Quali "incentivi" servono davvero per far crescere l'internet in Italia?
Molte chiacchiere, pochi fatti; molte ipotesi di "incentivi" che non risolverebbero il problema, anzi potrebbero essere dannosi. E non è solo un pasticcio italiano: per esempio le Nazioni Unite...
Un articolo di Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it su Interlex 18 luglio 1999
Che l'Italia sia arretrata, in fatto di rete, è chiaro. Ma è sempre più confusa e inconcludente l'arruffata matassa delle proposte su come risolvere il problema; con il rischio che un'errata diagnosi, cui segue una terapia sbagliata, finisca col peggiorare il male invece di curarlo.
Per anni, il problema è stato ignorato. Diffidenze e terrorismi, mescolate con ingiustificati trionfalismi sulla presunta "crescita esponenziale", hanno portato le nostre autorità pubbliche e gran parte dei grandi mezzi di informazione a non capire, e tantomeno spiegare, di che cosa si trattasse. Di quella confusione stiamo ancora pagando il prezzo: ciò che è chiaro a tutti gli osservatori attenti della situazione è che la nostra arretratezza è soprattutto un problema culturale. Cercare di risolverlo con più o meno pasticciate operazioni tariffarie non è solo una soluzione semplicistica e inefficace ma anche un sintomo preoccupante di quanto poco sia capita la vera natura del problema.
Solo nell'autunno del 1998, dopo tanti anni di disattenzione e di inerzia, si è diffusa la percezione del "sottosviluppo" italiano. Sentimmo dire, anche da fonti pubbliche, che la vera soluzione nel problema sta nella qualità dell'offerta: se e quando la pubblica amministrazione offrirà servizi utili e facilmente accessibili, e lo stesso faranno le imprese private, avremo una crescita solida e concreta della rete; tutto il resto è secondario. Ma a quelle sagge parole sono seguiti pochissimi fatti; mentre continuano ad ammucchiarsi norme e regole che, per quanto "ben intenzionate", si rivelano inefficaci o nocive. Come per esempio l'inefficiente e farraginosa legge sulla tutela dei dati personali, l'assurdo inasprimento delle norme sulla proprietà del software, l'affastellamento di procedure burocratiche in materia di "tutela dei consumatori"... eccetera.
Si disse allora che nell'allegato alla legge finanziaria ci sarebbero stati "incentivi" per lo sviluppo dell'internet. Sono passati otto mesi e nulla si è fatto. Sorsero fin dall'inizio parecchie perplessità (vedi Timeo Danaos et incentiva ferentes) e a quanto pare la confusione continua. Curiosamente in questo ritardo c'è un elemento positivo, perché qualche meditazione o esitazione sembra aver evitato provvedimenti affrettati e sbagliati, come riduzioni tariffarie mal concepite o ipotesi demenziali (per esempio la bizzarra idea della "rottamazione" dei computer, che per fortuna sembra definitivamente abbandonata). Ma si continua a parlarne e sembra che tutti questi mesi non siano serviti a fare chiarezza.
Il problema delle tariffe
La situazione delle tariffe telefoniche è estremamente confusa. Che si debba tendere a una generale diminuzione, è chiaro; molto meno chiaro è come questo avvenga. Sembra che la tendenza generale, un po' per decisioni normative e un po' per concorrenza nel mercato, vada verso una riduzione delle tariffe più alte (interurbane e telefonia mobile) accompagnate da un aumento, variamente interpretato o travestito, delle tariffe urbane e (o) del canone.
Le varie campagne demagogiche per l'abolizione della "tariffa urbana a tempo" non solo sono state inefficaci, ma sono quasi sempre coincise con un aumento del costo di telefonia urbana: o nel costo degli "scatti", o nel canone che grava su tutti, indipendentemente dall'uso che fanno delle linee telefoniche. Tuttavia hanno lasciato un segno, sbagliato e pericoloso: la convinzione, diffusa in molte nostre autorità pubbliche, che il problema sia soprattutto di tariffe e che quella sia l'unica o la più importante soluzione.
