Ottava tappa La preghiera: nel Silenzio, verso la conoscenza ultima: la parola seme, il mantra

Abbiamo visto che il nostro organismo interiore è molto articolato. Conoscerlo ci serve a vivere meglio. E a pregare meglio. La preghiera, come “attività umana orientata a un allineamento con il divino” ha a che fare con il corpo fisico, con le energie eteriche, con i mondi dell’astrale e del mentale. Niente di questo è da disprezzare, tutto è da allineare.

Per allineare i veicoli e le loro energie abbiamo bisogno di salire più in alto. Come un antico condottiero che sta su una collina per ordinare il piano di battaglia. O un moderno pianificatore che osserva il terreno per mezzo del satellite. Salire più in alto è entrare nel Silenzio. Questo non significa “combattere” o “reprimere” i pensieri e le emozioni, ma impedire che chiacchierino a vanvera, fino a diventare essi stessi l’inconsapevole condottiero di un’armata brancaleone. Per questo abbiamo bisogno di prendere coscienza dell’osservatore in noi, poi del Sé individuale, infine di Dio stesso, “in cui viviamo, ci muoviamo e siamo”.

Gli ultimi tremila anni di esperienza di preghiera (dei precedenti non abbiamo tracce riconoscibili a livello mentale) indicano chiaramente una tecnica molto semplice e modesta per arrivare a questo Silenzio: la parola seme, il mantra, il Nome segreto.

Parola seme è una parola o una breve frase che aiuta la mente a stare concentrata su un argomento. E’ usata nella meditazione discorsiva. Può essere una Beatitudine (Beati i puri di cuore), una frase del Vangelo (Dammi da bere) o della liturgia (Vieni Spirito Creatore). Non ci si pone ancora l’obiettivo del silenzio, ma si cerca di creare un campo energetico che dia un orientamento stabile al cuore e alla mente.

Mantra è una parola, o una frase brevissima, che ha un significato spirituale di cui non è necessario essere consapevoli. La parola, assegnata da un maestro o trovata seguendo le sue indicazioni, viene ripetuta continuamente durante la meditazione. Dapprima con le labbra, poi solo con il cuore. A un certo punto questa parola ripetuta crea un campo energetico stabile che si sostiene anche senza la ripetizione.

John Main promotore della Associazione mondiale per la meditazione cristiana, propone di ripetere la parola aramaica Maranatà (Vieni Signore!), e spiega “Preferisco la forma aramaica perché per la maggior parte delle persone non richiama alla mente nulla e guida ad una meditazione totalmente libera da immagini o raffigurazioni” (Main, Dalla parola al silenzio, edizioni Appunti di Viaggio, p35)

 

La mente e il cuore restano sospesi in questa energia, e si comincia a percepire una sottile beatitudine. Il Mantra può essere il nome di Gesù, una “giaculatoria” (breve frase che si “getta” nel cuore di Dio). Cassiano, maestro di san Benedetto nel VI sec. suggeriva di scegliere un versetto della Bibbia e ripeterlo all’infinito. Il benedettino John Main propone Maranatà e migliaia di persone nel mondo seguono questa via.

“Bisogna iniziare assumendo tranquillamente una comoda posizione seduta, quindi avviare la ripetizione mentale silenziosa del mantra: Maranatha, Ma-ra-na-tha. La parola va ripetuta con calma, serenamente, e soprattutto con fede per tutto il tempo della meditazione, ovvero 20-30 minuti. Si inizia ripetendo il mantra mentalmente. Per l’uomo occidentale che non riesce a prescindere dal processo mentale, non esiste altro modo per iniziare. Ma mano a mano che si procede con semplice costanza, il mantra inizia a risuonare con chiarezza non più tanto nella mente quanto nel cuore. In altre parole, dà l’impressione di radicare sempre più nelle profondità del nostro essere”
(Main, Dalla parola al silenzio, edizioni Appunti di Viaggio, p.38).

Il gesuita Mariano Ballester suggerisce ai meditanti di cercare in se stessi il “Nome divino” da usare come mantra nella meditazione. Fra i possibili nomi divini suggerisce esplicitamente “Io sono”.

il Sepolcro vuoto, prima icona del mondo cristiano, è immagine perfetta del silenzio dei sensi che prelude alla contemplazione







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