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Cenni di storia dei sistemi
di informazione e comunicazione



I quotidiani


Uno dei più solenni elogi del giornalismo fu una dichiarazione di Thomas Jefferson nel 1787. «Se fossi costretto a scegliere fra un governo senza giornali, o giornali senza un governo, non esiterei a preferire la seconda scelta».

Ma non mancavano, anche in passato, opinioni meno benevole – come un’osservazione di Honoré Balzac citata da Alberto Cavallari: «Se la stampa non ci fosse, bisognerebbe soprattutto non inventarla. Il giornalismo è un inferno, un abisso d’iniquità, di menzogne, di tradimenti, che non possiamo attraversare, e dal quale non possiamo uscire puliti».

Forse il primo “quotidiano” della storia fu il foglio degli acta diurna che veniva affisso in tutta Roma nel 59 avanti Cristo. In varie epoche successive c’erano “gazzette”, diffuse in vari modi, anche se raramente a disposizione del “grande pubblico” (anche perché erano poche le persone che sapevano leggere).

Pare che la prima forma di “giornalismo” fosse la diffusione di notiziari manoscritti, nell’Europa rinascimentale, fra i mercanti che si scambiavano notizie sulla situazione economica, politica e militare, su usanze, costumi e tendenze, con contenuti anche “umanistici” e culturali.

I primi precursori dei giornali furono bollettini stampati, spesso sensazionalistici, diffusi in Germania nella seconda metà del Quattrocento. Seguirono varie forme di comunicazione stampata, ma uscivano irregolarmente, quando c’era qualche notizia da diffondere, senza una precisa periodicità.

Il primo quotidiano, The Daily Courant, uscì a Londra nel 1702. In Francia il Journal de Paris nel 1777. Negli Stati Uniti il Pennsylvania Packet nel 1784. I primi quotidiani italiani uscirono molto più tardi – dopo il 1840. Per esempio Il Corriere Mercantile di Genova, nato come bisettimanale nel 1824, divenne quotidiano nel 1844. La Gazzetta del Popolo, nata a Torino nel 1848, continuò a uscire fino al 1983. L’Osservatore Romano uscì nel 1849 e divenne quotidiano nel 1851 – nel 1870 assunse il ruolo di organo ufficiale del Vaticano.

La Gazzetta di Mantova e la Gazzetta di Parma si contendono il titolo di “più antico giornale d’Italia”. La prima rintraccia le sue origini fino a un “aviso” che usciva alla corte di Mantova a partire dal 1664. La Gazzetta di Parma, invece, uscì per la prima volta nel Settecento, ma dal 1758 ha avuto più continuità (divenne quotidiana nel 1850).

Anche se in alcuni paesi c’erano quotidiani nel diciottesimo secolo, una larga diffusione si sviluppò nel diciannovesimo, in particolare dopo l’invenzione del telegrafo nel 1844. Un altro impulso alla “quotidianità” delle notizie venne dalla nascita del telefono nel 1877. C’erano giornali “illustrati” anche negli anni precedenti, ma le prime fotografie furono pubblicate nel 1880. La diffusione dei servizi fotografici ebbe un forte aumento dopo la nascita della “telefoto” nel 1927 (la telescrivente esisteva dal 1922).

La prima agenzia di informazione per la stampa fu la francese Havas nel 1835, seguita dalla Associated Press negli Stati Uniti (1848), dalla Wolff in Germania (1849) e dalla Reuter in Inghilterra (1851). In Italia la Stefani, a Torino, nel 1853.

Fra i più antichi quotidiani italiani ci sono La Nazione, nata a Firenze nel 1859, il Giornale di Sicilia (1860), il Corriere Adriatico (1860), il Roma di Napoli (1862), l’Arena di Verona (1866), il Corriere della Sera (1876), il Messaggero (1878). La Gazzetta Piemontese, nata nel 1867, nel 1895 divenne La Stampa. Il Sole, che usciva dal 1865, cent’anni dopo si è fuso con il 24 Ore (che era nato nel 1946).

Ci fu un aumento del numero di quotidiani dal 1880 in poi. Per esempio l’Eco di Bergamo (1880), il Piccolo di Trieste (1881), la Libertà di Piacenza (1883), il Secolo XIX di Genova (1886), il Gazzettino di Venezia (1887), la Prealpina di Varese (1888), l’Unione Sarda (1889), il Mattino di Napoli (1891), la Provincia di Como (1892). Il Giornale delle Puglie, nato nel 1887, divenne poi la Gazzetta del Mezzogiorno. Il Telegrafo, che usciva dal 1887, prese il nome di Tirreno nel 1945 (e poi definitivamente nel 1977). Il Resto del Carlino nacque a Bologna nel 1885 prendendo il nome dalla moneta di cui era il “resto” di due centesimi (nello stesso anno a Firenze un giornale che si vendeva nelle tabaccherie si chiamava Il Resto del Sigaro). La Gazzetta dello Sport, nata come bisettimanale nel 1896, divenne quotidiano nel 1913.

