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La coltivazione dell’internet


Capitolo 41
La “rivoluzione copernicana”


Quando ragiono sulla comunicazione in rete mi trovo spesso a parlare di “rivoluzione copernicana”; perché secondo me il punto di partenza sta proprio nel rovesciamento delle prospettive e delle priorità. Rispetto (com’è abbastanza ovvio) al modo tradizionale di fare marketing e comunicazione; ma ancor più rispetto al modo in cui molti affrontano, ancora oggi, il problema delle attività d’impresa in rete.

La prospettiva “tolemaica” sta nella tendenza a osservare la rete come se fosse un “mezzo di massa”; e addirittura nel tentativo di “forzarla” a seguire le logiche dei mezzi cui siamo abituati. Possiamo “in assoluto” affermare che non è possibile in rete l’uso di logiche broadcasting – cioè dei mezzi “da uno a tanti” che ancora dominano il sistema informativo? No. Quasi tutto è “possibile”. Se qualcuno vuole costringere la rete a comportarsi come ciò che non è, ci può riuscire; così come un tolemaico può arrivare a spiegare le stagioni, le maree, i movimenti dell’atmosfera... anche prevedere un’eclissi. Ma in modo concettualmente meno nitido, e praticamente meno efficace, di un copernicano.

È probabile che una parte delle attività in rete continui, per il prevedibile futuro, a essere tolemaica; cioè centralizzata e “a senso unico”. L’internet può servire anche per queste cose. Ma non mi sembra un tema che meriti molto approfondimento, perché ripete con strumenti diversi un modello già noto e si tratta in gran parte di applicare in un nuovo ambiente i concetti e i metodi che già conosciamo. Il problema è che se ci si limita a questo si perdono di vista le risorse più forti che la rete ci offre; ci possono sfuggire molte possibilità interessanti e rischiamo di veder diminuire progressivamente la nostra capacità competitiva.

Un altro aspetto della “rivoluzione copernicana” sta nella definizione delle priorità. C’è una tendenza, bizzarra quanto diffusa, a vederle rovesciate. L’eccessiva enfasi sulle tecnologie porta a un’illogica sequenza soluzione-problema. Sarebbe come se qualcuno dicesse «devo prendere il treno, ma non so dove vado» invece di dire «devo essere a Roccacannuccia il tal giorno alla tal ora, quindi deciderò con quale mezzo andarci».

È ovvio (ma in pratica succede ancora troppo raramente) che l’unica procedura ragionevole non è partire dalle tecnologie, cioè dalle soluzioni, ma esattamente il contrario: partire dai nostri problemi, risorse, intenzioni e strategie – e poi cercare le soluzioni più adatte. Non dire «devo metter su un sito web e poi forse capirò a cosa serve» ma «devo capire quali mie esigenze o intenzioni possono essere soddisfatte dalla rete e poi stabilire quali strumenti userò; uno dei quali potrebbe anche essere un sito web».

Prima di abbandonare la metafora, vorrei ricordare che Copernico e Galileo non dicevano qualcosa di completamente nuovo. C’erano nel mondo antico visioni non geocentriche del cosmo; ma erano state dimenticate in una cultura appiattita e dogmatica. Ci sono, nelle origini della rete, concetti e percezioni che possono aiutarci a capire il fenomeno secondo la sua vera natura. Ma la rapida diffusione della world wide web, il passaggio repentino dalla quasi clandestinità all’essere uno degli argomenti “di moda”, hanno fatto perdere di vista ciò che si sapeva.

La tecnologia web è utile e valida, che ha dato e continua a dare un contrubuto molto importante alla diffusione dell’internet. Ma, vista e interpretata superficialmente, ha indotto molte persone a immaginare la rete come una biblioteca o una raccolta di cartoline illustrate, non come uno spazio di dialogo.

Inoltre, i fenomeni umani che regolano la rete non sono intrinsecamente nuovi. Il nostro patrimonio genetico e culturale non è mutato nella sostanza. Un nuovo sistema di comunicazione può farci ritrovare valori antichi, per esprimerli in modo nuovo: come il senso della comunità, l’istinto del nomadismo, il desiderio di conoscenza e di scambio, il fascino e la ricchezza delle diversità. L’asse della rivoluzione cognitiva di cui abbiamo bisogno è sostanzialmente semplice (come la teoria copernicana): risalire alla radice dei valori umani che governano il nostro essere e agire; cercare di capire come possono esprimersi ed evolversi in un nuovo contesto comunicativo.