Chiunque abbia un po' approfondito il problema sa che non è vero. Ho il (fondato) sospetto che lo sappiano anche molti dei nostri politici e delle pubbliche autorità, ma che vedano questo tipo di intervento come una più o meno facile scappatoia con cui dare l'impressione di aver fatto qualcosa di concreto e così placare la "pubblica opinione" (che in questo come in altri casi non è l'opinione dei cittadini fondata sui fatti, ma una montatura di cui i cittadini male informati sono la prima vittima).
Come ho già detto varie volte, che lo scarso uso della rete non sia determinato dalla "tariffa urbana" è dimostrato clamorosamente da un fatto: la telefonia mobile, con costi enormemente più alti, è molto più diffusa in Italia dell'internet.
Ma proviamo ad approfondire un po'. A parte le sempre più diffuse offerte "gratuite" (di cui parlerò fra poco) un accesso privato alla rete costa fra le 200 e le 300 mila lire all'anno. Con due minuti di connessione urbana (150 lire) si possono mandare e ricevere cento o più messaggi e-mail. Una lettera spedita per posta costa 800 lire (più carta, busta e il tempo di andarla a imbucare) e molto di più se non è una semplice lettera ma un documento che supera il peso di 20 grammi. Un fax, se fuori dalla zona telefonica, costa molto di più. Una persona che in un anno facesse venti o trenta interurbane (o fax) in meno, ed evitasse di spedire qualche decina di lettere o cartoline, avrebbe risparmiato più di quanto costa usare la rete. È sorprendente constatare quante persone, nonostante il gran parlare che si fa dell'internet, non si rendono conto di questo fatto.
Credo che molte persone potrebbero risparmiare parecchio nell'uso della rete se sapessero quante cose si possono fare "offline" invece di restare collegati per molto tempo. Poiché in altre occasioni sono stato mal capito, vorrei chiarire che non propongo di penalizzare chi fa collegamenti lunghi. Ognuno deve essere libero di fare come vuole e ci sono usi della rete che rendono necessarie connessioni non brevi: variabili da operazioni impegnative come il trasferimento di software ad attività generalmente private e spesso "ludiche" (ma non per questo meno utili e legittime) come le "chat". I costi non sono esorbitanti... un'ora di collegamento in ore serali costa 1500 lire: cioè meno che farsi spedire un cd o andare al bar con gli amici e meno di un biglietto del tram. Naturalmente sarebbe meglio se gli "scatti" (o le tariffe a tempo) costassero ancora meno; a condizione che sia una pura e semplice riduzione di prezzo e non un trucco per cui il costo viene a gravare su qualcun altro... per esempio su un aumento generale del canone o su una tariffa "penalizzante" per chi fa collegamenti brevi e frequenti (e così facendo, fra l'altro, crea minor "carico di banda" e aiuta tutti ad avere collegamenti più efficienti e veloci).
Insomma ben vengano, se sono possibili, vere riduzioni della tariffa urbana. Ma non al prezzo di aumenti in altre "voci"; non a beneficio esclusivo del collegamenti lunghi e a danno di tutti gli altri; e soprattutto non se si crede, sbagliando, che questa sia una "panacea" in grado di risolvere il problema dell'arretratezza italiana in rete.
Il quadro complicato (e truccato) di offerte e promozioni
Spesso queste offerte non sono trasparenti e contengono "trappole" non dichiarate. Per esempio Infostrada non dà l'evidenza che dovrebbe ad alcune clausole del suo contratto, che in deroga (di fatto violazione) alla legge sulla protezione dei dati personali assoggettano il malcapitato cliente a una serie di obblighi e condizioni. Per esempio: Il cliente autorizza espressamente Infostrada ad inviare alla propria casella di posta elettronica una mail pubblicitaria al giorno. Inoltre accetta il fatto che i dati relativi all'utilizzo del servizio saranno utilizzati, con i limiti indicati nel successivo articolo 5, ai fini di individuare gli interessi, le preferenze e le esigenze del cliente manifestate attraverso tale utilizzo e programmare, secondo il profilo così determinato, l'invio delle mail pubblicitarie.... e ancora Infostrada verificherà periodicamente il profilo di utilizzo del servizio, al fine di personalizzare l'invio delle mail pubblicitarie in base alle esigenze e agli interessi concretamente manifestati dal Cliente. Infostrada provvederà all'uopo ad analizzare i siti visitati più frequentemente dal Cliente e la media delle sue connessioni. E anche Nel caso in cui il cliente non visualizzi sul proprio personal computer il contenuto di almeno quattro mail al mese tra quelle inviate da Infostrada a fini commerciali il servizio verrà sospeso.
