Ho lavorato parecchio anche per la televisione, mai direttamente, ma per produzioni che avevano appalti RAI per produrre dei filmati. Il primo è stato tantissimi anni fa, uno dei primi filmati della Rai, il “Mastro don Gesualdo” da Verga. Una troupe girava in Sicilia, la produzione era in forte ritardo, due colleghi, abituati ai ritmi Rai, se la prendevano comoda, a quei ritmi ci sarebbero voluti mesi per finire il lavoro. L’organizzatore, sapendo della mia velocità, mi chiamò, aveva un contratto bloccato e stava per rimetterci le penne. Il regista era Vaccari, il protagonista Enrico Maria Salerno. Abitavamo a Lentini. La mattina Vaccari mi portava attraverso una pittoresca zona di aranceti, piena di curve, a Vizzini dove erano i set. Aveva una macchina molto potente, gli piaceva correre, io non ero molto tranquillo. Comunque presi in mano la situazione e in tre settimane finimmo il lavoro. L’organizzatore non finiva di ringraziarmi. Tornato a Roma seppi che Vaccari appena rientrato era finito con la sua potente macchina contro un albero ed era deceduto. Mi dispiacque tantissimo, era una bella persona e un bravo regista.
Un altro lavoro che feci molto volentieri per tre anni di seguito furono le serie di “Casa Cecilia” con Delia Scala e la regia di Vittorio De Sisti. Il padre della famiglia, Giancarlo Dettori era una fonte inesauribile di battute spiritose. Era un lavoro riposante, quasi da impiegato, prendevo la Metro per Cinecittà la mattina e tornavo la sera senza uscire dal teatro se non per la pausa pranzo. Eravamo diventati quasi una famiglia, per tanti mesi sempre le stesse facce. Genitori e figli, la cameriera, le nonne, tutti simpatici. Le storie di Lidia Ravera erano originali, le sceneggiature erano ottime, De Sisti curava la recitazione anche se i programmi giornalieri erano piuttosto pesanti.
Altre serie TV sono state “Nessuno deve sapere” di Mario Landi, da un’idea di Lina Wertmuller, girato in Calabria, sull’ ingerenza della ndrangheta nei lavori pubblici. Abitavamo e giravamo spesso in un albergo prestigioso, ma data la zona un po’ pericolosa questo albergo era sorvegliato giorno e notte da uomini armati agli ordini di un capo, una persona molto simpatica. Ultimamente ho letto una notizia, la persona molto simpatica era stata arrestata perché capo della ndrangheta locale.
Poi una serie di filmati, tutti per la regia di Vittorio De Sisti: “Progetti di allegria”, “Un uomo in trappola”, “L’eterna giovinezza” e “Battaglia selvaggia” sulla vittoria dell’Italia nel campionato del mondo di calcio del ’38. Per quest’ultimo lavoro stavamo al Grand Hotel di Stresa. Un sabato mattina ore 7, sveglia e doccia. Mi sveglio sotto l’acqua che scroscia, nella vasca piena di sangue e con un gran male alla testa. Dove sono? Faticosamente mi alzo, dalla testa esce il sangue, mi asciugo alla meglio, mi infilo lo slip e vado ad aprire la porta. C’è un anonimo corridoio, ma passa una persona. Chiedo “Che posto è questo? Lei chi è?” – “Sor Erico, sò Tonino er capogruppo, stamo a girà un filme, che je successo? Nun se mova, vado a chiamà Righetto”. Richetto è il mio capoelettricista. Mi infilo camicia e pantaloni, arriva Richetto, pancione, 120 chili, mi guarda, guarda la vasca “Sorè, siete scivolato, avete battuta la testa ar rubinetto…” In quella arriva il direttore di produzione, Carlo, un amico. “Te porto in ospedale, mettete le scarpe.” In macchina mi spiegano di che film si tratta, mi fanno leggere le pagine da girare quel giorno, io cerco di capire, chiedo “chi è il regista, chi sono gli attori,” dalla nebbia esce qualche faccia. Venti minuti e siamo all’ospedale di Verbania, subito una veloce visita, la flebo e una lastra. L’ infermiera intanto mi chiede le generalità, ma non ricordo niente, “l’indirizzo, questo me lo ricordo, Via di Ripetta, 41 Roma.” Ma come si chiama, “Non lo so, aspetti, guardo nel portafoglio, ecco, Menczer, con la ci-zeta, Erico, ma mi scusi non abito più in Via di Ripetta, Via Civinini, 26, in Via di Ripetta abitavo prima.”
