Offline Riflessioni a modem spento


Il “cattivismo”
ha le gambe corte

marzo 2000

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  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
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Da che mondo è mondo, si pensa spesso che "buono" voglia dire "stupido". È sempre stata diffusa l’idea che i "troppo buoni" siano le vittime designate; che il mondo appartenga ai furbi e ai prepotenti. Anche se i fatti hanno dimostrato che non è sempre così. Tanti che si credono furbi inciampano nelle loro bugie e nelle loro false certezze, vanno a infilarsi in trappole abbastanza vistose ma invisibili alla loro arroganza.

Il fatto è che spesso i furbi sono stupidi. Nella classica definizione di Carlo Cipolla sono "intelligenti" le persone che fanno bene a sé e agli altri. Sono "banditi" quelli che fanno male agli altri e bene a se stessi; "stupidi" quelli che fanno male agli altri ma anche a sé. Molti dei furbi e dei prepotenti sono banditi che scivolano facilmente nella stupidità; e poiché sono presuntuosi non se ne accorgono.

Oggi è di moda il "cattivismo". Criticare il "buonismo" è giusto, perché è una finzione. Ma ciò non significa glorificare la malvagità e l’opportunismo. Né accettare la tesi di chi pensa che siamo tutti corrotti, tutti bugiardi, tutti complici di una cultura sempre più spenta in un egoismo (ed egotismo) grossolano e superficiale; che questo è il mondo in cui viviamo e che non abbiamo altra scelta.

Business is business, sentiamo dire. Purché ci sia guadagno tutto è buono, tutto è accettabile. L’unica misura che conta è il denaro o la carriera. Tutto il resto è chiacchiera o vano sentimentalismo. Ma è proprio vero?

Non mi risulta che Antonio Fazio, governatore della banca d’Italia, sia un professore di etica o un predicatore di bontà e di altruismo. Il suo mestiere è badare ai soldi. Eppure in un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera del 27 febbraio ha detto, chiaro e tondo, che occorre «investire di più nell’educazione, nella ricerca. Il segreto è questo: la conoscenza. La politica economica e monetaria stavolta conta di meno». E anche: «Adam Smith, che non per niente era professore di filosofia morale, insiste sul concetto di sympathy, che non è simpatia, ma sentire comune. Quella che Maritain chiama amicizia civile, philia per i Greci. L’uomo economico non è buono per definizione; dev’essere onesto. La concorrenza deve avvenire in un contesto di regole civili. Non si fa con i bilanci falsi o corrompendo gli altri». E infine: «Non c’è società se non c’è economia, ma la società non può essere solo economica. Esistono dimensioni morali, civili e spirituali. Esiste un equilibrio sociale». Se si dimenticano le responsabilità, la correttezza, i doveri sociali, l’unico esito possibile è la catastrofe. E quando ce ne accorgiamo è troppo tardi.

Trascinati dall’esempio, sempre più squallido, della nostra sciagurata classe politica (senza rilevante distinzione di tendenza o di colore) ormai sembra che tutti siano arruolati, armi e bagagli, nell’esercito dei grassatori. Arraffare in fretta, sgomitare per un effimero successo, arricchirsi con qualunque mezzo. Scendere a qualsiasi compromesso pur di ricavarne un guadagno; e intanto parlare, a vanvera, di "professionalità".

L’internet, mi chiedono spesso, è la medicina magica che ci salverà dall’imperio dei bugiardi, dall’oppressione culturale, sociale, civile ed economica? O è un ennesimo strumento delle stesse fregature che ci stanno sempre più somministrando gli altri sistemi di comunicazione? Confesso che, qualche anno fa, credevo un po’ nella prima ipotesi. Ma sbagliavo. Nessun sistema, in sé può portare soluzioni; dipende da chi e come lo usa. Ma una cosa è vera: la rete rende possibili nuovi sviluppi di civiltà, di collaborazione, di comunità. Per chi ha voglia di farlo.

Che cosa c’entra, tutto questo, con il business? Parecchio. Chi ha capito che cosa significa davvero "nuova economia" sa che il customer empowerment, il maggior potere del cliente, non è una frase fatta ma un fatto concreto. Le imprese che invece di temerlo sanno come interpretarlo, e si impegnano in un miglior servizio ai loro clienti, possono davvero creare una comunità in cui si lavora insieme con reciproco vantaggio. E così arricchirsi contemporaneamente di denaro e di preziosi rapporti di di fiducia e di collaborazione attiva. Questa è la vera, grande scommessa che ci sta davanti. Vedremo chi la saprà vincere.




Note:

Il geniale saggio di Carlo M. Cipolla Le leggi fondamentali della stupidità umana è stato pubblicato da Il Mulino nel volumetto intitolato Allegro ma non troppo (uscito nel 1988 e ristampato molte volte).  Un mio piccolo appunto su The power of stupidity è uscito online in inglese nel 1996 – si sono poi aggiunte altre osservazioni, anche in italiano, sullo stesso argomento. A questo proposito vedi anche Le grandi leggi: Murphy, Parkinson, Peter e Cipolla.

Fra le tante sciocchezze nelle farraginose opere di Marshall MacLuhan, la più spesso citata è la più stupida di tutte. Non è vero che "il mezzo è il messaggio". Inoltre l’internet non è un "mezzo", come la televisione, la stampa e la radio. È un sistema molteplice ed esteso, con possibilità rivoluzionarie nella comunicazione, nella società e nell’economia.



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