Ma per farlo dobbiamo liberarci delle incrostazioni tolemaiche che provengono dalla nostra abitudine a pensare secondo le logiche della “catena di montaggio” e dei “mezzi di massa”. In teoria, lo si dice da decenni. In pratica, non è facile trarne le conseguenze. Qui sta uno dei nodi fondamentali della nuova realtà che deve governare il nostro modo di pensare. Non solo sulla rete, ma in generale sul mondo in cui viviamo.

Realizzare questa trasformazione profonda su scala planetaria, nei grandi sistemi di cultura e governo, è un processo difficile, faticoso e complesso. Ma sul piano individuale (singola persona, singola impresa) è possibile ora, in modo diretto; grazie a una situazione nuova di cui le tecnologie elettroniche sono solo uno strumento.

Questa è la sfida (e l’occasione) che oggi sta davanti a ognuno di noi: comprese persone che non hanno mai messo le mani su un computer – e organizzazioni che finora l’hanno usato solo per qualche banale funzione amministrativa. Ciò che schemi e teorizzazioni non riescono a esprimere in modo chiaro e concreto può spesso essere risolto con un guizzo di intuizione, fantasia e sensibilità. Molta strada, nel mare delle reti come in quello di acqua salata, è stata fatta, e può essere fatta domani, da navigatori che non badano alle teorie del cosmo ma sanno annusare gli umori del vento.



L’internet è un “mezzo pubblicitario”?

Si fa un gran parlare di pubblicità in rete. Per ora è un fenomeno minuscolo, ma in un modo o nell’altro crescerà. Alla domanda se la rete può essere usata per fare pubblicità, la risposta è «ovviamente si». Tutto (se non è vietato) può essere un “mezzo pubblicitario”. Un muro, un tram, una vela, un dirigibile, una scatola di fiammiferi... anche una persona.

Il banditore di piazza, l’araldo o il pazzariello sono (insieme alle scritte sui muri o ai disegni sulle rocce) le forme più antiche di comunicazione – se non di“pubblicità” nel senso moderno della parola.. Vediamo ancora oggi qualcuno che fa “l’uomo sandwich”... magari sui trampoli e nel bel mezzo di una fiera dedicata alle nuove tecnologie.

Su questo argomento, secondo me, c’è poco da dire. Se si usa la rete “solo” come mezzo pubblicitario si utilizza una parte infinitesimale del suo potenziale. In quel caso, i criteri fondamentali sono gli stessi che si applicano a qualsiasi forma di pubblicità. Con alcune differenze che derivano dalla natura della rete – e che spero di essere riuscito a spiegare in questo libro.

Il quadro, per ora, è molto confuso. Sono comprensibili e giuste le esigenze di chi cerca di raccogliere pubblicità. Molti servizi in rete devono essere offerti gratuitamente; la pubblicità è una delle più importanti risorse per “far tornare i conti”. Da questo punto di vista, dobbiamo augurarci che la pubblicità in rete cresca, perché è desiderabile che quei servizi ci siano e abbiano le risorse per continuare, e migliorare, la loro attività.

La situazione è un po’ meno chiara se la si guarda dall’altro punto di vista: cioè quello delle imprese che investono in pubblicità.

Negli Stati Uniti, scondo una recente analisi (10 giugno 1999) della Association of National Advertisers, la percentuale di grandi imprese che fanno pubblicità in rete è scesa di 7 punti (dal 68 % l’anno scorso al al 61 % quest’anno). E spendono meno. Da una media di 712.000 dollari nel 1998 a 649.000 nel 1999 (queste cifre possono sembrare rilevanti, ma sono piccole rispetto agli investimenti in pubblicità e marketing nel mercato americano). I motivi indicati dalle imprese per questa riduzione sono l’incapacità di dimostrare un ritorno sull’investimento, misurazioni non affidabili e un “costo per contatto” troppo alto. In Italia lo sviluppo è ancora troppo piccolo perché si possano avere verifiche attendibili; ma sappiamo che anche in alcuni paesi europei ci sono problemi e perplessità dello stesso genere.

Come andrà a finire? Non lo so. Ma non sembra esserci un futuro brillante per gli investimenti delle imprese se la rete viene usata per fare “solo pubblicità”, con le stesse logiche dei mezzi tradizionali.

Durante il 1999 sono emersi segnali, anche pubblici, che dimostrano come la percezione della rete da parte delle imprese italiane stia cominciando ad evolversi – come vedremo nel capitolo 37.


Per concludere, vorrei osservare che anche in questo senso occorre una “rivoluzione copernicana“. Sento ripetere da voci altisonanti, a proposito dell’attività d’impresa in rete: «La prima cosa è farsi conoscere, poi occorre offrire un buon servizio». È vero il contrario. Può essere molto pericoloso allargare la conoscenza e il “traffico“ prima di aver verificato in concreto la qualità del servizio e delle relazioni.





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