Più ascolto e leggo sulla new economy e
meno capisco. Due o tre anni fa sembrava che almeno le
premesse fossero chiare. Un fenomeno complesso, turbolento,
in gran parte imprevedibile, ma con unidentità
abbastanza precisa. Adesso quella definizione è usata
in così tanti modi diversi che non si capisce
più che cosa sia o se esista davvero. Mi sembra che
possa essere utile fare un passo indietro e cercare di capire
come e perché si è arrivati a parlare di
nuova economia.
Il discorso sarebbe meno confuso se non si parlasse di
old economy come se ci fosse una guerra frontale fra due
eserciti contrapposti, fra due umanità diverse. Una
che si immagina più illuminata e moderna,
innovatrice e tecnologica; laltra che si considera
più saggia e concreta, sostenuta da buon senso, con i
piedi per terra in una realtà che rimane fatta di
persone e non governata dai computer.
Del cambiamento in cui stiamo vivendo si parlava
ventanni fa. Si diceva (ed è vero) che stava
arrivando la terza ondata nelleconomia e nella
società umana. La prima, lagricoltura, ci aveva reso
stanziali. Aveva fatto nascere i sistemi e le regole di
comportamento che ancora oggi ci governano. La seconda,
lindustria, aveva portato alla moltiplicazione dei beni e
dei prodotti, a una disponibilità diffusa di cose che
prima non cerano o erano riservate a pochi; ma anche a
unaspra e crudele separazione fra chi può disporre
dellabbondanza e chi no e a una deprimente
standardizzazione non solo delle cose ma anche del
pensiero.
Naturalmente il nuovo non elimina il
vecchio. Lindustria non ha abolito
lagricoltura; nellera dellinformazione non sparisce
lindustria. Se oggi la conoscenza è la leva
più importante, non significa che chiuderemo le
fabbriche o smetteremo di coltivare la terra.
Nel 1980 Jean-Jacques Servan-Schreiber ne parlava
così:
Nelletà post-industriale la finitezza
di sempre, che ci opprimeva e ci imponeva la sua legge, si
infrange. A portata degli uomini si trova finalmente la
risorsa infinita, lunica: linformazione, la conoscenza,
lintelligenza.
Sembra un sogno poetico, ma non lo è. Nellera
dellinformazione questo è davvero possibile. Se il
sogno non si è realizzato è
perché nella nuova epoca non siamo ancora
entrati davvero; e perché non abbiamo ancora capito
come servircene per migliorare la qualità della
vita.
Ma intanto qualcosa è cambiato. Cè stata
unevoluzione imprevista: leconomia della rete. Ventanni fa
nessuno immaginava che ci sarebbe stata una così larga
diffusione del personal computer. Linternet era
già nata ma non si sapeva che sarebbe diventata un
sistema diffuso e alla portata di tutti.
Circa tre anni fa si cominciò a parlare di
società connessa come qualcosa di diverso
dalla società dellinformazione. La
terza ondata cè ma non si basa sulla
potenza dei grandi computer o su pochi grandi centri di
informazione. Si basa sulla rete, che è un ecosistema
complesso in cui ciò che conta è la
molteplicità di innumerevoli punti di
informazione e di scambio e delle loro infinite interazioni.
Di nuovo questa possibilità ispira un
sogno. Diceva Kevin Kelly, proprio tre anni fa,
nel settembre 1997:
Leconomia connessa mette laccento sui valori umani.
Ciò che è ripetitivo, sequenziale, copia e
automazione tende verso il gratuito; mentre cresce il valore
di innovatività, originalità, fantasia.
Anche questa è fantasia poetica? No. Anche questa
è una possibilità reale. Ma perché
diventi una realtà vissuta e diffusa ci vorrà
tempo; e soprattutto una cultura del nuovo che ne
capisca i valori profondi e le antiche radici
pre-industriali.
Non è una guerra. È unevoluzione. In ogni
fase evolutiva ci sono, inevitabilmente, conflitti e
asperità. Ma sono dettagli. Per nostra fortuna non si
tratta dei conflitti in natura dove gli
scoiattoli grigi ammazzano quelli rossi. Si tratta di
unevoluzione di metodi e di idee in cui è possibile
arrivare al nuovo senza ammazzare il
vecchio o perdere quei valori che ci conviene
coltivare. Ci vuole un senso forte di libertà, di
profondo rispetto reciproco, di condivisione dellesperienza
e della conoscenza. Che tutto questo si chiami new economy o
in un altro modo non è importante. Ciò che
conta è che si tratta soprattutto di valori umani; e
se non si coltivano quelli le tecnologie sono inutili, quando
non sono un impiccio.