Sono entrato per la prima volta in un complesso di teatri di posa. Non era Cinecittà, era uno stabilimento privato, la De Paolis, del quale si servivano tanti produttori perché più economico, più centrale. Comunque seppi che in quei teatri erano stati girati tantissimi film anche di registi famosi e tanti film di Totò. Ero emozionato e curiosissimo, volevo sapere tutto, le apparecchiature, le costruzioni, il personale. In un teatro avevano costruito per noi l’interno di un villino in cui avremmo girato le scene mancanti. Andai a curiosare anche nel teatro accanto in cui stavano girando un film estivo su una spiaggia ricostruita, c’era un nugolo di comparse, belle ragazze in costume da bagno, era un bel vedere. Una potentissima lampada illuminava la spiaggia creando l’effetto sole. Chiesi a una ragazza che film fosse, mi rispose “Culi a mollo”, capii che mi stava prendendo in giro. Mi disse di essere una delle figlie di “Federico”, personaggio famoso a Roma, proprietario di un ristorante di piazza Quadrata dove mangiavano i calciatori della Lazio. La cosa non mi sconvolse. Avevo visto una volta la Lazio giocare con la Sampdoria quando mi mandavano a riprendere le partite di calcio. Ero ancora tifoso della “Fiumana” che nel ’40 era passata dalla serie C alla B, poi il campionato era stato sospeso per la guerra. Ora si chiama F.C.Rijeka.
A quel tempo Roma mi parve una città straordinaria. Il traffico che oggi la rende quasi invivibile, allora era talmente ridotto che tutte le strade erano percorribili in tutti i sensi, non esistevano sensi unici, né rotatorie, né divieti di nessun genere.
L’aria era respirabile, era bello fare una passeggiata da piazza Esedra a piazza Venezia o a piazza del Popolo. Un giorno feci delle foto alla fontana di Trevi, non c’erano più di dieci persone a prendere il fresco intorno alla fontana. Non c’erano ancora i turisti che ora, a migliaia rendono la fontana inavvicinabile. Scattai alcune foto di queste persone tranquille nel silenzio interrotto solo dallo scrosciare dell’acqua. Un gruppetto di famiglia nonna, mamma e nipote, la ragazzina ha in mano un bigliettino, mamma e nonna cercano di leggerlo, chissà chi ha mandato alla bimba questa missiva. Una coppia di media età, il marito legge il giornale e fuma, la moglie evidentemente annoiata guarda in cielo. Sul bordo della piazza un bar, a un tavolino siedono due signore inglesi a prendere il tè, un rumore insolito le fa girare di scatto… Due marinai inglesi stanno fotografando la fontana, un solitario venditore offre a una coppia di turisti una guida di Roma, due anziani discutono animatamente forse di calcio o forse della loro pensione. Queste immagini riesumate dopo 50 anni le ho esposte ultimamente in una mostra assieme a tante altre di quel periodo.
Pittori, gente di cinema, scrittori, artisti in genere si incontravano da Rosati in piazza del Popolo. La gente della rivista e avanspettacolo si ritrovava in galleria Colonna, tecnici e maestranze del cinema si incontravano in piazza S. Giovanni in un bar che era dove adesso c’è Coin. A Porta Pia passavano i carri della birra Peroni trainati dai famosi enormi cavalli. Intorno ai mercati rionali c’era movimento di carri trainati da un cavallo se non addirittura con i carretti a mano. Intorno agli anni sessanta tutto cominciò a cambiare, aumentavano le macchine, si litigava per il parcheggio e gli ingorghi erano continui. Le orde democristiane aggredirono le periferie facendo nascere gli orrendi quartieri dormitorio dalla Magliana a Centocelle, dal Tufello al Laurentino. A Parigi, Londra, Vienna, e nelle altre capitali europee le reti metropolitane hanno risolto quasi del tutto i problemi del traffico. Invece a Roma furti organizzati fecero sì che per avere un tratto di metropolitana ci vollero 25 anni. Di questo passo Roma avrà una rete metropolitana completa ed efficiente, forse nel 2100.
Iniziarono le riprese in teatro. Secondo il copione, nell’ambiente costruito abitava una coppia. Il marito era un panciuto e barbuto signore anziano grande chiacchierone, la moglie era una signora timida che non parlava mai. I partigiani irrompevano nel villino per chiedere aiuto e cibo, il capo partigiano e il commissario discutevano a lungo col signore, non ricordo più a quale proposito. Era un po’ diverso che girare in esterno, gli attori tornavano nel loro camerino o al trucco tra una scena e l’altra e bisognava andarli a chiamare quando le luci erano pronte per la scena successiva. Mi sembrava più organizzato ma meno interessante. Non dovevo più fare le corse su e giù per prati e boschi, avevo una camera oscura per gestire la pellicola e durante le prove ci scappava pure il tempo per un caffè, cosa impensabile in montagna. Alla pausa si andava al ristorante, niente più cartocci di panini. Andare al ristorante era interessante, ci mangiavano registi, attori, generici, tecnici, molti si conoscevano, si salutavano, si scambiavano battute. Gli attori avevano i vestiti di scena, erano truccati, e attenti a non sporcare i vestiti e rovinarsi il trucco. I primi tempi mi divertivo molto, poi ci feci l’abitudine ma era sempre un ambiente interessante, da tavolo a tavolo si potevano fare nuove conoscenze. Ebbi occasione di visitare anche la falegnameria dove esperti artigiani costruivano porte e finestre e mobili di ogni stile. Come aspetto erano perfetti, ma fatti di legno scadente, bastava che durassero il tempo del film. Erano anche esperti a fare i mobili di balsa, un legno tenero che si rompeva al minimo urto, servivano agli acrobati nelle scene di lotta e di violenza. Tantissima roba andava bruciata dopo le riprese. C’erano pure fabbri, pittori e decoratori abili a invecchiare gli ambienti per i film di epoche passate.
