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labirinto
Il filo di Arianna


agosto 2004

Giancarlo Livraghi     gian@gandalf.it



Il computer di Archimede


In occasione dei giochi 2004 ad Atene si è sparsa per il mondo la notizia che il computer era stato inventato in Grecia ai tempi delle antiche Olimpiadi. Detto così, non è vero. Ma non è priva di fondamento l’ipotesi che macchine da calcolo notevolmente evolute siano esistite a quell’epoca.

Ricerche archeologiche hanno trovato meccanismi a ingranaggi di oltre duemila anni fa – così complessi da somigliare a quelli del diciannovesimo secolo che sono considerati i progenitori dei computer di oggi (vedi cronologia).

È solo un’ipotesi che l’invenzione di quelle macchine si possa attribuire ad Archimede. Ma è noto che nel mondo ellenistico, in particolare fra la Magna Grecia e l’Egitto, c’era un ricco e complesso sviluppo di ricerca scientifica, con un impegno anche nell’evoluzione tecnologica. Strumenti di calcolo (o di rilevazione astronomica) non servivano solo per applicazioni pratiche di ingegneria, ma anche all’evoluzione del pensiero filosofico.

Quel processo si è, in gran parte, interrotto nel medioevo. Nell’Europa che si era formata dopo le “invasioni barbariche” il pensiero della cultura classica non era del tutto perduto, ma conservato solo in alcune ristrette comunità monastiche o in società segrete sospettate di eresia. Le sperimentazioni scientifiche e tecniche erano viste con diffidenza, come magie, stregonerie o pratiche demoniache – mentre le corporazioni di “arti e mestieri” custodivano gelosamente i loro segreti e spesso assumevano il carattere di comunità esoteriche e iniziatiche.

C’era una situazione analoga nell’impero bizantino, mentre nelle grandi culture orientali, come la Cina, importanti scoperte tecniche erano tenute al servizio di un “puro” pensiero filosofico, raffinato gioco di un’oligarchia che considerava volgare e barbarica ogni applicazione “utilitaria”. Nel mondo islamico, mille anni fa, ci fu un periodo di riscoperta e approfondimento della cultura greca. Ma ebbe respiro breve. E, anche in quel caso, si badava più al pensiero filosofico-religioso che alla possibilità di applicazioni tecniche.


L’evoluzione del mondo industriale ha due aspetti apparenterete contraddittori. Origini antiche, sviluppo recente. La sua fase “moderna” dura da sette secoli – ma è un periodo molto breve rispetto alla storia dell’umanità.

Non esiste cultura umana senza tecnologia. Non è un caso che le ere della preistoria si definiscano secondo il modo, più o meno evoluto, in cui si lavoravano le pietre – e più tardi in base alle tecnologie dei metalli. Non è solo perché i “manufatti” che si trovano negli scavi (di pietra, di bronzo, di ferro – come di tanti altri materiali) sono la base della ricerca archeologica. Ma anche perché gli sviluppi tecnici sono strettamente legati all’evoluzione delle culture umane.

I rapporti di causa ed effetto fra cultura e tecnologia sono complessi – e “reciproci”. È sbagliato pensare che siano sempre le tecniche a provocare il cambiamento. Molte volte, nella storia, è accaduto il contrario: una situazione culturale o sociale ha portato a un’esigenza da cui è derivata la scoperta di una nuova tecnologia (o una diversa applicazione di risorse già esistenti).

Sono molti i casi in cui una tecnica, che si era già sviluppata, è rimasta dimenticata e inutilizzata per decenni, secoli o millenni. Oppure era nota, con qualche limitata applicazione, ma non esprimeva le sue potenzialità più interessanti perché non era ancora “venuto il suo momento”.

L’importante non è chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina, ma capire come interagiscono fra loro le situazioni culturali e le soluzioni tecniche.

Fu un cambiamento della cultura, fra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo, a far nascere quella straordinaria evoluzione della lingua, del pensiero, del modo di vivere, che chiamiamo Rinascimento. Non si trattava solo di letteratura, arte e filosofia. C’era un forte interesse per la matematica, per la fisica, per la scienza in tutti i suoi aspetti – e per le applicazioni tecniche. Un personaggio come Leonardo da Vinci non è un “mutante” nato per caso, ma il frutto e l’interprete di un’epoca e di una cultura.


L’era industriale era cominciata nel quattordicesimo secolo. Non si era ancora trovato un modo di usare l’energia termica come forza motrice, ma con il vento e con l’acqua dei fiumi si facevano funzionare “mulini” che non si limitavano a macinare il grano, ma servivano per una crescente varietà di meccanismi.

Naturalmente le cose cambiarono alla fine del Settecento con le macchine a vapore e, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, con una graduale diffusione dell’energia elettrica. L’industria ebbe così quell’ampiezza e complessità di sviluppo che conosciamo – e in cui siamo ancora immersi, anche se da più di vent’anni sappiamo di essere entrati in una nuova fase, di cui non è facile capire la natura e le conseguenze.

