Soltanto un nome sui titoli di testa: così lo sceneggiatore Ugo Pirro intitolava un suo libro di ricordi, a metà tra l’autobiografia ed il romanzo di una vita.
Soltanto un nome sui titoli di testa: molto spesso, troppo spesso (diciamo quasi sempre) gli autori di un film rimangono tali nella memoria di appassionati, critici, storici e semplici spettatori.
E allora è sempre da salutare con gioia l’uscita allo scoperto di uno sceneggiatore, uno scenografo, un direttore della fotografia, un musicista che si metta in gioco con il suo eventuale pubblico, svelando la propria personalità, i propri ricordi, le proprie idee, raccontando ai lettori la propria vita, privata ed artistica. Perché il cinema è stato l’arte per eccellenza del Novecento, indispensabile per comprendere la cultura del secolo e quindi fonte irrinunciabile per qualunque storico che si rispetti, non solo cinematografico. Avere fonti e documenti sotto mano è il sogno di qualunque storico e, se qualche cineasta è così gentile da aprire i suoi cassetti, chapeau…
Erico Menczer cinefili e appassionati se lo ricordano sicuramente come il direttore della fotografia dei primi due capitoli della saga di Fantozzi. Altri lo ricorderanno molto spesso al fianco del regista Luciano Salce e, qualche volta, accanto a Lizzani, Fulci, Montaldo, Argento, Avati; mentre i fan del cinema di genere conosceranno a memoria i titoli di gialli e polizieschi fotografati per Di Leo, Crispino, Miraglia, Prosperi, Guerrieri. Insomma, il suo aspetto pubblico è noto ai cinefili, perché Menczer è uno dei direttori della fotografia più abili ed apprezzabili del cinema italiano.
Ma chi sa come Menczer è arrivato al cinema? E perché? E quali sono gli ostacoli, i problemi, le difficoltà che si frappongono al sogno cinematografico di un fiumano arrivato a Roma?
Ecco, già raccontare i tortuosi sentieri che spingevano a Roma (perché tutte le strade portano a Roma, lo sapevate, no?) nel secolo scorso tanti italiani, allettati dall’avventura di Cinecittà, potrebbe essere un documento storico eccezionale. Sarebbe facile trascendere il particolare e fare dell’avventura di un fotografo un caso esemplare. Ma se a tutto questo aggiungete che la gioventù di Menczer, fiumano di origine ebraica, in fuga dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, sembra essa stessa un romanzo d’avventura, con tanto di fughe rocambolesche, è ovvio che il desiderio di tuffarsi a leggere queste memorie diventa irresistibile.
E allora che altro aspettate a lasciare le righe di quest’introduzione?
Andrea Pergolari