Cioè non solo l'utente di questo servizio è assoggettato a spamming, ma anche a una continua e invasiva ispezione dei suoi comportamenti e alla conseguente raccolta di dati personali di cui ovviamente Infostrada può fare commercio. Il problema è stato segnalato da ALCEI all'autorità per la tutela dei dati personali (privacy) e all'autodisciplina pubblicitaria. Vedremo che esito avranno queste denunce e se serviranno non solo a chiarire il caso singolo ma anche a portare un po' più di trasparenza in tutto il mercato. Questo è un caso isolato? Credo proprio di no. Confesso di non aver avuto il tempo e la pazienza di verificare i vari contratti e la crescente moltiplicazione di offerte, ma sarebbe ingenuo pensare che non siano disseminati di trappole. Compresi quelli che offrono una connessione inizialmente gratuita ma sono poi congegnati in modo da imprigionare l'utente in una connessione a pagamento pressoché perpetua perché è molto difficile disdire il contratto. Insomma... a caval donato sarebbe molto meglio guardare attentamente in bocca.
Il quadro è ancor più confuso per l'ormai scatenata guerra dei portali. Un dettaglio curioso in questa feroce disfida è che Infostrada con la sua offerta gratuita si muove direttamente a danno della sua "consorella" Italia Online e al tempo stesso annuncia che IOL "è il più grande portale italiano": affermazione accolta (come spesso accade) in modo acritico dai giornali, senza badare al fatto che cinque o sei altri contendenti dichiarano lo stesso primato.
In questa giungla, come potranno le pubbliche autorità introdurre "incentivi" ben congegnati ed efficaci? Se si punta sulle tariffe (scelta che comunque, secondo me, è inadeguata) il quadro è sempre più intricato e complesso. Per esempio, come ha osservato Manlio Cammarata nel suo articolo I veri problemi del costo dell'internet, se si arrivasse davvero all'abolizione della tariffa a tempo per l'uso dell'internet le offerte "gratuite", basate sui prezzi di interconnessione, diventerebbero impossibili; ed è facile immaginare che dietro queste operazioni ci siano lobby abbastanza potenti da mettere efficaci bastoni fra le ruote a ogni provvedimento che interferisca con i loro interessi.
Occorre una regolamentazione di queste cose? Credo e spero di no, perché quasi sempre le regole sono fatte in modo che, come dicono a Venezia, xe pezo el tacòn del buso. Ma credo che una chiara e trasparente informazione ai cittadini (e alle imprese) sia necessaria, perché almeno chi sceglie questa o quella soluzione sappia quale prezzo in realtà sta pagando: è evidente che non siamo circondati di disinteressati benefattori e che nessuna offerta è mai davvero completamente "gratuita".
E visto che siamo in tema di chiarezza... c'è un altro argomento su cui sarebbe importante dare informazioni più precise e serie. Il prezzo e la qualità dei computer e del software.
Macchine scadenti a prezzi esagerati
Se in qualsiasi altro mercato si offrissero prodotti con prestazioni scadenti, a prezzi esagerati e con una continua forzatura di falsa innovazione e di artificiosa "obsolescenza", sarebbe già successo uno sconquasso. Nell'informatica e nella telematica finora abbiamo continuato a subire; con il benevolo consenso, se non l'esplicito incoraggiamento, delle nostre pubbliche autorità.
