Queste osservazioni mi erano state chieste come prefazione
al catalogo di una mostra allestita in un antico castello in Piemonte.

Non immaginavo che ciò che ho scritto potesse avere altra diffusione.
Ma, quando ha letto il testo “in anteprima”, la mia amica Elda Lanza
(che, oltre a saper scrivere bene, ha anche un’acuta e attenta capacità critica)
con mia sorpresa ha detto che va oltre il tema proposto e offre osservazioni
più estese, in generale, sui valori estetici e sulla percezione dell’arte.

Così mi ha scritto. «È un pezzo molto interessante. Ha spunti nuovi, inediti.
Riflessioni nitide e chiare, gustosamente insolite, stimolanti per tutti.
Merita una diffusione più estesa. Sarebbe un peccato se non lo mettessi
online per i lettori del tuo sito, certo in grado di apprezzarlo».


Eccolo qui. Giudichino i lettori se davvero merita di essere letto
anche fuori dal particolare contesto per cui era stato scritto.


Giancarlo Livraghi – dicembre 2011

Il significato
dell’estetica casuale

Anche pdf
(migliore come testo stampabile)


Mi è stato chiesto di ragionare su come un oggetto che nessuno ha progettato, perciò non si può chiamare “opera d’arte”, possa suscitare in noi emozioni e percezioni estetiche. Con la precisazione che devono essere escluse le apparenze figurative, come i noti casi di nuvole o rocce, ombre o paesaggi, che “sembrano” persone o animali. Cioè siamo nell’ambito dell’arte astratta.

La collezione che si sta studiando raccoglie “cose” di varia origine. Naturali o artificiali. Prodotte “spontaneamente” da processi fisici, chimici o biologici. Oppure frammenti o rottami di cose che erano state fabbricate, ma hanno perso l’aspetto e le caratteristiche degli oggetti o meccanismi cui appartenevano.

Deve essere escluso, in questa esplorazione, il caso di arnesi o attrezzi riconoscibili nella loro interezza, che spesso hanno valori estetici derivanti dalla funzionalità. Insomma la regola di questi esempi è che se c’è un valore estetico è del tutto casuale rispetto al modo in cui quegli oggetti sono nati.

La risposta fondamentale è facile e chiara. Quelle “cose” non sono né brutte né belle, non hanno “in sé” alcun significato. Ogni eventuale emozione o qualità estetica dipende dal nostro modo di percepirle. Fin qui, è molto semplice. Ma si tratta di capire come e perché ci possa essere una tale interpretazione.

È necessario premettere che nessuna percezione è passiva. Anche quando un’opera ha un autore e una precisa intenzione, non ha alcun valore senza il contributo attivo di chi la percepisce.

Un libro che nessuno legge è solo macchie sulla carta. Un quadro che nessuno guarda è un pezzo di tela imbrattata. Una musica che nessuno ascolta, canta o suona è uno scarabocchio su un pentagramma o una traccia inerte su un disco o in una memoria magnetica o elettronica. Eccetera.

Ma c’è di più. Nulla è mai uguale. La percezione non è mai neutra. Ogni volta che qualcuno legge o rilegge un libro nasce un libro nuovo. Ed è così ogni volta che si guarda un quadro o una scultura, si ascolta una musica, si va a teatro, si guarda un film. Questa è la grande magia di ogni forma d’arte (o di pensiero). Ma non solo.

C’è un’intensa emozione nel nostro osservare la natura. Poiché il nostro sistema di percezione è prevalentemente visivo, si tratta più spesso di ciò che vediamo. Ma contano anche i rumori, i silenzi, gli odori, i sapori, il toccare non solo con le dita. Un insieme in cui le singole sensazioni non sono mai separabili e tutto dipende sempre dal nostro stato d’animo, dal modo e desiderio di vivere un’esperienza.

È tutto “bello”? Non sempre. E comunque non è mai tutto uguale. La percezione generale è che tutte le piante, alberi, arbusti, erbe, foglie e fiori siano nella categoria della bellezza, ma è inevitabile che per noi alcuni siano più attraenti di altri. È giusto pensare che tutto sia intrinsecamente bello anche nel mondo animale, ma è molto più facile capire la bellezza di un airone o un delfino che quella di un rospo o uno scarafaggio.

L’emozione estetica è un dono, uno dei piaceri della vita. E per fortuna è inesauribile, non può finire mai di stupirci. È anche straordinariamente individuale. Ciò che per una persona ha il sapore di casa, di ritorno all’origine, per un’altra è la sorprendente scoperta di un’emozione sconosciuta. Può essere molto piacevole, commovente e illuminante, un’esperienza condivisa. Vedere ciò che per noi è abituale con gli occhi di chi lo scopre per la prima volta. O viceversa.

Come si colloca, in tutto questo, il valore estetico di una pietra, un legno, un rottame, il manico di un ombrello, un mozzicone di candela o un pezzo di ingranaggio di cui non conosciamo la funzione?

Potrebbero sbizzarrirsi i neurologi a cercare quale parte del cervello o del sistema nervoso, o neurovegetativo, viene stimolata. O gli psicologi a diagnosticare i motivi di reazione a uno stimolo, come si fa con le macchie di Rorschach. Ma in un’esplorazione estetica non sono queste le analisi che ci interessano. È meglio trattarla come un gioco di fantasia e come un esperimento culturale.

