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I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
23 – giugno 2004


La triste fine di Netscape

Sono passati dieci anni dalla nascita di Netscape. Non è vero che sia del tutto morto, ma continua a diminuire il numero di persone che lo usano – e da anni, ormai, non ne è più sostenuto lo sviluppo. Se qualcuno ne fa un necrologio, o anche solo accenna alla sua storia, la risposta più diffusa è un distratto «che m’importa, tanto c’è Explorer». Ma il fatto non è così banale.

In realtà c’è un Netscape che continua a svilupparsi – e che ha un preciso ruolo. Si chiama Mozilla ed è un diretto discendente dell’originario Netscape. È il browser più diffuso nei sistemi opensource. Ma prima di guardare la situazione di oggi è meglio ricostruire un po’ di storia.


C’è chi pensa che l’internet sia nata con Netscape. Naturalmente non è così. L’ìnternet esisteva da vent’anni. – e il sistema web dal 1990. (Vedi la cronologia in appendice a L’umanità dell’internet). La diffusione di connessioni world wide web cominciò con il primo browser, Mosaic, nel 1993. Ma si allargò di più a partire dal 1994, con la nascita di Netscape.

L’esordio di Netscape fu trionfale – e per anni fu acclamato come uno dei più grandi successi nella storia dei nuovi sistemi di comunicazione. La sua nascita coincise con il momento in cui si cominciavano a rendere largamente disponibili le connessioni all’internet – e, contemporaneamente, si diffondeva su scala sempre più ampia il sistema web. Agli occhi di molti, che non conoscevano la rete prima del 1994, sembra che all’inizio di tutto ci fossero già i siti web – e che non sia mai esistita un’internet senza Netscape.

Presto Netscape divenne qualcosa di più di un browser. Offriva anche altre risorse di comunicazione, compresa una gestione e-mail che funzionava bene. Il suo predominio sembrava inattaccabile. Ma entrarono in gioco le manovre speculative.


C’erano grosse organizzazioni che si chiamavano Compuserve e America OnLine. Non erano BBS, ma imprese commerciali, che offrivano connessioni e servizi in rete indipendentemente dall’internet.

Compuserve esisteva dal 1979 e AOL dal 1985. Nel 1994 tutte e due si erano trasformate in provider, ma anche con una diffusa disponibilita di accessi all’internet avevano mantenuto gran parte della loro clientela (milioni di persone negli Stati Uniti) che era abituata al loro servizio e non aveva voglia di cambiare. (Declinò invece Prodigy, che in epoche precedenti aveva avuto una notevole affermazione).

AOL né Compuserve, nonostante i loro forti tentativi di allargarsi su scala internazionale, riuscirono ad affermarsi in modo duraturo fuori dal loro mercato d’origine. Ma negli Stati Uniti avevano, e mantenevano, una presenza importante.


Nel 1997 AOL comprò Compuserve e nel 1998 si impadronì anche di Netscape (ma non della versione opensource, cioè Mozilla, che è rimasta indipendente). Sembrava un’alleanza naturale – il più affermato servizio commerciale online negli Stati Uniti e il più noto browser su scala mondiale. Ma le cose andarono in tutt’altro modo. (Vedi Il dilemma dei browser).

In realtà il quadro è più complesso – con vari aspetti torbidi e oscuri. Per esempio Compuserve nel 1997 fu comprata da WorldCom, che cedette una parte delle sue attività ad America OnLine. Varie manovre di quel genere furono oggetto di scandali e indagini giudiziarie, fino a quando nel 2002-2003 WordCom precipitò in una situazione fallimentare, con processi per frode e falsificazione di bilanci.

Invece di concentrarsi sullo sviluppo di Netscape e sulle sinergie che avrebbero potuto migliorare la qualità dei suoi servizi, AOL saltò sull’onda delle speculazioni finanziarie e nel 2000 andò a fondersi con un enorme gruppo di attività di comunicazione che, a sua volta, era il risultato della fusione di diverse grandi imprese nel settore editoriale e dello spettacolo (Time Warner, fra l’altro, era ed è proprietaria di CNN).

