Offline Riflessioni a modem spento


Il superfluo
obbligatorio

settembre 2002

also available in English



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Vorrei chiarire subito che l’argomento di questo articolo non è una condanna generica del “superfluo”. Ciò che non è indispensabile non è, in sé, un male. Al contrario, è un diritto e un’esigenza di libertà. In ogni cultura umana, anche nelle più semplici e antiche, ci sono valori importanti che non sono le più immediate e materiali necessità. Se si volesse bandire il “superfluo” si rischierebbe di far sparire il pensiero, l’arte, la musica, la poesia, la conversazione, il “tempo libero”. Quando si osservano le condizioni della parte più “povera” dell’umanità non basta pensare al cibo e alla salute. Non sono meno gravi altre privazioni, come quella della libertà o dell’informazione.

Insomma il “superfluo” è importante, anzi necessario, per ogni condizione umana. E se ci sono persone che spendono tempo e denaro su cose che ad altri di noi possono sembrare futili – finché se lo possono permettere, e così facendo non danneggiano il prossimo o l’ambiente, hanno l’indiscutibile diritto di divertirsi come vogliono.

Il problema nasce quando il superfluo, l’inutile e il fastidioso non sono una nostra libera scelta, ma qualcosa che ci viene imposto. Arnesi od oggetti, comportamenti o abitudini, che qualcuno vuole far diventare “obbligatori”. Nel precedente articolo di questa serie ho già parlato delle insidie della moda. Ma non si tratta solo di quelle.

Fra i valori importanti della nostra epoca c’è una più intensa percezione della libertà. Non in tutto il mondo, ma in molte culture, compresa quella in cui viviamo. Crediamo (almeno a parole) nella libertà individuale, nel diritto alla riservatezza, nella possibilità che ognuno deve avere di non seguire usanze o costumi, di pensare e comportarsi come vuole.

Un sistema di comunicazione interattivo e molteplice come l’internet dovrebbe essere – e infatti è – presidio e strumento di libertà, immaginazione, fantasia, diversità e libertà di opinione. Ma sembra che molti vogliano far tornare indietro l’orologio della storia.Trovare nuovi modi per imporre passività, imitazione e sudditanza. In tutti i modi di essere e comunicare – perfino online.

In parte l’obbedienza viene imposta con la forza. Anche se nessuno ci minaccia con uno schioppo siamo costretti e condizionati da un’infinità di ostacoli materiali (anche banali, come un ingorgo del traffico o una coda a uno sportello) o dalle infinite storture della burocrazia e di leggi e norme mal concepite e peggio applicate (per non parlare di “contratti” che non sono libera intesa fra contraenti, ma imposizione di una delle parti – come le assicurazioni, le licenze dei software, eccetera). Altrettanto costrittive e repressive sono le strutture gerarchiche in cui (contro ogni logica dell’efficienza) prevalgono la prepotenza e l’intrigo.

A tutto questo si aggiunge una forma bizzarra e perversa di seduzione, che cerca di rendere obbligatorio il superfluo. Cioè trasformare un diritto di libertà in un dovere di obbedienza. Con sembianze seducenti, con sorrisi stereotipati, con benevolenze di maniera, si induce un meccanismo di passiva imitazione.

Prodotti e servizi non si propongono per la loro utilità, ma come una magica “esperienza” o come la tessera di affiliazione a un’immaginaria comunità. A quale misero livello può ridursi un essere umano se quando usa un aggeggio qualsiasi pensa di “appartenere” a quella cosa o alla marca che la rappresenta?

Questo meccanismo viene addirittura teorizzato come se fosse chissà quale innovazione – quando si tratta di manierismi vecchi e consunti, talvolta ragionevoli nel caso di prodotti o servizi che per loro natura riguardano più l’apparire che l’essere, ma ingiustificabili se diventano una panacea e se nell’esasperata cultura-spettacolo tutto si confonde, tutto è uguale e monotono, ripetitivo e noioso.

Questi modi di essere e di esprimersi spesso nascondono una mancanza di valori. Quando l’attenzione si concentra sulle manipolazioni dell’apparenza si perdono di vista quelle realtà di qualità e servizio che sono l’unico solido e durevole motivo di sopravvivenza di un’impresa e del suo profitto.

L’idolatria del futile e dell’inutile, presto o tardi, dovrà perdere il suo ossessivo predominio. Ma intanto non è necessario aspettare che ci sia un “cambiamento di moda”. Ci sono terreni fertili per andare “contro tendenza”. Ottime occasioni per chi sa mettere i piedi per terra, mantenere ciò che promette, offrire con chiarezza e senza inutili orpelli qualcosa di preciso che svolge bene il suo compito nel modo più semplice e pratico. Compreso, magari, anche qualcosa di “superfluo” – ma davvero piacevole, interessante, stimolante e divertente.


 

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