È inevitabile, ed è un bene, che ognuno abbia una percezione diversa. Ed è altrettanto inevitabile che, per il fatto di proporre qualcosa come “bello” (o anche solo interessante) la percezione di chi lo guarda sia condizionata. Va bene così, basta saperlo.

Del resto potremmo prendere una roba qualunque, metterla su un piedistallo in un museo, e perciò indurre chi la vede a considerarla a priori un’opera d’arte. (Con un po’ di cattiveria, potrei dire così di parecchie cose esposte trionfalmente nelle mostre di arte contemporanea – ma quella è un’altra storia).

Il “principio di indeterminazione” di Heisenberg, un pilastro della ricerca scientifica, ci insegna che osservare un fenomeno vuol dire modificarlo. Senza entrare nelle complessità filosofiche del “problema della conoscenza”, è un fatto che ogni cosa cambia significato e identità secondo il nostro modo di osservarla e capirla – e secondo l’ambiente, cioè il momento e il contesto in cui ne abbiamo esperienza.

Una delle conseguenze è che la percezione estetica può nascere da fattori soggettivi ed emozionali anche indipendentemente dalle caratteristiche “oggettive” della cosa che stiamo osservando.

Con questo ci avviciniamo alla seconda domanda che mi è stata posta. Quanto è importante la cultura, nel capire i valori estetici di un “oggetto casuale”, in particolare quando è astratto, cioè privo di somiglianze rappresentative?

*   *   *

Anche qui occorre cominciare con un ragionamento un po’ più generale. L’arte astratta (o espressionista, surrealista, metafisica eccetera) è sempre esistita. Nessuna forma d’arte è mai stata una semplice “copiatura” del reale. Ma nel ventesimo secolo si sono create scuole quasi esoteriche, difficilmente comprensibili per i “non iniziati”. Con alcuni sviluppi straordinari e illuminanti, ma anche con parecchi manierismi di discutibile valore.

Perciò se l’esplorazione di “astrattismi casuali” fosse elitistica, cioè i valori estetici fossero quelli che colgono alcuni particolarmente addestrati – e se gli altri non li percepiscono è perché sono ignoranti – diventerebbe una tautologia, una setta, un’aristocrazia iniziatica. Se ci “sforziamo” di percepire qualcosa dove forse non c’è, la conseguenza è che qualsiasi frammento di spazzatura può essere elevato al rango di arte involontaria e tutto l’esperimento, girando su se stesso, diventa insignificante.

In senso inverso, è un fatto che ogni percezione estetica è influenzata da fattori culturali. Ognuno vede, sente, capisce secondo l’ambiente in cui è cresciuto. Se questo è vero per le opere d’arte concepite come tali, ovviamente lo è ancora di più per oggetti “casualmente estetici” come quelli di cui stiamo parlando. Potrebbe essere interessante osservare quali sono le differenze – o le convergenze – fra persone diverse esposte allo stesso stimolo. Evitando il più possibile di condizionarle orientando la loro attenzione su questo o quello fra gli esempi proposti.

Un’ipotesi ragionevole è che entrino in gioco fattori di somiglianza. Anche se in questo caso è intenzionalmente esclusa ogni ipotesi “figurativa”, cioè che qualcosa casualmente “sembri” il ritratto di una persona o la rappresentazione di un oggetto identificabile, è tuttavia probabile che se ci dà un’emozione estetica sia perché la sentiamo simile a una forma astratta, ma non per questo meno reale, che esiste dentro di noi. Per fattori istintivi difficilmente definibili o per consapevole apprendimento di quella educazione artistica che Matteo Marangoni bene definiva “saper vedere”.

È sempre fondamentale capire che ci sono diversi livelli di percezione. In generale, la mia convinzione è che un buon libro deve essere comprensibile a tutti, offrendo diversi livelli di lettura secondo la capacità e il desiderio di approfondimento che ciascun lettore può avere. E così una buona musica, emozionante per tutti, ma con un gusto particolare per chi ne sa cogliere le sottigliezze. E così ogni opera d’arte.

Comunque, come già osservato, la comunicazione non è mai a senso unico. C’è sempre un ruolo attivo di chi guarda, legge o ascolta. Inevitabilmente influenzato dalla sua formazione culturale – sempre una risorsa, ma anche un limite che dobbiamo imparare a superare per non essere condizionati da luoghi comuni, preconcetti e pigre miopie. Ogni stimolo che sappiamo cogliere, anche quando sembra un dettaglio irrilevante, può aiutarci a superare le barriere dell’ovvio e trovare prospettive diverse da quello che credevamo di sapere.

Nel caso dell’estetica casuale, tutto questo come funziona? Non lo so. Ma credo che possa diventare interessante quando è un piacere e un divertimento – e soprattutto quando stimola quella fondamentale risorsa di conoscenza che è un’insaziabile curiosità.



Il ragionamento non finisce qui. Anche altre persone, con cui
l’ho condiviso “in anteprima”, mi stanno dando spunti interessanti.
Ci sto pensando. Probabilmente un giorno aggiungerò qualcosa.
Ma intanto spero che queste pagine, nella loro intenzionale brevità,
offrano davvero qualche stimolo ad apprezzare e gustare tutte le percezioni che,
per opera d’arte o apparente casualità, ci possono offrire un’emozione estetica.




 
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