Sembra che oltreoceano stia cominciando a emergere qualche barlume di buon senso. La spinta a produrre software sempre più complicati per riempire forzatamente la sempre crescente potenza dei processori (e l'altrettanto crescente capienza di memorie e hard disk) si sta esaurendo. Un recente articolo dell'Economist spiega che negli Stati Uniti il mercato dei personal computer è in crisi. Chi ha comprato un computer tre o quattro anni fa non vuole cambiarlo senza motivo. Chi ne compra uno nuovo vuole una macchina più semplice, adatta alle sue esigenze; e vuole pagarla molto meno. I prezzi stanno crollando; si parla di 300 dollari per un nuovo PC, con tendenza a scendere. Si è scoperto il fatto che non ha senso comprare un computer ad alte prestazioni per far giocare un bambino: meglio che per i giochi usi una consolle. Si sta diffondendo il concetto che le imprese, come tutte le organizzazioni che si presentano in rete, devono offrire soluzioni semplici e non tali da obbligare i visitatori a un elevato carico di banda o all'uso di macchine ad alte prestazioni.
Si affermerà questa tendenza con tutta la forza che merita? Se si, quanto ci metterà ad attraversare l'oceano e a portare un po' di buon senso anche da noi? Non lo so; ma sono convinto che sarebbe molto desiderabile.
Intanto sono proprio i paesi meno avanzati (e forti importatori di tecnologie), come l'Italia, che dovrebbero prendere l'iniziativa. Invece di seguire con infantile entusiasmo gli errori altrui, dovremmo impegnarci per avere soluzioni più adatte alle nostre esigenze.
Se qualcuno ha davvero bisogno di prestazioni molto elevate, compri una macchina potente e complessa e ne paghi consapevolmente il prezzo (che non è solo parecchio denaro, ma anche la fatica e la difficoltà di far funzionare software complicato e un po' astruso). Ma per il 99 per cento delle persone (e delle imprese) il 90 per cento delle prestazioni offerte dai computer e dai software di oggi (per non parlare di infinite funzioni "occulte" che servono solo a occupare spazio e ingombrare memoria) è inutile. Il problema, naturalmente, non riguarda solo i computer ma anche altri aggeggi di ogni genere (vedi Il pane spremuto e il limone tostato); ma in questo caso ciò che ci interessa è la particolare perversità di funzionamento dei personal computer e di molti software attinenti alla rete. Riprenderò l'argomento alla fine di questo articolo, perché il problema non è solo italiano e mi sembra opportuno parlare non solo di ciò che accade da noi, ma anche di una situazione mondiale di cui si sono occupate recentemente le Nazioni Unite. Ma intanto vorrei osservare un'altra strana circostanza.
Sto lavorando su informazioni abbastanza complesse che derivano da tre o quattro ricerche sull'uso della rete in Italia. C'è un dato curioso. Le persone che dicono di avere un computer in casa sono tre o quattro volte di più di quelle che dicono di collegarsi alla rete. Come si spiega? Probabilmente è una combinazione di due fattori. Uno è che, benché abbiano un computer, non considerino l'internet abbastanza interessante per collegarsi. L'altro è che si siano lasciati ingannare dalla diffusa propaganda di chi dice che per collegarsi dovrebbero comprare un computer più potente e costoso e un modem ad alte prestazioni (anche questa è una sciocchezza, perché la velocità di connessione al provider non risolve il problema dei "colli di bottiglia" e perché molti usi interessanti della rete, a cominciare dalla posta elettronica, non hanno bisogno di connessioni esageratamente veloci).
Che fare?
Insomma, quali "incentivi" sarebbero davvero utili?
- Prima di tutto: una migliore informazione. Bisognerebbe far conoscere ai cittadini, in modo semplice e concreto, quali sono le utilità basilari della rete. Bisognerebbe far sapere che non è affatto necessario dotarsi di macchine complesse e costose.
- Secondo: una migliore qualità di servizi offerti. Se e quando le persone scopriranno che collegandosi all'internet possono evitare code e fastidi in qualche ufficio pubblico, o ottenere più facilmente informazioni e servizi concretamente utili, avranno una motivazione molto più forte a collegarsi. Oggi questi servizi o non ci sono, o non sono efficienti e tagliati sulle esigenze delle persone, o non sono sufficientemente conosciuti.
