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I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
16 – agosto 2002


Il paradosso della tecnologia
(“naked technology”)
 
Ovvero come spendere miliardi per farsi del male
(oppure risparmiare e migliorare la qualità)


Il “paradosso della tecnologia” non è un argomento nuovo per i lettori di questo sito (o dei miei libri) – come non lo è per chi abbia qualche esperienza nell’uso dell’informatica fin dai tempi in cui il più piccolo dei computer aveva le dimensioni di un autotreno.

Vedi per esempio
Il problema delle tecnologie
I malanni delle tecnologie
La congestione comunicativa
La congestione tecnologica

Ma il fatto curioso (e preoccupante) è che il problema di un uso efficacie delle tecnologie dell’informazione (e della communicazione) rimane irrisolto. Sembra che le lezioni di decenni di esperienza siano ancora inascoltate.

Il 7 agosto 2002 George Colony, presidente di Forrester, ha pubblicato un articolo intitolato Naked Technology in cui spiega che «iniettare tecnologia in un’impresa senza processo e cambiamento organizzativo crea spreco e caos».

Per più di vent’anni – dice George Colony – ho analizzato le spese in tecnologia di 3500 grandi imprese su scala “globale”. Una dinamica rimane costante. Molte imprese spendono in tecnologia e non ne ricavano vantaggi economici né effetti positivi sulla loro efficienza. Paradossalmente, spendono soldi per aumentare la confusione e la sofferenza.

Questa sconnessione è accelerata nel periodo 1998-2000, quando grandi imprese si sono buttate in una storica orgia tecnologica. Forrester ha calcolato che il tech overspend in quegli anni è stato di 65 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti.

I risultati? Smarriti e stupefatti capi d’impresa e direttori finanziari che si sono sentiti bruciati dal denaro perso (e ora misurano gli investimenti col contagocce). Perdita di credibilità per le tecnologie dell’informazione e per chi le vende, offerte di hardware a dieci centesimi per un dollaro, riduzione dei margini e dei profitti. E, a proposito, ci troviamo anche in una tossica recessione tecnologica.

Perché – si chiede Colony – continua questo gigantesco squilibrio fra spesa tecnologica e vantaggi reali?

La risposta è mostruosamente semplice. Si investe in tecnologia senza sapere perché, senza modificare i metodi di lavoro, senza impostare i processi per cui l’uso delle tecnologie potrebbe essere utile. I motivi per cui si continua a percorrere questa strada sbagliata si possono riassumere in quattro punti.

  • È facile firmare un assegno a un venditore, ricevere e installare. È enormemente più impegnativo ripensare i metodi di lavoro e la struttura dell’organizzazione.


  • L’information technology non può cambiare l’organizzazione e i processi – quel compito tocca alle unità operative. Ma fra l’IT e le divisioni operative non c’è allineamento, anzi spesso ci sono conflitti e incomprensioni. L’IT porta problemi di gestione delle relazioni, ma le strutture dell’impresa non sono preparate ad affrontarli.


  • Le imprese e i loro dirigenti non hanno il coraggio, la capacità o la prospettiva che occorrono per cambiare l’organizzazione e i processi.


  • In alcuni momenti economici (come è accaduto in anni recenti) la tecnologia sembra qualcosa di indiscutibilmente utile, che occorre avere subito e a tutti i costi. Anche se è “nuda” e perciò inutile o dannosa.

Sempre secondo Colony, le conseguenze sono cinque.

  1. Se non avete un’idea chiara su come intendete cambiare il processo e l’organizzazione, non iniettate tecnologia. Ci sono imprese di grande successo che non sono all’avanguardia tecnologica. Perché hanno processi efficienti e un cambiamento di tecnologia “fine a se stesso” potrebbe distruggerli. In altre parole, se avete un’organizzazione efficiente basata su tecnologie sperimentate, non fatevi del male cambiandole senza motivo.


  2. Se avete la responsabilità delle tecnologie, chiedete un progetto di cambiamento del processo e dell’organizzazione prima di analizzare le soluzioni tecniche. I migliori direttori IT non badano alle tecnologie, pensano prima di tutto al processo e verificano le evoluzioni organizzative e le esigenze pratiche in ogni fase – prima, durante e dopo l’installazione delle risorse tecniche.


  3. I venditori di tecnologie dovranno badare molto di più al servizio. Verificare che qualcuno (l’impresa o i suoi consulenti) abbia definito il processo in base al quale si dovranno fare le scelte tecniche.


  4. Ci vorrà un metodo collaborativo per la definizione dei progetti. Questo richiede una stretta collaborazione fra IT, marketing e altre business unit. Persone di cultura diversa dovranno imparare a lavorare insieme.


  5. La ripresa tecnologica sarà lenta. La naked technology può invadere un’impresa rapidamente. Tecnologia + organizzazione + processo richiedono molto più tempo, cura e attenzione.

Non mi sembra che ci sia molto da aggiungere a queste osservazioni di George Colony – né alle molte cose che ho già scritto su questo argomento. Ma è sconcertante constatare che siamo ancora in un situazione così confusa quando l’automazione industriale esiste da due secoli, i computer da sessant’anni, l’internet da trent’anni, l’elettronica diffusa (personal computer) da vent’anni (vedi la cronologia in appendice a L’umanità dell’internet).

È sostanzialmente facile capire che le tecnologie funzionano solo quando sono al servizio delle persone e delle organizzazioni (non viceversa). È straordinariamente ovvio che si risparmia molto denaro, e soprattutto si evitano molti danni e dispiaceri, scegliendo e applicando le tecnologie in base a esigenze chiare e verificate. È evidente al di là di ogni possibile dubbio che l’investimento principale sta nella formazione e motivazione delle persone, e nell’adeguamento dei processi e dell’organizzazione, non nelle risorse tecniche “in quanto tali”.

Contro ogni evidenza e contro il buon senso ci si è infilati per un tempo assurdamente lungo in un percorso incredibilmente stupido. Dopo tutte le batoste che ne sono derivate (di cui i “crolli in borsa” sono solo un vistoso dettaglio) avremo finalmente imparato la lezione?

Ancora una volta, si conferma il fatto che i tempi della reale evoluzione non dipendono dalla “mera disponibilità” di risorse tecniche ma dal modo in cui sono usate. E che i tempi dell’evoluzione umana, culturale e organizzativa, possono essere molto diversi da ciò che immagina chi bada solo alle tecnologie.

In tutto questo forse ci può essere un pensiero “consolante”. Sappiano che l’Italia è ancora arretrata in fatto di investimenti in information technology. Accade talvolta che in una situazione complessa “gli ultimi possano essere i primi”. Potremmo portarci in vantaggio se invece di inseguire i peggiori sprechi dell’ormai declinante “orgia tecnologica” facessimo un “salto in avanti” usando meglio le tecnologie che abbiamo e soprattutto basando le nostre scelte tecniche su analisi intelligenti di processo e di organizzazione.




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