Rosa dei venti

I Garbugli della Rete - 20
febbraio 1998

Parole, generi e significati

 
 
 
 

Più avanti in questo garbuglio parlerò di cose che mi sembrano importanti. Ma vorrei cominciare con un argomento futile: i generi. Chissà perché l’italiano ha perso quell’utile cosa che è il neutro. Tutto è maschile o femminile, con conseguenze talvolta buffe.

Ne nasce qualche piccola difficoltà quando scriviamo sulla rete. Per esempio anch’io all’inizio, senza pensarci, dicevo “la” BBS. Ma quando ho visto che un’autorità in materia come Giorgio Banaudi usava il maschile, mi sono chiesto perché mai una cosa chiamata “servizio” dovesse essere al femminile.

Da allora ho fatto le mie scelte, anche se non sempre gli altri sono d’accordo. Internet e web, rete e tela, sono femminili (non solo per motivi grammaticali, come ho spiegato nel garbuglio La rete è femmina, dicembre 1996). URL è maschile. Eccetera... Certo non è un argomento importante, perché comunque ci si intende. Ma possono nascere conflitti insanabili... quando in un libro ho usato databaseal femminile, la simpatica e intelligente redattrice dell’editore si è opposta con tutte le sue forze. Per evitare discussioni inutili ho girato la frase in modo da evitare il problema.

Bazzecole? Si. Ma quando si tratta di significati il discorso diventa serio. Prendiamo, per esempio, una parola che compare dovunque: multimediale. Che cosa vuol dire?

Che un computer costa qualche milione perché ha una scheda video (ce l’hanno tutti) e una scheda audio (che costa meno di centomila lire)? Mi sembra una presa in giro.

Che si possono usare insieme parole, suoni, immagini e animazioni? Lo facciamo da almeno tremila anni.

Che suoni, parole e immagini possono essere connesse in modo automatico? Non è una novità. Quando il più piccolo dei computer aveva le dimensioni di un cacciatorpediniere, c’erano macchinette a nastro che permettevano di azionare parole, suoni, diapositive e proiezioni di film. Non le usavamo perché avevamo scoperto che era molto meglio farlo a mano.

Che se usiamo un computer è “obbligatorio” esprimersi in modo “multimediale”? Sembra una convinzione diffusa, ed è un errore madornale. L’arte di comunicare bene sta nello scegliere gli strumenti adatti e usarli con parsimonia. Se vogliamo spiegare qualcosa a qualcuno potremo parlare accompagnandoci con qualche gesto, ma è molto improbabile che ci venga in mente di cantare o ballare. Spesso, invece, le parole di una canzone perdono valore se private della musica. Non ha molto senso raccontare un quadro – o disegnare una poesia.

Ogni genere espressivo ha un suo ruolo, un suo modo di trasmettere pensiero ed emozione. Ammucchiarli tutti insieme solo per il gusto di sentirci “multimediali” vuol dire, quasi sempre, rendere confuso e incomprensibile ciò che volevamo trasmettere; o togliere spazio ai contenuti per sovraccaricare gli effetti.

Questo è il motivo per cui ho smesso quasi completamente di comprare cd-rom e trovo insulse molte cose che vedo in rete. Se ci liberassimo del falso culto del “multimediale” avremmo comunicazione molto più efficace (e meno inutile “carico di banda”).

Un’altra parola usata spesso a sproposito è virtuale. Che cosa voglia dire, non è molto chiaro. Ma è usata così spesso, nel caso della rete, da indurre molte persone che non ne hanno pratica a starne lontane; perché non sanno che la cosa più interessante è lo scambio di idee, pensieri e sentimenti (spesso con più calore e libertà di espressione di quanto succede abitualmente negli incontri “fisici”) – con persone, non androidi o robot.

Ricorre spesso la parola ipertestuale, e qui il caso è diverso. Anche se personalmente la trovo un po’ bruttina, ha un significato preciso e importante. Un modo di esprimersi, di comunicare, di trasmettere notizie e opinioni con una struttura intelligente che permette a ciascuno di scegliere cosa, come e quanto approfondire. Ma purtroppo molti pensano che per usare un linguaggio “ipertestuale” basti convertire un testo in HTML e magari metterci qualche immagine. Non è così. È un linguaggio interessante ma complesso, che si impara solo con tempo e pazienza, per scoprire man mano la delicata architettura degli argomenti e delle connessioni. Usato bene, è un’innovazione straordinaria. Ma quanti hanno la pazienza di utilizzarne davvero le affascinanti possibilità?

Una parola che non si sente quasi mai, nelle dissertazioni sulla rete, è quella che secondo me è la più importante. La parola comunità.

Incontrarsi, conoscersi, scegliersi, costruire insieme spazi di dialogo e di scambio. Un’esperienza affascinante che non finisce mai di arricchirsi. Una risorsa che, usata bene, può creare nuovi spazi di civiltà umana. Peccato che di questo, che è l’aspetto più importante della rete, si parli così poco.


 

   
 
Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
  dicembre 1997
 



indice
indice dei garbugli

Home Page Gandalf
home