è spesso un modo per non pensare, non sapere, non capire, non decidere, non agire, non assumere la responsabilità del proprio comportamento.

Sono ovvie ed evidenti le parentele fra l’abitudine e la paura (se ne è già parlato nel capitolo 14). Si ha paura di uscire dal solco dell’abituale. Si ha paura di ciò che è “abitualmente” considerato pericoloso o inopportuno – anche quando un minimo di verifica ci dimostrerebbe che non lo è.

C’è anche un fenomeno inverso, per cui l’abitudine induce a non aver paura, né adeguata diffidenza, verso cose, persone o situazioni che non sono affatto rassicuranti per il solo fatto di essere “abituali”.

Disgrazie, malintesi, incomprensioni, disagi, anche situazioni drammatiche o tragiche sono spesso il risultato delle “false sicurezze” indotte dall’abitudine. Anche questo è un modo per scatenare il distruttivo potere della stupidità.

L’inganno, la truffa e la prepotenza usano spesso l’abitudine per ottenere una fiducia che non meritano – o per imporre la loro volontà senza reale o giustificabile motivo.

Sono chiare anche le relazioni fra l’abitudine e l’ignoranza. Spesso le “cattive abitudini” possono derivare da una mancante o inadeguata informazione o comprensione della realtà (o delle vere origini di ciò che è diventato abituale). E altrettanto spesso l’abitudine ci porta a non guardare al di là delle apparenze, a non approfondire oltre la superficie, a non cercare di sapere di più o di capire meglio.

L’abitudine, ovviamente, è nemica dell’innovazione. Ma il problema non è così semplice come può sembrare. Fra le “cattive abitudini” c’è anche quella di accettare il “nuovo” senza chiederci se sia nuovo davvero – o se questa o quella particolare novità ci sia davvero utile. (Vedi Le ambiguità dell’innovazione).

L’abitudine di inseguire indiscriminatamente le novità e le mode è parente stretta dell’ignoranza e della stupidità – e anche della paura di essere, sembrare o sentirsi diversi.

C’è un’ambiguità anche nel concetto di “buone maniere”. La cortesia è una qualità importante (e una forma non irrilevante di intelligenza). Quando è sincera e sentita può aiutarci anche a capire gli altri, ad ascoltare, a imparare – e così diminuire l’ignoranza, la paura e la stupidità.

Perfino il “cerimoniale” non è sempre inutile o privo di senso. Ed è importante saper rispettare gli “usi e costumi” di altri, anche quando non li comprendiamo o condividiamo, per non creare inutili e pericolose incomprensioni.

Ma quando i comportamenti convenzionali diventano una prigione, ci annebbiano la capacità di esprimerci o di capire, dobbiamo avere il coraggio di “violare le regole”. Ed è bene, comunque, sapere quali “regole” stiamo seguendo perché ci crediamo – e quali, invece, sono solo abitudini convenzionali.

Non è sempre necessario o ragionevole “rompere le abitudini” o “trasgredire le regole”. Ma se accettiamo troppo facilmente regole e abitudini senza conoscerne il motivo e il significato rischiamo di chiuderci in una condizione di “obbedienza cieca” che ci rende ignoranti, stupidi e inutili a noi stessi e agli altri.

L’immaginazione, la fantasia, la curiosità e il gusto della diversità sono nutrimenti dell’intelligenza. L’abitudine tende ad allontanarci da queste preziose risorse. Spesso l’abitudine ci rende ciechi, perché ci impedisce di cogliere segnali interessanti che sono intorno a noi ma non riusciamo a vedere.

Rompere o modificare le abitudini non è facile. Le nostre strutture mentali (oltre ai fattori culturali e sociali) ci inducono continuamente a ritornare alle abitudini anche quando ne siamo, momentaneamente, usciti.

Uno dei modi per rompere il “circolo vizioso” delle abitudini è sostituirle con abitudini diverse – per esempio “abituarci” a essere più curiosi, più aperti, più disponibili alle scoperte che spesso ci passano davanti, ma ci sfuggono perché siamo incapaci di vedere ciò che non rientra negli schemi abituali.

Fra le risorse di intelligenza, naturalmente, ci sono l’umorismo e l’ironia. Ma, anche in quel caso, è importante saper distinguere fra il “barzellettismo” convenzionale (che spesso è il frutto dell’abitudine e la ripetizione di poco illuminanti cliché) e l’autentico umorismo che ci apre nuovi orizzonti – specialmente quando è accompagnato da una buona dose di autocritica e autoironia. Uno dei tanti modi di essere stupidi è prendersi troppo sul serio.

