Un’altra cosa che mi è piaciuta molto del cinema è che tra un film e l’altro c’è quasi sempre un periodo di inattività che consente di dedicarsi alla famiglia, alla casa e a tante altre cose che, con gli orari del cinema sarebbero impossibili. Sono riuscito a stare con i miei figli per compensarli anche delle mie spesso lunghe assenze per i lavori fuori Roma. Guadagnavo abbastanza per poterlo fare. Alcuni colleghi verso la fine di un film stavano sempre al telefono per trovarne subito un altro, con la scusa che le persone che lavoravano con loro avevano famiglie da mantenere. Era invece la voglia di guadagnare sempre di più. Posso dire che non ho quasi mai telefonato a registi e produzioni per trovare un nuovo film, preferivo essere chiamato, voleva dire che qualcuno aveva bisogno di me per la qualità della fotografia o per la mia efficienza.
Facendo il direttore della fotografia si guadagna abbastanza per fare una vita più che dignitosa, per mandare i figli all’università, e fare viaggi e vacanze. Non ho mai avuto voglia di cambiare spesso la macchina, o di avere una casa al mare o in montagna, lo consideravo un problema in più. Cercare di fare qualche film in più voleva dire che sarei stato di meno con la mia famiglia. Perciò potevo dedicarmi ai bambini, accompagnarli e andarli a prendere a scuola andare con loro in vacanza, portarli al cinema, accompagnarli alle feste. Mio figlio da bambino era incuriosito dal mio lavoro ma dopo essere venuto un paio di volte a visitare un set mi disse: “Papi, come fate a capirci qualcosa con quella confusione?”
Avevo saputo da amici che a Roma esiste Intercultura, un’organizzazione che cura scambi tra giovani studenti di tutto il mondo. Mi informai bene e seppi che c’era la possibilità di mandare mio figlio diciassettenne in USA per un anno, presso una famiglia ospitante, dove avrebbe potuto studiare alle superiori e imparare l’inglese. Le informazioni erano ottime, questa organizzazione aveva mandato negli anni migliaia di giovani a studiare in USA. Quando tutto fu stabilito mio figlio Filippo partì e trepidammo fino alla sua prima lettera. Fu entusiasta. Duluth, in Minnesota, sul lago Superiore era una bella cittadina, la famiglia era composta da padre e madre gentilissimi e pratici per aver ospitato altri ragazzi, quattro fratelli di cui un suo coetaneo e una sorella. Frequentò e finì il liceo, imparò perfettamente l’inglese, partecipò a feste nella scuola, fece gite, vacanze, trattato come un figlio, ebbe molti amici, andò con i fratelli in canoa a pescare nei laghi del nord, pulì e cucinò il pesce pescato, guadagnò qualche dollaro tagliando l’erba dei vicini. Una cosa che lo entusiasmò fu il viaggio di ritorno dal Minnesota a N.Y. con un bus che raccoglieva in vari punti del Minnesota tutti i ragazzi Intercultura che come lui tornavano a casa. Fu un viaggio a tappe, durò diversi giorni, furono ospitati le notti presso varie famiglie, in una cittadina fu ospite in casa dello sceriffo, questo lo divertì molto. Di questo “bus trip” parlò per settimane. Lo andai a prendere a Ciampino, l’aereo era pieno di ragazzi, mi venne incontro con le scarpe da ginnastica slacciate, era l’ultima moda. Parlava mezzo americano. Per un anno ci fu a casa mia un viavai di amici conosciuti durante quel viaggio, dall’Italia e da tutta l’Europa e persino dal Brasile!
Mio figlio è rimasto sempre in contatto con la famiglia americana, i genitori vennero a Roma ospiti a casa mia, gli facemmo visitare Roma, li chiama tuttora mom e dad, si scrivono, sono andati al suo matrimonio a San Diego, ci scambiamo telefonate, auguri e fotografie a ogni occasione, sono stato ospite loro a Duluth, insomma siamo due famiglie molto unite. Recentemente è mancato il padre, la mamma è venuta a trovarci a San Diego. Sempre tramite Intercultura ospitammo a Roma una ragazzina australiana molto dolce, le volemmo subito bene, ma quando tornò in Australia cambiò città e ci perdemmo di vista. Avemmo ospite anche una ragazza di N.Y, figlia di un gangster, così diceva lei, ma per un breve periodo.