Sembrò allora che Davide avesse ingoiato Golia. Cioè che una relativamente piccola impresa internet avesse “comprato” un gigante delle comunicazioni. E infatti subito dopo la fusione sembrava che dovesse essere AOL a guidare il gruppo verso ipotetici successi di “convergenza” e di sinergia. Ma quei progetti si rivelarono costosamente irrealizzabili. Con risultati così catastrofici da mettere a rischio la sopravvivenza dell’intero gruppo.


Lascio agli esperti in manipolazioni finanziarie il compito di spiegare come i conti potessero essere falsificati a tal punto da sopravvalutare AOL oltre i limiti delle più azzardate ipotesi. Ma sappiamo che quello era il periodo di massima espansione della “bolla” speculativa (vedi L’equivoco della “bolla”). La sconcertante, quanto vistosa, vicenda di AOL-Time-Warner contribuì ad accelerarne lo sgonfiamento.

La situazione degenerò rapidamente e AOL continuò a perdere terreno all’interno di Time Warner, fino a quando il 18 settembre 2003 la sua sigla scomparve dal nome del gruppo (vedi La scomparsa di “Aol”).

In tutto quel parapiglia Netscape rimase abbandonato al suo declinante destino. Questo è uno dei tanti casi, noti a chi ha un po’ studiato la storia dell’informatica, in cui gli errori e le stupidità dei concorrenti hanno giovato alla Microsoft.


La software housedi Redmond era del tutto impreparata allo sviluppo dell’internet. Non aveva mai preso sul serio il potenziale della rete e si trovò spiazzata quando (proprio all’epoca in cui nasceva Netscape) divenne evidente che l’internet stava assumendo un ruolo importante. Ma chi avrebbe avuto la possibilità di contrastarla (come AOL, Netscape e altri) si rivelò incapace di consolidare i vantaggi di cui disponeva.

Così la Microsoft (dopo aver tentato, con risultati inferiori alle sue speranze, di imporre un proprio network) ricorse al trucco più ovvio: incorporare un browser e un software di posta nel suo sistema operativo. Che questa fosse una violazione delle più elementari regole di libertà di mercato è palese. Ma, come sappiamo, le molteplici azioni legali contro la Microsoft non hanno ottenuto alcun risultato pratico.

Le alternative, per chi le vuole, ci sono. Esistono sistemi di gestione dalla posta migliori di Outlook (e meno penetrabili da virus e altri malanni). Ed esistono browser di interessante qualità, come Opera (e altri meno noti) – oltre al già citato Mozilla, che ha anche il vantaggio di essere opensource.

Ma la distrazione e la pigrizia hanno preso il sopravvento. La percezione diffusa è che esista un solo sistema di posta, quello che si trova “preinstallato”. E, analogamente, che esista un solo browser (molti non sanno neppure come si chiami, né che cosa sia un browser – pensano che sia quello l’unico modo di accedere a siti web).

Fin che funziona, si pensa, non c’è problema. Perché dovrei fare la fatica di andare a cercare qualcos’altro? Quasi tutto il sistema informativo (non solo i mass media, ma anche gran parte degli apparati didattici e dei settori tecnici) è squallidamente appiattito nella rassegnazione.


Non voglio annoiare i lettori con una ripetizione dei molti motivi per cui un monopolio non è mai una buona idea. E l’asservimento di tutti i sistemi a un unico fornitore non solo provoca costi esagerati e inaccettabili disfunzioni, ma elimina ogni stimolo a un’efficace concorrenza. Ma pochi si rendono conto di quanto sia inefficiente, e pericoloso, un sistema internamente permeabile in un modo che conviene a chi lo produce (perché così costringe tutti a usare i suo software) ed è un danno per tutti gli altri.