- Terzo: la diffusione di tecnologie più semplici, più facilmente gestibili, meno intricate di complicazioni inutili e falsamente "amichevoli". Il percorso non è facile, perché si tratta di rovesciare una tendenza all'elefantiasi e alla bulimia che è già andata oltre ogni limite del ragionevole; ma almeno bisognerebbe che ci fosse una percezione chiara e una diffusa conoscenza del problema e una spinta alla compatibilità almeno da parte dei servizi pubblici (vedi per esempio la posizione assunta da ALCEI sull'esigenza di http://www.alcei.it/news/cs990128.html Liberarci dalla schiavitù elettronica, che a fatica e molto gradualmente sta cominciando ad essere percepita da una parte della pubblica amministrazione e del mondo politico).
- Quarto: non un incentivo alla sostituzione di macchine perfettamente efficienti con altre inutilmente complesse e costose ma il contrario. Un incoraggiamento alla diffusione di macchine semplici, solide e poco costose (cioè un buon uso di macchine apparentemente "vecchie" ma ancora efficienti e, al tempo stesso, la diffusione sul mercato di nuovi prodotti affidabili a basso prezzo).
- Quinto: (e secondo me fondamentale): la diffusione di un'autentica cultura della rete, basata sui valori umani e sulle utilità concrete, non sulle tecnologie. Questo significa un rovesciamento della cultura dominante che impone un'ostica e sgradevole "alfabetizzazione" tendente a umiliare e imbarazzare le persone assoggettandole, con un'insopportabile violenza umana e culturale, alle bizzarrie e ai difetti delle tecnologie (vedi a questo proposito mercante/merca34.htm#heading01 Non vogliamo essere alfabetizzati).
- Sesto: una de-legislazione o revisione e semplificazione delle norme esistenti che pongono ostacoli e lacci di ogni specie alle attività in rete; e un'attenta sorveglianza perché non si accumulino nuove norme o regole, o errate interpretazioni di quelle esistenti, che tendono a soffocare le attività in rete prima ancora che abbiano avuto la possibilità di svilupparsi.
Infine... credo che non basti promuovere l'uso della rete in Italia, ma sia importante una spinta verso l'esterno. Sento dire spesso che c'è una scarsità di contenuti in italiano, il che non è del tutto vero (è un problema di qualità più che di quantità). Ma se ci limitassimo a far crescere l'accessibilità in italiano ai contenuti internazionali e la diffusione degli accessi alla rete in Italia, in assenza di una spinta attiva della diffusione dei nostri contenuti nel mondo, si accentuerebbe ancora quel fenomeno di "colonizzazione" della nostra cultura e della nostra economia che è già pesantemente in atto. Naturalmente non sono pensabili misure "protezionistiche" di alcuna specie; mi sembra che l'unica soluzione sia una maggiore aggressività. Le nostre imprese dovrebbero essere incoraggiate in tutti i modi a usare l'internet all'esportazione; e tutte le organizzazioni pubbliche e private a diffondere più attivamente nel mondo la nostra cultura e i nostri valori.
Questo pone l'accento su una catastrofe nazionale, grave comunque ma più immediatamente preoccupante con la diffusione delle reti di informazione "globale": la scarsa conoscenza dell'inglese. Occorre una spinta molto più vigorosa perché non solo nelle scuole di ogni ordine e grado ma nell'intero sistema economico e culturale si definisca come una priorità la conoscenza di quella che non può più essere considerata una "lingua straniera" ma è semplicemente la lingua del mondo. Ricordando che non si tratta di imparare a perfezione l'inglese dei professori di Oxford, ma di acquisire una conoscenza adeguata di quel diffuso patois internazionale che permette di parlare con qualcuno in America, in Australia o in India: quello che due anni fa ho definito il mercante/merca7.htm#heading01 globalese. Se in più impariamo, nella scuola e nella vita, anche un'altra lingua... tanto meglio. Ma senza una reale capacità di farci capire in globalese siamo condannati a essere le vittime, culturali ed economiche, di chi conosce meglio di noi la lingua del mondo.
