La nuova stanza
Ero andato a stare in via Savoia presso una coppia di anziani, avevo una bella cameretta con la finestra che dava sul cortile pieno d’alberi. Avevo doccia e bagno, la signora mi disse “E’ meglio se fa la doccia, lo scaldabagno non va tanto bene, per il bagno penso che l’acqua non si scaldi abbastanza”. Ma una domenica mattina sentii il bisogno di immergermi nella vasca, la sera precedente avevamo lavorato fino a tardi per finire un film (a quei tempi si lavorava anche il sabato). Feci scorrere l’acqua, mi immersi, poi mi alzai per insaponarmi e notai, guardandomi allo specchio, che mi veniva da ridere anche se non c’era niente di divertente. Mi rimisi giù e mi addormentai. Aprii gli occhi alcune ore dopo, con la testa che mi girava. Mi resi conto che ero disteso sopra un letto con le braccia legate e quando l’immagine rotante cominciò a fermarsi vidi che ai piedi del letto c’era la statua della madonna con tante candele accese intorno. “Sono morto” pensai, senza ricordare nulla. Ero come paralizzato, non mi potevo muovere. A un certo punto entrò nel mio campo visivo una grande cosa bianca con sotto una faccia sorridente.
“Bravo, si è svegliato” disse la suora col cappellone, “l’abbiamo salvata per miracolo, l’hanno portata qui che non ci speravamo”. “Dove siamo” chiesi timidamente “Siamo al Policlinico, stia tranquillo, le hanno già fatte le cure contro l’avvelenamento da gas”. Cominciai a ricordare il bagno, la vasca e lo specchio. Seppi qualche giorno dopo che il padrone di casa da solo, perché la moglie stava a letto con la sciatica, passando davanti alla porta del bagno aveva bussato senza avere risposta. Sulle scale gli era venuto un dubbio, era tornato in casa e non ottenendo ancora risposta aveva forzato il chiavistello e mi aveva trovato cianotico. Aperta la finestra era corso sul pianerottolo, aveva suonato alla pensione di fronte, delle ragazze mi avevano tirato fuori dall’acqua mentre lui chiamava l’ambulanza che mi portò in ospedale. Quando cominciai a sentirmi meglio, mi slegarono le braccia spiegandomi che gli intossicati dal gas hanno la tendenza ad affacciarsi alla finestra per respirare meglio col rischio di cadere di sotto. Dopo un po’ venne a trovarmi il direttore di produzione del film che avevamo finito. Poi arrivarono gli amici genovesi ed altre persone. Fui tenuto in cura per qualche giorno, le infermiere erano molto gentili, mi fecero delle iniezioni disintossicanti poi mi fecero firmare e potei uscire.
Rientrando notai che la porta della pensione era socchiusa, dallo spiraglio sentii delle risatine, le ragazze che mi avevano tirato fuori dalla vasca uscirono sul pianerottolo e mi diedero il bentornato, sempre ridacchiando, forse ero il primo uomo che avevano visto completamente nudo. Il padrone di casa mi raccontò come era riuscito a salvarmi. “Ero tanto spaventato” mi disse “non era mai successo” e seppi che era intervenuta anche la polizia che, pensando a un suicidio, aveva portato via i miei documenti. Perciò andai al commissariato di zona per farmeli restituire, ma quando dissi all’agente di servizio come mi chiamavo, consultò un foglio e disse: “Menczer… Menczer… defunto risulta” al che feci gli scongiuri di rito e riuscii a convincerlo con la foto sulla patente che ero ancora vivo, e riottenni il portafoglio.