Sono stato a New York anche in altre occasioni a girare scene con vari registi.
Ho visto le torri gemelle nascere e crescere la prima, poi la seconda e poi ambedue finite. Era una tappa fissa andarle a vedere da vicino, questi due mostri dell’architettura moderna di cui vidi anche la tragica fine. Ho visto anche altre cose curiose, grattacieli un po’ vecchiotti sparire e ricomparire più alti e più belli di prima, ho visto nella favolosa Manhattan quartieri fatiscenti dove bambini neri o portoricani giocano nella polvere in mezzo a carcasse di macchine arrugginite, quartieri dove la polizia non mette mai piede, dove gli unici mezzi tollerati sono quelli che raccolgono le immondizie. Il regista del film che stavamo girando fu condotto in un buio sotterraneo dal boss del quartiere per fargli leggere alcune scene, dopodichè avemmo il permesso di girare in alcune strade. Per non parlare di Harlem che un giorno stavamo per attraversare, ma Henry Silva chiese all’autista di fare un grande giro per evitarlo dicendo “Sono nato qui, ma vorrei non doverci passare mai più”.
Un altro attore americano di origine italiana, Al Lettieri, aveva avuto un ruolo importante nel film di Sergio Leone “C’era una volta l’America”. Pupi Avati lo volle per “Bordella” ma non erano mai andati d’accordo. Lettieri era sempre scontroso e contestava Avati. Alla fine delle riprese di Roma saremmo dovuti partire per N.Y. per girare alcune scene di ambientazione con Lettieri. Ma Lettieri pose il veto, se fosse venuto Avati non avrebbe girato un metro. “Noi andare New York, tu sta qua” disse. Si decise che saremmo partiti noi tecnici con il montatore. Fu difficile farlo venire a girare, accusava male allo stomaco, ma riuscimmo a girare le poche inquadrature necessarie.
In attesa di tornare a Roma, Lettieri un pomeriggio mi trascinò al bar di un albergo, lo stesso albergo in cui ero stato la prima volta e volle che bevessi con lui. Cercai di resistere ma riuscì a farmi ubriacare per bene. Il giorno seguente invitò me e il mio operatore a fare una passeggiata nella Quinta strada e ci chiese che regalo volevamo. Il mio operatore non se lo fece dire due volte e chiese un golf. Ci portò nel più caro negozio della zona e gli regalò uno stupendo cachemire. Io dissi che non mi serviva nulla, allora si tolse dal dito un enorme anello d’oro e insistette che me lo mettessi. Girava con un rotolone di dollari in tasca tenuto da un elastico come fanno molti americani. La sera stessa ci portò in cima a un grattacielo in un appartamento molto elegante dove c’erano delle belle ragazze, dicendo “Accomodatevi”. Queste ragazze erano vestite normalmente come delle segretarie, piuttosto eleganti, gonne, golfini, giacche, poco trucco. Eravamo un po’ titubanti ma le ragazze ci presero carinamente sottobraccio e ci portarono nelle loro stanze. Quella che aveva scelto me, mi fece entrare in una grande stanza dove c’era un letto enorme, da un lato c’era già Lettieri con due ragazze, mi fece accomodare, mi fece spogliare, fece un breve spogliarello, io ero piuttosto imbarazzato ma lei mi mise a mio agio. Nel letto accanto le due ragazze si davano da fare con Lettieri ma lui sembrava che soffrisse di quel male allo stomaco e non reagiva. Mi fece tanta pena.
La mattina dopo avevamo l’aereo per il ritorno ma Lettieri non si presentò all’ appuntamento nonostante le telefonate di sollecito. Tentai di convincere il direttore di produzione ad aspettare ancora ma avevamo i posti prenotati perciò partimmo senza di lui. A Roma la produzione ci disse che era stato ricoverato in una clinica. Lettieri aveva lasciata la giovane moglie a Roma, incinta e molto vicina al parto, aveva intenzione di far nascere il bambino in Italia. Fu molto difficile alla produzione trovare una linea aerea che accettasse come passeggera una donna prossima al parto, infine la trovarono e sapemmo che era arrivata in tempo per vedere il marito ancora in vita, ma dopo pochi giorni morì per un tumore allo stomaco e non potè vedere il neonato. Dopo aver tenuto per anni l’anello nel cassetto lo vendetti e mandai il ricavato per le vittime dello tsunami.
Sono stato tante altre volte negli Stati Uniti a trovare mio figlio che studiava a San Diego, poi in Minnesota, poi nello Iowa dove ha insegnato e ora nell’Indiana dove fa il ricercatore. Posso dire che ho conosciuto tanti posti degli Stati Uniti ma tutti completamente diversi l’uno dall’altro.