Un gioco noto, e forse un po’ banale, è definire un’epoca come se fosse una giornata. Le origini della specie umana risalgono a circa un milione di anni fa. Ma possiamo limitarci a un periodo molto più breve.

Se collochiamo, press’a poco, l’inizio dell’era paleolitica a 40 mila anni fa, e da lì facciamo cominciare la giornata, troviamo la fusione dei metalli alle nove di sera. Archimede nasce alle 22,40 – Leonardo un’ora dopo, cioè venti minuti prima della mezzanotte. L’intera evoluzione industriale, anche se la facciamo partire un po’ prima del 1300, è nell’ultima mezz’ora.

Le macchine a vapore compaiono alle 23,51. L’uso sperimentale dell’elettricità comincia alle 23,53 – ma le lampadine e i motori elettrici arrivano due o tre minuti dopo. Il telegrafo nasce 6 minuti prima della mezzanotte. Il telefono, il cinema, l’automobile e l’aeroplano intorno ai 4 minuti, la radio 3, l’energia atomica e la televisione 2. Il prototipo degli elaboratori elettronici si realizza due minuti prima del momento in cui siamo, l’internet uno (venti secondi da quando la rete è diventata diffusamente accessibile). La telefonia mobile esiste da due minuti, la sua ossessiva diffusione da dieci secondi.


Il problema più importante non è la velocità del cambiamento – che non ha una crescita costante, né omogenea. È soprattutto il fatto che molte cose esistono da poco tempo (comprese quelle che ci sembrano “vecchie”, ma non lo sono rispetto ai tempi dell’evoluzione umana). Le radici biologiche, e in buona parte anche quelle culturali, della nostra specie non sono cambiate dai tempi delle caverne o delle palafitte.

Non è sorprendente constatare che non abbiamo ancora imparato a gestire la complessità delle risorse di cui disponiamo oggi – né quella varietà e istantaneità della comunicazione che ci erano sconosciute per il 99 % della nostra storia anche se la contiamo solo dall’origine della scrittura. (Vedi Cenni di storia dei sistemi di comunicazione).

Ormai abbiamo capito che gli entusiasmi ottocenteschi per le meraviglie del progresso erano ingenui. Sappiamo che l’avanzamento tecnico non può risolvere tutti i problemi – e spesso produce nuovi, talvolta drammatici, disagi e difficoltà. (Vedi Le ambiguità dell’innovazione). Ma ci resta ancora molto da imparare. Non si tratta di temere il mitico vaso di Pandora, né di porre limiti alla ricerca e alla sperimentazione scientifica – ma di adattarne le conseguenze pratiche alle esigenze umane (e dell’intero ecosistema) invece di fare il contrario.

Molto di ciò che ci sembra abituale è ancora nuovo. Non abbiamo avuto il tempo di imparare bene le possibilità e le conseguenze delle risorse di cui disponiamo, oltre a quelle che stiamo scoprendo. Rischiamo di “subire” l’innovazione invece di gestirla come più ci conviene. Il progresso sta nell’evoluzione della cultura umana. L’importante è capire come nutrire il nostro patrimonio scientifico e tecnologico con un continuo sviluppo di coscienza e conoscenza.




Post scriptum
dicembre 2006

Ci sono stati poi altri studi archeologici, che hanno confermato l’esistenza di antichi strumenti di calcolo, come per esempio un complesso elaboratore astronomico noto come “meccanismo di Antikithera”, trovato cent’anni fa nel relitto di una nave romana, ma solo oggi analizzato nelle sue caratteristiche tecniche.
Un dettaglio curioso è che, alla fine del 2006, la notizia è stata riferita da alcuni come “nuova sensazionale scoperta di un computer che ha tremila anni” – cosa che, se fosse vera, cambierebbe profondamente le nostre nozioni di storia della scienza e della tecnologia. In realtà la notizia non è nuova – e, benché sia un calcolatore di notevole raffinatezza, non si può paragonare a un computer di oggi. Dire tremila è un’esagerazione, ma è un fatto è che quel meccanismo, come altri già noti, è databile fra 2100 e 2200 anni fa.

Vedi “Dare i numeri”




Questa è una ricostruzione della “macchina di Antikithera“.

Antikithera

Quando, diciotto secoli più tardi, si ritornò
a progettare macchine da calcolo, questo era l’aspetto
della “pascalina“, concepita da Blaise Pascal nel 1642.

pascalina

E questo è un modello del difference engine
di Charles Babbage (1823) che è considerato
il precursore meccanico dei computer di oggi.

difference engine

Le diversità di struttura sono probabilmente
spiegabili per differenze di funzione.
 
Ma non è da escludere l’ipotesi che gli antichi
astronomi e matematici badassero all’estetica
più dei loro epigoni moderni.




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