girasole

La coltivazione dell’internet


Capitolo 3
Non è una ragnatela – e non c’è il ragno

Questa non è, come può sembrare, una banalità lessicale. Forse perché la struttura con cui oggi più comunemente si accede alla rete si chiama world wide web, molti sembrano immaginare che si tratti di una ragnatela. Da questa ipotesi deriva una bizzarra affermazione, che ho letto varie volte, anche in testi considerati "autorevoli":

«Se è una grande ragnatela ci dev’essere un grande ragno».

In realtà in inglese web significa "tessuto" o "rete", non tela di ragno (cobweb). Devo confessare che anch’io ero abituato a chiamarla "ragnatela", ma sto cercando di evitarlo perché mi sono accorto che può creare malintesi. Ma non si tratta solo di un problema linguistico. Sembra molto diffusa la convinzione che la rete sia un sistema centralizzato e in parecchi casi l’ho vista rappresentata, anche visivamente, come una ragnatela con un "grande ragno", che nella mente di alcuni somiglia al "grande fratello" di orwelliana memoria.

È sorprendente constatare come anche persone che credono di conoscere bene la rete possano immaginare una cosa fatta così:

ragnatela

Mentre l’internet (e perciò la world wide web) è fatta così:

internet


Lo schema è enormemente semplificato. Nel disegno vediamo 60 nodi, mentre in realtà sono 70 milioni – con una complessità di connessioni che potrebbe essere rappresentata solo in un’immagine multi-dimensionale. Ma la struttura è questa.


Questo non è un "dettaglio tecnico". La struttura policentrica e "distribuita" della rete è, credo, la più importante delle sue caratteristiche, non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto per i suoi valori umani, culturali e sociali. Se immaginiamo ogni punto in questo disegno non come un nodo di connessione, ma come una persona o un gruppo di persone (impresa o organizzazione di qualsiasi specie) abbiamo, mi sembra, un’idea chiara e immediata di un sistema in cui tutti comunicano con tutti, in cui ogni messaggio può trovare un percorso diverso secondo la situazione, e in cui, soprattutto, non c’è un "punto centrale". Ognuno di noi può essere, quando è il caso, il centro di grandi o piccole aree di scambio (cioè reti) ognuna delle quali ha un’identità distinta.

Un errore analogo, e molto più diffuso, è pensare che esista un "Signor Internet" o che il mondo delle reti sia qualcosa di paragonabile a un’organizzazione, con un vertice e una struttura gerarchica.


"Internet" è un nome proprio?

Non vorrei che anche questa fosse considerata una pedanteria grammaticale. È noto che il modo in cui usiamo le parole rivela (e influenza) il nostro modo di pensare.

Credo che si sia qualcosa di sbagliato nella diffusa abitudine di scrivere "Internet" con la I maiuscola a di trattare la parola come se fosse un "nome proprio".

Non so quale sia l’origine di questo errore, ma può derivare da un’interpretazione sbagliata dell’ortografia inglese. Molti americani scrivono "the Internet" con la I maiuscola. Ma l’inglese usa le maiuscole in modo diverso dall’italiano; ed è chiaro che una parola preceduta da "the" non può essere un nome proprio.

Se qualcuno scrivesse «parlo via Telefono» o «ho visto su Biblioteca» o «guardo Televisione» o «sono in Giornale» o «scrivo con Posta» sarebbe preso per semianalfabeta o tonto. Perché non ci accorgiamo che è altrettanto assurdo usare in questo modo la parola "internet"?

Molte osservazioni che leggiamo o ascoltiamo a proposito della rete sembrano partire dal presupposto che ci sia un Signor Internet e che abbia un suo sistema di opinioni e di comportamenti. Anche se non si considera la rete come una persona, se ne ragiona come se fosse una "testata" giornalistica o televisiva, con una propria redazione, uno stile, una tendenza.

La rete non è un "mezzo", né una comunità chiusa e omogenea. È un insieme di centinaia di migliaia di comunità diverse, ognuna con una sua identità; e di milioni di persone che scambiano messaggi, individuali o collettivi, ognuna secondo i suoi desideri e le sue esigenze. A molti piace immaginare che esista "il popolo della rete"; ma non capiscono che quel "popolo" non c’è. La principale qualità dell’internet è proprio quella di consentire a ognuno di scegliere i percorsi, i dialoghi e gli ambienti che preferisce.

Parlare di un’entità individuale chiamata Internet non vuol dire solo capire male la cultura della rete, ma anche impostarne male l’uso commerciale. La rete non è un supermercato; non è neppure una "testata" dove si possa mettere un contenuto editoriale (o un annuncio pubblicitario) con la speranza di raggiungerne i lettori. So che questa osservazione può sembrare banale, ma in realtà molti sembrano pensare che la rete sia un mondo separato e omogeneo – e che si possa comunicare con tutto (o quasi) un immaginario "popolo di navigatori".

Insomma... se scrivo "l’internet" con la "i" minuscola non è per sminuire la rete. Al contrario, è per rifletterne l’infinita varietà. Se diciamo "la radio", "il telefono", "la posta", "il giornale", "il dialogo"... mi sembra giusto dire e scrivere "l’internet". Forse, se tutti lo facessero, questo uso della lingua potrebbe aiutarci a capire meglio di che cosa si tratta.

Con la crescente diffusione della rete, si può pensare che cominci a diventare un sistema "di massa". In parte, è vero. Ma insieme all’estensione cresce la complessità. Ogni giorno, nel mondo, si registrano mille nuovi domain internet, si collegano cinquemila nuovi nodi, si affacciano alla rete più di centomila persone nuove. Secondo uno studio dell’IBM, ogni giorno c’è un milione di nuove "pagine" sulla world wide web. Aumenta la diversità. Se si segue la logica dei mezzi di comunicazione centralizzati, questo è un problema. Se si capiscono i valori e le occasioni offerte da un nuovo sistema di relazioni, è una risorsa.







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