La diffusione della stampa in Italia nel diciannovesimo secolo era limitata dall’esteso analfabetismo. La “tiratura” complessiva dei quotidiani non superava le 500 mila copie. All’inizio del ventesimo secolo, quando alle repressioni del 1898 seguì una fase politica di maggiore libertà, e con lo sviluppo industriale aumentarono le concentrazioni urbane, ci fu una crescita del numero di testate – e un notevole aumento della diffusione.

Nel 1913 Giovanni Giolitti dichiarava che in Italia si leggevano, ogni giorno, cinque milioni di copie di giornali. Se per “giornali” si intendessero solo i quotidiani, il quadro sarebbe catastrofico – cioè se allora erano 20 per 100 abitanti oggi, in percentuale, sarebbero la metà. Il declino è meno preoccupante se nella definizione “giornali”, come allora si usava, comprendiamo anche i periodici. Ma il fatto è che la diffusione della stampa in Italia ha avuto una crescita stentata.

Dopo la prima guerra mondiale si aprì nel resto dell’Europa una nuova fase di sviluppo, ma in Italia la situazione fu bloccata dall’avvento del fascismo, che non solo impose la censura ma limitò anche il numero delle testate (favorendo quel fenomeno di concentrazione che poi è continuato fino ai nostri giorni).

Prima della seconda guerra mondiale c’erano 66 quotidiani in Italia, con una “tiratura” complessiva di 4.600.000 copie. Il Corriere della Sera, che nel 1920 era arrivato a 750.000 copie, negli anni ’40 ne stampava 500.000 (è ancora al primo posto fra i quotidiani in Italia, con una tiratura di quasi 900.000 copie e una diffusione di oltre 700.000).

Nel dopoguerra il numero di testate crebbe rapidamente, fino a 136, per poi scendere a 111 nel 1952, a 96 nel 1961 e a 75 nel 1975. La diffusione dei quotidiani cresceva poco – o addirittura diminuiva. La “tiratura” complessiva nel 1975 era di 6.251.000 copie rispetto a 6.341.000 nel 1965. Nello stesso periodo la diffusione (copie vendute) era scesa da 4.765.000 a 4.415.000.

Da allora la situazione non è molto cambiata. Il numero di testate è di nuovo aumentato (ce ne sono circa 180 – ma molte che erano indipendenti oggi fanno parte di grossi gruppi editoriali). La diffusione, come vedremo più avanti, alla fine degli anni ’80 aveva superato i sei milioni di copie, ma dal 1994 rimane più bassa. In rapporto alla popolazione è inferiore ai livelli d’anteguerra.

L’Italia era ed è fra i paesi più arretrati in Europa per diffusione e lettura della stampa quotidiana. Il problema è noto e ampiamente dibattuto. Ma quella che continua a mancare è una soluzione.

Un fatto nuovo è la diffusione, in alcune città, di giornali distribuiti gratuitamente nelle stazioni delle metropolitane e in altri luoghi “frequentati”. Dal primo uscito a Roma nel 1999 si è arrivati alla diffusione in dieci città italiane (con tre testate a Milano e Roma, due a Bologna, Firenze, Napoli e Padova, una a Bari, Torino, Venezia e Verona). Si riempie così, in parte, lo spazio lasciato vuoto dal mancato sviluppo in Italia dei quotidiani “popolari” e dall’estinzione dei “pomeridiani”. Il numero di copie stampate è rilevante: secondo le dichiarazioni degli editori nel 2003 sarebbe arrivato a due milioni. Ma il fenomeno è limitato ad alcune aree urbane, raggiunge solo sporadicamente quella parte poco attiva della popolazione che è meno abituata alla lettura – e non incide molto sulla situazione complessiva della stampa. È anche aumentato il numero dei periodici “gratuiti”, diffusi in diversi canali, ma con un effetto marginale sulla diffusione totale e sulla lettura.

La libertà di stampa ebbe in tutti i paesi, e in particolare in Italia, un’evoluzione complessa, con fasi di progresso e periodi di repressione e censura. Su questo tema, che riguarda la stampa periodica quanto quella quotidiana, ritornerò poco più avanti.

Anche l’analisi quantitativa delle tendenze è più chiara quando si osservano insieme quotidiani, settimanali e mensili. Perciò i grafici riguardanti diffusione e lettura sono raggruppati alla fine delle osservazioni riguardanti la stampa, dopo un po’ di spazio dedicato all’evoluzione storica dei periodici.




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