Un colpo di fortuna
Noi “genovesi” eravamo andati a stare tutti insieme in un grande appartamento a Porta Pia. Forse più che appartamento era un accampamento, il solito Giuliani aveva rimediato delle brande, le valige le tenevamo per terra. Andavamo a mangiare da “Pasquale” una bettola in piazza Alessandria, cucina casareccia, vino Est Est, non ci potevamo permettere di più. Il caffè al bar Nomentano. Erano imminenti le elezioni. La notte andavamo col secchio di colla e pennelli ad attaccare i manifesti del PCI, avevamo tappezzato tutta Porta Pia e vie adiacenti. Avendo perduto tutto a Fiume, casa, amici e parenti a causa dei comunisti di Tito, avrei dovuto odiare il comunismo che aveva stravolto la mia vita. Invece, vivendo sempre a contatto con Giuliani, Lizzani ed altri compagni, finii per condividere le loro idee e votai comunista. Ma non era solo per condividere le loro idee; senza aver mai letto il “Manifesto” di Marx mi sono sempre sentito dalla parte dei più deboli, degli sfruttati, mal sopportando gli sfruttatori e gli arricchiti disonesti. Ero e sono tuttora un moderato, vorrei che i ricchi fossero onesti, cioè meno ricchi e i poveri meno poveri. Purtroppo con i governi di centro e di destra è successo sempre il contrario. Ovviamente fu anche per reazione al fascismo e alla DC dei cardinali e dei preti che non avevo mai amato né stimato. Da allora ho votato sempre per la sinistra. In seguito mi resi conto che la cultura e tutto il cinema erano di sinistra.
Come terzo film avemmo un colpo di fortuna, era un film a episodi e fin qui nulla di strano, ma i registi erano i nomi più prestigiosi di quegli anni: Antonioni, Risi, Fellini, Lattuada, Lizzani e l’esordiente Maselli. Il film si chiamava “Amore in città” Ogni regista aveva la sua storia da raccontare anche se l’animatore del progetto era il grande Cesare Zavattini. Fare questo film, per Di Venanzo, voleva dire assicurarsi per il futuro altri film di qualità con ottimi registi che avevano tutti grandi prospettive.
Infatti negli anni seguenti lavorammo in film che appartengono alla storia del cinema. Di alcuni voglio parlare. Anzitutto di “Cronache di poveri amanti” tratto dal romanzo di Vasco Pratolini. Prodotto dall’amico Giuliani, finanziato dalla Lega delle Cooperative, e per la regia di Lizzani. Le storie del libro si svolgevano a Firenze in una via che dopo l’uscita del libro era diventata famosa, via del Corno. Si trattava di decidere se conveniva girare a Firenze oppure ricostruirla in teatro di posa. Girare a Firenze dal vero voleva dire immobilizzare tanta gente perché si trovava in un quartiere molto popolare e saremmo stati costretti a perdere molto tempo per le esigenze quotidiane degli abitanti e dei negozianti. Girare in teatro voleva dire essere liberi di girare di giorno e di notte senza alcun limite. Prevalse la seconda soluzione, il costo della costruzione sarebbe stato minore dello spostamento della troupe fuori Roma. Dietro ai soliti teatri di posa c’era un grande spazio, lo scenografo fu bravissimo, costruì una via del Corno lunga quanto era necessario, i palazzi erano a tre piani, sulla strada c‘era la famosa mascalcìa, il negozio di alimentari, il negozietto dove Staderini, il “ciaba” aggiustava le scarpe, il locale dove il protagonista teneva il carretto, tutti i particolari descritti nel libro. Gli attori allora più famosi accettarono di lavorare nel film. Il protagonista era Mastroianni, “Maciste” il maniscalco lo fece Adolfo Consolini, olimpionico del martello, un omone enorme ma dolcissimo, Gesuina, la servetta della “signora” era Annamaria Ferrero, la moglie del droghiere la fece Antonella Lualdi, allora la numero uno tra le attrici. Il droghiere era Montaldo, uno dei ragazzi genovesi. Era un film corale, gli attori si parlavano dalle finestre o per la strada, battute anche salaci come sanno fare i fiorentini di quartiere. Ci fu una scena in cui Mastroianni doveva bere qualche bicchiere di vino con gli amici, e l’attrezzista gli mise nella bottiglia del vino senza annacquarlo come si fa di solito. Poco dopo andai nel bagno e trovai il povero Marcello che stava vomitando l’anima. Non se la prese con l’attrezzista, era veramente un grande! Mi disse: “Sono scemo io, avrei dovuto accorgermene!” Dentro l’ambiente di Carlino, il fascista, Lizzani mi fece fare una comparsata vestito in camicia nera col fez, stetti a testa bassa per tutta la scena.