Ci sarebbero grandi vantaggi se ognuno fosse incoraggiato a scegliere il software che più gli conviene – e i sistemi fossero aperti così che tutte le soluzioni potessero essere liberamente scelte. Ovviamente l’internet, per sua natura, è libera, aperta e trasparente. Ma non lo sono i software più diffusamente usati per accedere alla rete.

Oggi si rischia di essere considerati donchisciotteschi se ci si lamenta del fatto che, per esempio, ci siano siti web concepiti in modo da funzionare solo con la più recente versione di Explorer – per non parlare di plug in o di altre diavolerie che si è costretti a caricare sul proprio computer, con il perenne rischio di guasti, complicazioni o intrusioni indesiderabili.

Quando si è prigionieri di un sistema chiuso, sovraccarico di funzioni indecifrabili e nascoste, le possibilità di manipolazione sono infinite. La nostra libertà di informarci e di comunicare dipende anche da una libera scelta delle risorse tecniche.


L’azienda monopolista del software non andrebbe in fallimento se fosse costretta a competere in un libero mercato. Ma dovrebbe cambiare mentalità e prestare più attenzione alle reali esigenze di chi usa i suoi prodotti.

In altri campi ci sono servizi oggi dominanti che non hanno posizioni inattaccabili. Per esempio Google si è guadagnata un predominio quasi assoluto nel mondo dei motori di ricerca, ma così come ha sbaragliato, anni fa, i suoi avidi e corrotti concorrenti potrebbe essere velocemente attaccabile se perdesse qualità o se qualcuno proponesse una soluzione migliore.

(Nel 2003 si diceva che la Microsoft volesse comprare Google. L’ipotesi è plausibile. Ma, a quanto pare, Google ha scelto di non vendere. (Vedi La “legge di Google”).

Era circolata anche la “voce” che la Microsoft potesse comprare AmericaOnLine (compreso Netscape). Ma in questo caso il dubbio è in senso contrario: sarebbe comprensibile che Time-Warner se ne volese disfare, ma non si capisce chi possa essere interessato a comprarla.

Ci sono stati parecchi tentativi di mescolare browser, motori di ricerca e altri servizi nel tentativo di “pilotare” il comportamento delle persone in rete (ai tempi del suo massimo successo anche Netscape aveva tentato qualche trucco di quel genere). Per fortuna nessuno, finora, ci è riuscito in modo dominante. Ma la tentazione è grossa – e il rischio rimane.


Se oggi Netscape fosse ancora il browser dominante forse potremmo non sofrrirne troppo, perché probabilmente ci sarebbero spazi disponibili per concorrenti capaci di far meglio. Ma se a sostituirlo c’è un software “imposto”, o passivamente accettato come se fosse l’unica risorsa disponibile, abbiamo seri motivi di preoccupazione.

È inutile piangere sul suicidio di Netscape. Potrebbe, se volesse, rinascere dalle sue ceneri – ma sembra che nessuno stia tentando seriamente di farlo. Tuttavia la sua storia è, in qualche modo, esemplare. Ognuno può trarne le deduzioni che preferisce (compreso il fatto, evidente anche in tante altre situazioni, che quando la speculazione finanziaria prende il sopravvento il danno è grave per tutti).

Ma ce n’è una da non dimenticare. Non dovremmo mai permettere ad alcuno di avere un monopolio di qualsiasi cosa – in particolare in un terreno così delicato e fondamentale come la libertà di opinione, di informazione e di dialogo. Essere troppo distratti, rassegnati o accomodanti è molto pericoloso.




Post scriptum
luglio 2004

Non è questa la sede per approfondimenti tecnici.
Ma la statira può dire più di molte dissertazioni.
Come nel caso di una vignetta pubblicata
il 4 luglio 2004 dallo stesso autore citato
in altre occasioniIlliad (J. D. Frazer).

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Post scriptum
febbraio 2005

Per un aggiornamento su questo tema vedi
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