Le riprese in teatro durarono alcuni giorni, io facevo il conto alla rovescia finché arrivò il momento dei saluti, per me abbastanza triste. Il domani era incerto, non sapevo se avrebbero offerto a Di Venanzo un altro film e non sapevo se mi ci avrebbe portato. Un giorno mi invitò a casa sua a pranzo, conobbi la sua famiglia, la moglie e i suoi due bambini, l’ultimo era nato mentre eravamo a Genova. Mi parve che avesse intenzione di portarmi ancora con se. Nei giorni successivi andammo a vedere in proiezione le ultime scene girate, era tutto perfetto.
Iniziò il montaggio del film, andai spesso in moviola per seguire il montatore e le sue assistenti che mettevano in sequenza le scene girate, toglievano gli scarti per poi scegliere le scene utili e iniziare il montaggio definitivo. A quei tempi si usavano ancora forbici per tagliare e acetone per incollare la pellicola. La sala di montaggio era annessa allo stabilimento di doppiaggio, la Fonoroma, nel cui bar stazionavano spesso doppiatori e doppiatrici. Era curioso sentire delle persone a me sconosciute che ordinavano un caffè con la voce di Paul Newman o un aperitivo con la voce di Greer Garson. In seguito conobbi Peppino Rinaldi, il più straordinario doppiatore di quei tempi che aveva un tale repertorio di voci che poteva doppiare Peter Sellers e Gary Cooper o altri attori semplicemente modificando la propria voce. Ero incantato da tanta bravura.
Ogni tanto telefonavo a Di Venanzo, finalmente un giorno mi disse che stava prendendo accordi per un nuovo film, “Il Capitano di Venezia” che avremmo girato a Treviso di lì a pochi giorni. Il regista era Gianni Puccini, il protagonista era un giovane esordiente, l’attrice era la meravigliosa Mariella Lotti che avevo ammirata da ragazzo nei famosi film dei “telefoni bianchi.” Questo era un film di “cappa e spada”, ambientato nel 700, il set era un vecchio castello di Treviso semi-abbandonato che fu sommariamente arredato. Il mio compenso sarebbe stata a tariffa sindacale, il doppio del primo film. Alla seconda settimana mi comprai il tanto desiderato scooter, la famosa Lambretta appena uscita sul mercato. Non avevo mai guidato uno scooter, girai tutta la notte per Treviso per fare pratica, con un mezzo tutto mio mi sentivo padrone del mondo. Non serviva targa né assicurazione, erano tempi felici. Tranne il gruppo di Di Venanzo, operatori, elettricisti e macchinisti che erano sempre gli stessi, conobbi tanti nuovi tecnici degli altri reparti, la produzione, scenografi, arredatori, truccatori, fonici, costumisti, sarte, armieri, aiuti e aiuti degli aiuti. Per il film in costume ci vogliono tante persone. Eravamo in piena estate, gli attori soffrivano il caldo sotto quei pesanti costumi, le luci aumentavano il calore, gli aiuti truccatori tra un ciak e l’altro dovevano continuamente asciugare il sudore e ritoccarli. Comunque finimmo le riprese a Treviso e tornammo a Roma per girare le ultime scene, le battaglie con la fanteria e la cavalleria. Buttai la mia valigia su uno dei camion della produzione e tornai a Roma in Lambretta, passando da Genova a salutare i miei che ne furono felici. Il viaggio fino a Roma fu molto gradevole. Non esisteva ancora l’Autostrada del Sole, guidai per le interminabili curve della riviera ligure e del Bracco, fino a La Spezia e poi l’Aurelia lungo il mare.
Nella zona di Manziana era stato preparato l’occorrente per queste ultime scene, c’erano carri, cavalli, cavalieri con elmi e corazze e ogno tipo di armi. Lance, spade, e mazze, rigorosamente di legno. Si girava con tre macchine da presa per avere del materiale ricco per il montaggio. Tutto andò bene ma in seguito evitai di partecipare a questi film con tanta violenza. Mi facevano pena i cavalli costretti a cadere con addosso tutto il pesante armamentario, e alle volte rimanevano feriti.