Miriam
C’è stata una meteora che ha attraversata la mia vita in un certo periodo, Miriam.
Avevamo girato parte di un film, “Terra straniera” di Corbucci nella miniera di Morgnano, vicino a Terni (nella quale dopo poco ci fu un disastroso incendio). La lavorazione si era interrotta per mancanza di fondi e avevamo iniziato un altro film. Quando ci arrivò la notizia che il film riprendeva con gli interni da girare a Tirrenia, Di Venanzo mandò me, come aveva sempre fatto. Andai a Tirrenia e ripresi in mano la situazione. Uno degli ambienti in cui avremmo girato era una specie di “saloon” con tante comparse in costume inizio secolo. Tra queste spiccava Miriam. Era una ragazza che viveva con i genitori non lontano dagli studi cinematografici Pisorno, a metà strada tra Pisa e Livorno. Era una bellissima sedicenne, bruna, occhi neri, uno smagliante sorriso. Il padre, molto anziano, che per integrare una modesta pensione faceva il generico nei pochi film che si giravano in quegli stabilimenti, ci portava anche questa figlia che a lungo andare cominciò anche lei a fare la generica. Mi colpì questo perenne sorriso, la vivacità e la voglia di vivere che trapelavano da ogni suo gesto. Simpatizzammo e prima di tornare a Roma, a film finito, una sera l’ accompagnai a casa e ci scambiammo qualche bacio e i numeri di telefono. Tutto qui. Un paio d’anni dopo mi telefonò, era a Roma e volle venire a trovarmi. Mi disse che non ce la faceva più a vivere in un paesino, agli studi di Tirrenia ci venivano a girare sempre di meno, voleva vivere in una grande città. Era esplosa fisicamente, era una bellissima donna. Mi chiese di ospitarla per un breve periodo, a me fece piacere. Da allora andava e veniva e capii che lavorava nei night a Roma e altrove. Una sera venne e mi disse che aveva una storia con un batterista, sarebbe partita l’indomani per Bari con la band. Tornò dopo una settimana, la storia col batterista era finita e per qualche mese non si fece più vedere. Mi telefonò un giorno e mi chiese di accompagnarla alla stazione, tornava da sua madre, il padre era morto da poco. Passai a prenderla e mi resi conto che era incinta e prossima al parto. Partì e dopo alcuni giorni mi scrisse una bella letterina:
Ti comunico che è nata tua figlia MAGDALENA, è bellissima e sana.
Non ti preoccupare di nulla, all’anagrafe risulta figlia di mia madre. Ciao.
Rimasi sconcertato, la neonata poteva essere figlia del batterista o di chiunque altro, ma non era escluso che fosse figlia mia. Non ne seppi più nulla ma pensai per anni che avrei visto volentieri questa bambina se non altro per vedere a chi potesse assomigliare. Nel frattempo mi ero sposato, avevamo nostra figlia Susanna. Qualche anno dopo, andando a Genova, decisi di fare una deviazione e passare da Marina di Pisa. Trovai la casa, mi aprì la madre, “Sono un vecchio amico di Miriam,” dissi “passavo da queste parti”. Ho avuto l’impressione che abbia pensato subito chi potevo essere, disse: “Miriam non c’è, la bimba sta tornando da scuola, se la vuole aspettare... si accomodi.” Aspettai e di lì a poco arrivò questa ragazzina vispa e allegra come la madre. Le chiesi del più e del meno e dopo un po’ me ne andai sapendone meno di prima, assomigliava tanto a sua madre.
Passò, qualche anno, un giorno mi trovavo a girare una pubblicità al mercato di Ostia e mi sentii chiamare: “O Erico, o che tu fai qui?” Era una signora sui novanta chili, bella rubiconda con tre maschietti per mano “Non mi riconosci? Sono tanto cambiata? Sono Miriam e questi sono i miei bimbi, ce n’ho un altro a casa.” Era gioiosa come al solito, “sto bene, mio marito lavora in aeroporto, è tanto bravo, gli ho fatto questi maschietti, è tanto contento, e tu come stai, ti vedo bene... devo finì di far la spesa, ciao, ciao”. Neanche una parola di Magdalena. E se ne andò con un sorriso, lasciandomi un po’ interdetto.