Ci vogliamo molto bene io e mio figlio, ora ha quarant’anni, ha due figli, fa il ricercatore in un’Università in Indiana, pubblica molti articoli, lo invitano a conferenze in giro per il mondo, vado spesso a trovarlo, sto lì almeno un mese. Io gli dico che è il figlio migliore del mondo, lui dice altrettanto di me. Ci scambiamo delle email quasi ogni giorno.
Mia figlia Susanna alla stessa età la mandai a Londra presso una famiglia che conobbi in occasione di un film, si trovò bene ma gli inglesi sono molto più freddi e dopo il suo ritorno non ebbe più contatti. Comunque le servì per imparare l’inglese, le fu molto utile quando andò alla scuola interpreti e tuttora per il suo lavoro alla Rai. Prima di entrare alla Rai è stata per dieci anni all’Alenia Spazio facendo un lavoro abbastanza interessante. Le avevo detto più di una volta di non sposare mai un commerciante e invece sposò proprio un commerciante di autocarri, bravo ragazzo che però esauriva le sue energie nel suo commercio, tornato a casa si metteva in pantofole. Con una ragazza bella, intelligente, colta e spiritosa il matrimonio non poteva durare a lungo. Sposatasi una quindicina di anni fa, separata da cinque, ha un figlio di quattordici anni, un bel ragazzo intelligente, un po’ discolo come tutti i ragazzi d’oggi. Purtroppo il suo lavoro alla Rai è, come per tutti ormai, un lavoro a contratto, non può prendere impegni a lungo termine. Abita in una bella casa in un comprensorio in mezzo a tanti fiori e a quattro gatti. Ama molto il cinema, forse ha ereditato da me questa passione, e’ stata inviata dalla Rai all’ultimo Festival del Cinema di Venezia.
Mi sono dedicato anche molto a mia moglie che è venuta spesso con me nei miei viaggi in Italia e all’estero, Milano, Palermo, Ascoli Piceno, Venezia, Firenze, Parigi, Amburgo e quasi sempre in USA. I primi anni di matrimonio abbiamo avuto un problema, il fumo. Mia moglie aveva sempre fumato, ma durante il nostro breve fidanzamento il fumo non mi aveva dato molto fastidio. Eravamo molto innamorati. Da sposati invece, siccome lei fumava giorno e notte, a letto, a tavola, in macchina, sempre, ho tentato di farla fumare di meno, ma non c’è stato niente da fare. Ero esasperato, un amico mi disse: “Hai due possibilità, o vi separate o ti metti a fumare.” Io, innamorato, cominciai a fumare e ho continuato per vent’anni. Ho fumato tutti i tipi di sigarette, sigari, la pipa, finché arrivarono le prime notizie sui gravi danni del fumo, allora smisi con l’aiuto dell’agopuntura, lei invece continuò e fu la causa della sua prematura dipartita.
Mio padre si era fatto qualche anno della prima Guerra Mondiale, ma dopo anni di benessere aveva dovuto riaffrontare i disagi della guerra del ‘40 e il pericolo della deportazione. Mi sono chiesto spesso come abbia fatto a superare le difficoltà economiche dopo essere stato licenziato nel ’38. Finché eravamo ancora a Fiume nella nostra villa era più facile, ma dal momento in cui dovettero andarsene a vivere in Liguria, a cinquant’anni, tutto divenne più difficile. Eppure non si scoraggiò. Trasformò il suo hobby della filatelia in attività commerciale, e pian piano riuscì persino a comperare un appartamentino dove visse con mia madre fino alla sua morte. L’ho ammirato tanto, non si è mai scoraggiato, povero papà, ha lavorato giorno dopo giorno senza fermarsi mai, finché, a settant’anni e oltre non gli resse il cuore e si dovette fermare. Dispiaciuto per la mia mancata laurea, dopo avermi osteggiato per anni dicendo che ero un illuso, che non sarei mai riuscito a entrare in quell’ambiente di cui non sapevo nulla, divenne un mio fan, seguiva molto il mio lavoro. Vedendomi felice e soddisfatto voleva sapere con chi e dove stavo lavorando e mi raccomandava di raccogliere le fotografie di lavorazione. Non mi piaceva chiedere ai fotografi di scena di scattare delle foto in cui ero con il regista o con gli attori, ma per accontentarlo l’ho fatto spesso. Oggi ho capito che aveva ragione, possiedo un album pieno di foto e mi piace sfogliarlo e farlo vedere ai giovani allievi e agli amici. Me le hanno anche chieste spesso per pubblicarle su libri o riviste di cinema. Inoltre mio padre raccoglieva e mi mandava i ritagli dei giornali che menzionavano la mia fotografia. Anni dopo mi faceva piacere rileggerli.