Il problema "globale" e le strane idee dell'ONU
Il problema è semplice: è dolorosamente comico parlare di "reti globali" quando il 97 o 98 per cento dell'umanità ne è escluso. Assai meno facili sono le soluzioni. Per esempio il governo indiano, due anni fa, aveva solennemente dichiarato di voler aprire e liberalizzare gli accessi, con una diffusa riduzione dei costi e proliferazione di provider, cui sarebbe stato consentito di accedere non solo alla rete telefonica ma anche ad altri sistemi, come quelli delle ferrovie e della rete elettrica. La notizia fu accolta con entusiasmo, ma qualcuno di noi espresse un dubbio. Le buone intenzioni si sarebbero tradotte in fatti, in un paese afflitto da una burocrazia e una complessità politica paragonabili a quelle italiane, con la differenza che devono gestire un paese 17 volte più grande? Purtroppo quelle perplessità si rivelano fondate. Ancora oggi tutta l'internet in India dipende da un provider centrale, controllato dallo stato; i costi sono inaccessibili per la stragrande maggioranza della popolazione; la diffusione della rete nella più grande democrazia del mondo rimane marginale.
Le soluzioni per il mondo, secondo me, sono simili a quelle che ho tentato di definire per l'Italia. Con in più un uso adeguato di tecnologie "via etere" (wireless) in quei paesi che non hanno reti telefoniche abbastanza diffuse e capillari; e con un accento particolare sulla disponibilità di tecnologie stabili, semplici e poco costose.
Se è difficile per un italiano "non ricco" spendere troppo per un computer, e soprattutto essere assoggettato a continue quanto inutili e costose "innovazioni", questo problema diventa enormemente più grave e pressante nei "paesi in via di sviluppo". L'internet funziona da vent'anni con tecnologie stabili, aperte, compatibili, trasparenti e gratuite. Ciò che occorre è diffondere nel mondo sistemi altrettanto solidi, semplici e stabili, al costo più basso possibile. Difficile? Credo proprio di no. Ciò che manca non sono le soluzioni tecniche; è la volontà politica.
(Ho scritto alcune cose a questo proposito già qualche anno fa... vedi per esempio Il pendolo di Ermete e l'arte della leggerezza (ottobre 1996) Il computer a manovella e la crisi del millennio (ottobre 1997) e Finalmente! tutto funziona (dicembre 1997).
Da quanto ho letto sui giornali, sembra che l'ONU, percepito il problema, non abbia finora fatto alcun tentativo di definirne la soluzione. Se non per proporre un'idea bizzarra quanto perversa: una bit tax. Cioè una tassa sulla posta elettronica e sul trasferimento di dati, con cui finanziare non si sa quali investimenti per lo sviluppo dell'internet nei "paesi poveri". Spero di non dover spiegare perché questa è una soluzione stupida, perversa e inefficace. Per fortuna sembra che la proposta sia già stata ritirata. Secondo una notizia pubblicata il 16 luglio l'ONU, in seguito a diffuse proteste, ha dichiarato che "non ha alcun progetto" di imporre tasse a chicchessia e che "né le Nazioni Unite né l'UNDP (United Nations Development Program) hanno il mandato o il potere di creare o amministrare qualsiasi sistema di tassazione globale". Se si conferma che è una cosa assurda e impossibile, resta da capire perché la proposta fosse stata annunciata. A quanto pare una visione radicalmente sbagliata su come favorire la diffusione della rete non è solo un problema italiano.
Mi sembra che si applichi all'internet, più ancora che ad altre cose, quel malanno che è ben descritto nell'interessante articolo di fondo di Alberto Ronchey sul Corriere della Sera del 17 luglio, con l'efficace titolo Media distratti leggi sbagliate in cui parla di "un singolare fenomeno del nostro tempo: l'oscillare continuo dei mass media fra disattenzioni e sensazionalismi" e di come questo influisca perversamente sull'attività dei legislatori e dei poteri pubblici.
Ipse dixit.