Mi sono chiesto, mentre lavoravo su questi appunti, se fra le sorelle della stupidità ci sia anche la pigrizia. Quando si tratta di pigrizia mentale (un malanno molto diffuso) è indubbiamente connessa con l’abitudine, l’ignoranza e la stupidità. Ma ci sono comportamenti che possono sembrare “pigri” mentre sono forme di intelligente saggezza.

Sottrarsi all’imperversante imperio della fretta, trovare il tempo per pensare (o per divertirsi, riposare e liberarsi la mente) è spesso più intelligente, o comunque meno stupido, che lasciarsi continuamente confondere e travolgere da una quotidiana e frettolosa ripetitività.

Non sempre “l’ozio è il padre dei vizi”, come dice un antico proverbio (nato all’epoca in cui il “dolce far niente” era riservato alla casta dominante – e per tutti gli altri era considerato peccaminoso). L’ozio può essere il padre della meditazione, dell’approfondimento, della libertà di vivere, sentire e pensare. Talvolta “lasciar vagare la mente” è un modo per capire meglio cose che ci sembravano difficili o confuse – e distrarsi per un po’ di tempo è un modo per trovare la chiave di problemi che ci sembravano insolubili.

Molte cose intelligenti, sviluppi di conoscenza, innovazioni, scoperte scientifiche, eccetera, sono nate da quelli che l’opinione dominante considerava “pensieri oziosi” – o pericolose violazioni del “sapere” convenzionale, scomode rotture di quelle abitudini che così bene si adattano alla stupidità del potere.

A che cosa serve la conquista, nelle società moderne, del “tempo libero” che per millenni era stato il privilegio di pochi, se si trascorre gran parte di quel tempo rinchiusi nella prigione di passive ripetitività, nella schiavitù delle abitudini?

Dovremmo proporci, ogni giorno, di rompere qualche abitudine. Anche solo trovare una strada diversa per andare in un luogo abituale (nei percorsi stradali come in quelli della mente) può riservarci interessanti sorprese. La ginnastica mentale non sta nel ripetere all’infinito gli stessi esercizi, ma nel cercare continuamente qualcosa di nuovo – o un modo nuovo di pensare alle stesse cose. Come molte cose intelligenti, non è solo utile. Può essere anche molto divertente.


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Come dicevo all’inizio del capitolo 13, l’elenco delle sorelle, degli alleati e delle cause della stupidità potrebbe allungarsi quasi all’infinito. Ma credo che non sia inutile pensare a come si combinano, in tanti modi, la stupidità, l’ignoranza, la paura e l’abitudine.

Come la stupidità – anche le sue “sorelle” si moltiplicano e si complicano quando sono “collettive”.

L’ignoranza si diffonde più facilmente della conoscenza. Le convinzioni più sciocche e irragionevoli trovano conferma solo perché sono diffuse e condivise.

La paura diventa catastrofica quando è “di massa” – e anche in ambiti più ristretti si può trasmettere da una persona a un’altra senza alcun reale motivo.

Le abitudini sociali, o di gruppo, diventano spesso passive obbedienze, schiavitù mentali, di cui può essere difficile liberarsi.

L’unione e l’interazione di queste forze possono produrre risultati disastrosi. Ma, d’altro lato, infrangerne una, o anche solo ridurne l’intensità, può aiutarci ad attenuare anche le altre.

Se riusciamo a diventare un po’ meno ignoranti, ad avere un po’ meno paura, a essere un po’ meno prigionieri dell’abitudine, abbiamo una buona possibilità di essere meno stupidi – e così non solo più utili agli altri, ma anche più contenti di noi.


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Un attento lettore ha giustamente criticato il fatto che, fra i malefici fratelli della stupidità, non ho citato con sufficiente evidenza il “fondamentalismo”. Le sue osservazioni, con alcuni miei commenti, sono on line in La stupidità del fondamentalismo – e non si tratta solo di “fondamentalismo” religioso o ideologico, ma anche politico, sportivo, sociale, economico, aziendale...

Si potrebbe, nella stessa prospettiva, parlare di integralismo, dogmatismo, assolutismo, fanatismo... eccetera. Ci sono anche considerazioni, suggerite da altri lettori, riguardanti l’oscurantismo e la superstizione, che si trovano nei capitoli 23 e 24.

In sintesi, in questa epoca che immaginavamo governata dalla conoscenza, dalla scienza e dal pensiero “illuminato” della ragione, siamo ancora preda di ogni sorta di pregiudizi, di superstizioni e di insostenibili “credenze”. Un male che non sta solo nei “grandi eventi” o nelle più drammatiche tragedie, ma si annida in ogni angolo delle vicende umane. Un altro esempio di come la stupidità sia capace di assumere ogni sorta di aspetti diversi e di ridurci al suo servizio con un’infinità di travestimenti.



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