Quanti ricordi in Via di Ripetta, i dieci anni più divertenti della mia vita, appena separato, quanti amici, quante amiche, quante belle storie, Anna, Cristina, Stefania, Leda, Mariama, Olga, Angela, i primi quadri… A proposito di Angela, era una ragazza ligure, amante del cinema, lavorava in una distribuzione per la quale andava anche al Festival di Venezia, ma amava anche fare qualche particina. La conobbi mentre giravamo con Vittorio de Sisti “Sesso in confessionale”. Era una delle ragazze che, andata a confessarsi era incappata in un prete che voleva sapere tutti i particolari dei suoi peccati sessuali… Ci vedemmo una sera a cena, poi rimase a casa mia e vivemmo insieme per circa un anno piuttosto burrascoso…
Il dottore torna, “non c’è frattura,” dice, “ha la testa dura questo signore… con l’acqua di Roma… lo potete portare a casa tra un paio d’ore.” Il direttore di produzione sollevato può salvare la giornata, mi dice, “Intanto che devi stare qui a non fare niente, dai disposizioni a Richetto che va a preparare le luci” . Dò le disposizioni e se ne vanno, ma mi accorgo che la mano con l’ago della flebo si sta gonfiando come un palloncino, penso sia normale, poi chiamo l’infermiera che dice “non è niente, adesso la sistemo,” e infila l’ago da un’altra parte “tra un po’ si riassorbe.” Mi dice “non le diamo i punti, dovremmo rasare la parte,” mi dà una borsa del ghiaccio da tenere sulla ferita, “tra un po’ si rimargina”. Alle undici mi vengono a prendere e mi portano sul set, mi mettono seduto, “possiamo chiamare gli attori?” – “Datemi cinque minuti” ma sono inflessibili, vedo il set come attraverso un velo, arrivano attori e truccatori al seguito e iniziano le riprese, fino alle due, il sabato si lavora fino alle due. “Stop, grazie signori, per oggi abbiamo finito”. Riesco a malapena a camminare, alle due arriva in treno Teresa, chiedo a Richetto di andarle incontro, la stazione è a due passi. Teresa appena mi vede capisce che qualcosa… “Non è niente, solo una botta, devo tenere il ghiaccio per un po’.” Il cinema è come il circo, non si deve fermare mai!
E per finire: “Sound” di Biagio Proietti con Peter Fonda, una bella persona.
“Un cane sciolto” furono due puntate di Giorgio Capitani con Castellitto, lavorazione molto piacevole. Infine “Alta società” sempre di Capitani, fu prodotto e interpretato da Edwige Fenech, a Viareggio, Portofino, Milano, Londra. Giorgio Capitani, appena cominciai a lavorare con lui mi disse una frase che non posso dimenticare, mi disse: “Come ho fatto a lavorare tanti anni senza di te?”
Mi sono sentito sciogliere dentro.
Stavamo girando nell’atrio grande del Palazzaccio a cui si accede dallo scalone di marmo. La scena durò più del previsto, l’ambiente era effetto giorno, ma si stava facendo buio. Sapevo che prima o poi avrei dovuto illuminare dall’esterno. Infatti Capitani mi disse “Devo inquadrare quella finestra, dovresti farla illuminare”. Era notte ormai. Andai fuori a vedere dove avrei potuto far mettere un proiettore per ottenere l’effetto migliore, ma misi un piede in fallo e precipitai giù da due metri sullo scalone di marmo, un dolore da pazzi, il marmo è durissimo soprattutto a caderci sopra, qualcuno sentì i miei lamenti e arrivarono a rimettermi in piedi, non potevo muovermi, dolori dappertutto. Mi caricarono in macchina, volle venire anche Capitani al Santo Spirito, mi fecero le lastre, “niente di rotto, ha le ossa dure questo signore”, abbiamo capito, con l’acqua di Roma… Dopo mezz’ora stavo già sul set, seduto, con dolori da piangere e ci rimasi fino a mezzanotte per finire la scena. Il cinema è come il circo…
L’unico problema è che i compensi settimanali erano più bassi che nel cinema, i produttori si giustificavano dicendo che la Rai pagava poco per questi appalti. Ma la voce che circolava da anni era che per dare questi appalti i funzionari pretendessero delle tangenti piuttosto alte. Una specie di ricatto che i produttori dovevano accettare per mandare avanti la baracca. Sempre per sentito dire, pare che uno di questi funzionari amasse andare di persona alle produzioni a ritirare il contante con la sua “24 ore”. Niente assegni, niente passaggi, nessuna prova. Mi pare si chiamasse Sodini o Sidoni. E’ gente che considera la Rai una vacca da mungere, oltre a stipendi principeschi si sentono in diritto di pretendere mazzette a sei zeri. Mandano in onda per la centesima volta “La signora in giallo” e “L’ispettore Derrick” , ci ammorbano con la pubblicità e pretendono anche il canone. Una cosa vergognosa. Tangentopoli arrivò anche alla Rai ma potè fare poco per superare un muro di omertà.
Non è che nelle produzioni fosse diverso, c’erano e ci sono tuttora tangenti su tutto, ma tangenti oneste. Ogni fornitore pagava una tangente per avere il cliente, che fosse il fornitore di mobili e arredi oppure la fornitura dei cestini. Praticamente un’onesta percentuale come in ogni attività commerciale.
Per non parlare del commercio sotterraneo di pellicola “sottratta”, in mano a un mediatore che si fece costruire un villino al Circeo che tutti chiamarono “Villa Kodak”.