Un giorno venne a trovarci Vasco Pratolini, girò per via del Corno osservando i dettagli della costruzione, entrò negli ambienti, alla fine sembrava molto soddisfatto, “L’è più bella di quella vera, via di Corno!” disse, eravamo felici che gli piacesse, detto da lui era un grosso complimento. Tirò fuori dalla borsa una copia del libro, si mise a scrivere una dedica e me lo diede. L’aprii, c’era scritto: A Erico Menczer che per primo ha visto le “Cronache”. Mi fece molto piacere e lo tengo come una reliquia.
Per gli esterni andammo a Firenze dove girammo tutte le scene notturne con la moto col sidecar con cui gli attori tentavano di sfuggire all’inseguimento delle camicie nere. Il film ebbe tanto successo e si è visto spesso anche alla televisione. Firenze mi piacque tantissimo, nei momenti liberi scappavo per vedere tutto quello che mi era possibile.
In “Amore in città” l’episodio di Antonioni era una serie di interviste a dei mancati suicidi in cui i protagonisti raccontavano le ragioni per le quali avevano tentato di porre fine alla loro vita. Erano per lo più storie d’amore infranto, dei “lui” o delle “lei” che erano stati abbandonati dai rispettivi compagni. Una di queste storie mi sembrò grottesca, forse sarò irrispettoso davanti al dolore, ma questa “lei” era una ragazza eterea, bionda, delicata, lui, un energumeno che nel cinema era molto conosciuto, faceva il capocomparsa, era un tipo “greve” come dicono a Roma, aveva un vocione terribile, ma si sa, “l’amore è cieco”. Antonioni mi affascinò per il suo modo di girare, scarno, essenziale. Avevo visto anni prima un suo documentario del ’48, “NU”, cortometraggio sulla Nettezza Urbana. Benché si trattasse solo della raccolta della spazzatura nelle vie e periferie di Roma, era riuscito a farne qualcosa di poetico. Con l’atmosfera dell’alba, le strade vuote, le facce degli spazzini, aveva nobilitato quell’ umile lavoro.
L’episodio di Lizzani erano interviste ad alcune prostitute nelle strade centrali di Roma e nelle loro abitazioni. Girato tutto di notte in zona via Veneto, fu molto faticoso. Feci amicizia con Gillo Pontecorvo che, in qualità di aiuto regista, aveva fatto il lavoro preliminare di ricerca dei personaggi più interessanti.
L’episodio di Lattuada era sul vizio degli italiani di voltarsi dopo aver incrociato una donna per vederle il fondoschiena. Diverse giovani attrici pur di lavorare con Lattuada, accettarono di esibire i loro sederi. Se ricordo bene c’erano anche Valeria Moriconi e Giovanna Ralli diventate poi famose attrici di teatro.
Fellini girò un episodio per entrare nell’ingranaggio delle agenzie matrimoniali, facendo fare delle interviste a un giornalista interpretato da un giovane attore emergente, Antonio Cifariello che, un paio d’ anni dopo, facendo veramente il giornalista in Africa, morì cadendo con un piccolo aereo.
Risi descrisse un pomeriggio domenicale in un “dancing” di periferia con la caratterizzazione di alcuni personaggi ed il loro comportamento. Uno spasso.
Maselli infine raccontò una storia vera, il dramma di una ventenne costretta ad abbandonare il proprio bambino davanti a un convento di suore. Il film non ebbe molto successo di pubblico ma viene comunque considerato un classico degli anni 50. Durante le riprese di questo film Di Venanzo, ormai certo delle mie capacità mi mise alla macchina da presa e diventai operatore. Oltre alla soddisfazione professionale il compenso settimanale aumentò notevolmente.
Dopodichè ci chiamò Michelangelo Antonioni, reduce dal successo di “Cronaca di un amore”, per realizzare “Le Amiche” film imperniato sull’ amicizia di quattro belle donne interpretate da quattro famose attrici. Girammo parte a Cinecittà (era la prima volta che ci mettevo piede), parte a Sabaudia e parte a Torino. Lavorare con Antonioni era “magico”, era un uomo sempre molto elegante, parlava sottovoce, diceva il minimo che serviva a farci capire come voleva girare la scena, eravamo tutti attenti a non perdere una parola. Quando mi dava la posizione della macchina o del carrello era certamente quella giusta, dava suggerimenti a Di Venanzo sul tipo di luce che voleva, e date le sue istruzioni così chiare, in proiezione il risultato era come lui aveva previsto. Le protagoniste erano Eleonora Rossi Drago, Valentina Cortese, un’attrice francese e una svizzera. Inoltre tre attori, Manni, Ferzetti e Fabrizi. Ci fu però un grosso problema: al produttore a metà film mancarono i finanziamenti e ci fermammo per uno o due mesi finché intervenne un altro produttore che dopo lunghe trattative rilevò il tutto e potemmo finire il film.
Di Venanzo era ormai diventato il numero uno dei direttori della fotografia. Negli anni seguenti vinse per due anni il Nastro d’Argento. Io ero ben felice di lavorare con lui, in nove anni facemmo una trentina di film, tutti importanti e impegnativi.