Noi direttori della fotografia abbiamo sempre puntato sulla qualità dell’immagine usando le migliori macchine da presa, i migliori obbiettivi, le migliori pellicole. Il nostro piacere è sempre stato leggere nelle recensioni dei nostri film: …ottima la fotografia di… oppure: …ben fotografato da… Ora questi apprezzamenti non si leggono quasi più perché la televisione, per i tempi ristretti di lavorazione, per i mezzi tecnici sempre più ridotti ha fatto scadere la qualità, perdere il valore alla fotografia. Oggi è importante produrre ogni giorno il massimo minutaggio da montare, purché si vedano le facce degli attori, tutto va bene. I registi non stanno più di fianco alla cinepresa o alla telecamera a seguire la recitazione degli attori, stanno appartati in un angolo davanti a un monitor e da lì comunicano con gli attori e i tecnici. Il direttore della fotografia non deve più andare a controllare in proiezione il risultato della fotografia, ha già visto tutto sul monitor, senza alcuna emozione. Da lì il girato passa direttamente al montaggio digitale e non si ferma più fino alla messa in onda. E’ diventata una catena di montaggio come per qualsiasi prodotto industriale, i serial come le salsicce.
Un analogo discorso si può fare per il sonoro che anni addietro veniva attentamente curato. C’era l’ingegnere del suono che giudicava il suono in cuffia durante e dopo la ripresa, il recordista curava che la registrazione fosse perfetta, il microfonista, stando sul set cercava di mettere il microfono nella posizione migliore, facendo spesso modificare delle luci per potersi avvicinare il massimo agli attori senza fare ombre. In una coproduzione italo-inglese i fonici vennero da Londra, erano addirittura quattro: l’ingegnere del suono, il recordista, e due microfonisti, uno per mettere i microfoni addosso agli attori per un dialogo migliore, l’altro col microfono panoramico per registrare i rumori di fondo, il risultato era eccellente. Oggi lo fa spesso una persona sola che regge un registratore digitale a tracolla e il microfono lo mette dove può. Il risultato è che spesso si perdono delle battute se non delle frasi intere. Faceva bene Fellini che la colonna di presa diretta la utilizzava come colonna guida e doppiava tutto con nuovi effetti, nuove voci, ricreava il sonoro come aveva creata la scena. Un ottimo sonoro si sente ancora nei film stranieri doppiati dai nostri stupendi doppiatori nei migliori studi di registrazione. Anche in molti cinema il sonoro lascia molto a desiderare, parecchie sale anche ristrutturate di recente hanno una discreta proiezione ma il sonoro scadente, a causa della bassa qualità degli impianti. Non c’è in Italia come negli altri paesi europei e negli USA una commissione di controllo degli impianti sonori.
Tornando alla televisione, mi pare tanto avvilente oltre che diseducativo il fatto che la maggior parte dei filmati che vanno in onda, prodotti in Italia, o importati dagli USA o dall’Europa, abbiano come argomento la delinquenza. Non c’è più un telefilm in cui i protagonisti non siano sempre con la pistola ben visibile e non sparino con la massima facilità. Ma la cosa più ridicola è che i cattivi sparano centinaia di colpi senza mai colpire i buoni mentre i buoni con ogni colpo uccidono un cattivo. E corse in macchina, aggressioni, e tanta violenza. Cose che gli americani facevano trent’anni fa, ora le facciamo anche noi e inoltre ci propinano pure i telefilm di allora. Non abbiamo proprio più niente da dire? Ci sono tanti bei libri nelle librerie, ma raramente si traggono film o telefilm dai libri. Mi domando il perché, ma temo che gli spettatori siano ormai drogati e a forza di vedere i telefilm violenti non ne possono più fare a meno, uno tira l’altro come le ciliegie. Ai responsabili delle reti televisive, pubbliche o private interessano solo l’audience e i ricavi della pubblicità, se il telespettatore si rimbambisce non ha importanza. Come per il calcio, altra droga, più calcio vedono e meglio è, così pensano meno ai tanti veri problemi di questo nostro maltrattato paese.
Come non bastasse sono nati i reality con i quali si è toccato il fondo come operazione culturale, ma come ascolto e resa pubblicitaria pare vadano benissimo, povera Italia. Un’altra trasmissione mi pare scandalosa, “Miss Italia”. Anni fa occupava un paio d’ore per due serate, ora viene diluita come il vino dell’oste disonesto, per eleggere questa ragazza ci mettono una settimana e anche di più tra anteprime, selezioni, ripescaggi, pubblicità, ecc. Per il Festival di San Remo va anche peggio.
Per il cinema potrebbe andare un po’ meglio, ci sono diversi registi che hanno dato ottime prove, Amelio, Soldini, Virzì, D’Alatri, Salvatores, Piccioni, Muccino, le Comencini, Colopresti, Pieraccioni, il fuoriclasse Benigni e tanti altri, ma ora con le nuove disposizioni del ministero, quale produttore vorrà rischiare di produrre completamente in proprio?
La televisione
casa cecilia
barbara de rossi
un cane sciolto
Start Slideshow