Le proposte programmatiche di Rifondazione Comunista

sul settore creditizio ed assicurativo

 

Quale premessa alle proprie proposte programmatiche sul settore, il Partito della Rifondazione Comunista ribadisce un giudizio fortemente negativo sulle direttrici di fondo che hanno caratterizzato il processo di unificazione monetaria europea, incentrato su alcuni principi d'evidente impronta monetarista e liberista.

I paesi membri dell'Ume non solo hanno rinunciato - per il rispetto dei famosi "parametri" - ad una politica fiscale di sostegno della domanda e dell’occupazione, ma hanno anche abdicato la politica monetaria alla Banca Centrale Europea, che la esercita esclusivamente in funzione della stabilità del livello dei prezzi e del controllo del tasso di cambio, prescindendo quindi dai livelli di produzione e dell'occupazione, oltreché dalle dinamiche distributive. Si tratta di una "filosofia" di politica economica che implicitamente assume che il mercato sappia trovare da sé la strada per lo sviluppo e che nega un ruolo significativo all’intervento regolatore dello Stato; e che ha mostrato in questo decennio - come già più volte, e drammaticamente, nella storia - il proprio fallimento.

L’impostazione monetarista del processo di costruzione europea ha inoltre fortemente inciso sulle modalità attraverso le quali si è realizzata la radicale trasformazione del sistema finanziario italiano. Si è così affermato un modello di riorganizzazione del settore pesantemente condizionato da presupposti ideologici e, coperti da questi, dai concreti interessi del grande capitale nazionale ed europeo e della speculazione finanziaria. Un modello in base al quale la funzione sociale del credito e della gestione del risparmio sono state annacquate, se non esplicitamente annullate e che è stato incentrato su politiche di deregolamentazione e di privatizzazione, delle quali sono sempre più evidenti gli effetti distorsivi e le conseguenze sul terreno sociale ed economico.

In particolare, sul piano degli assetti proprietari, nell’arco di un decennio si è pressoché azzerata ogni forma di presenza pubblica nelle banche e nelle assicurazioni, sulla base della tesi che assegna al "mercato" ed ai "privati" il primato assoluto nel controllo e nella gestione di questo settore così nevralgico, negando, di fatto, un ruolo significativo a qualunque soggetto che sia (o possa essere) portatore di un interesse pubblico-collettivo e che non abbia, quindi, come propria esclusiva funzione-obiettivo la massimizzazione del profitto.

A questo riguardo, è da rilevare tanto l’ambiguità della funzione attualmente svolta dalle fondazioni di matrice bancaria quanto il "triste" ruolo che si sono ritagliate le autorità pubbliche italiane, attive solo come mero elemento di sostegno di questa o quella cordata imprenditoriale.

La disintegrazione della proprietà pubblica ha anche sottoposto il nostro sistema a gravi rischi di "colonizzazione". La fase di ristrutturazione che ne é seguita, anche per questa ragione, è venuta caratterizzandosi come una corsa al raggiungimento di una dimensione media ritenuta idonea a ridurre il rischio di contendibilità del controllo da parte di operatori stranieri. Il conseguente, intenso processo di concentrazione, esclusivamente affidato ai meccanismi di mercato, sta generando una serie di "distorsioni" che non vengono denunciate da alcuna forza politica e, spesso, non sono note all’opinione pubblica.

Da un lato, la forte crescita dimensionale dei principali gruppi bancari ha generato una riduzione del grado di concorrenza (risultato: questa si è intensificata solo sui segmenti "ricchi" della clientela, mentre per tutti gli altri c’è stato un generale appesantimento dei costi dei prodotti/servizi). Dall’altro, i processi di fusione-acquisizione hanno determinato una perdita di contatto delle banche con le realtà locali, che ha contribuito a disperdere un patrimonio professionale ed a rendere sempre più difficile, costoso e razionato l’accesso al credito, soprattutto per le imprese medio-piccole.

Mentre sul piano generale è, quanto meno, dubbio il fatto che le concentrazioni stiano generando una crescita della redditività, quello che è certo è che l’incremento dei profitti è legato, da un lato, al peggioramento delle condizioni imposte alle fasce popolari d'utenza (le recenti vicende dei mutui e delle tariffe RC auto rappresentano solo due delle manifestazioni più eclatanti, e non necessariamente le più gravi, dello strapotere che le istituzioni finanziarie hanno nei confronti della clientela di massa e di ciò che significa affidare alle sole "regole del mercato" aspetti quali l’accesso al credito o la gestione del risparmio - finanziario, previdenziale, assicurativo) e, dall’altro, ad una pressione sul salario e sulle condizioni di lavoro.

Dopo l’ultima disastrosa stagione di rinnovi contrattuali, infatti, si assiste ad una riduzione dei livelli occupazionali, all’intensificazione dei processi di esternalizzazione, ad un incremento delle forme di precarizzazione e dequalificazione del lavoro, ad un sensibile peggioramento delle condizioni normative e salariali (in particolare per i nuovi e futuri assunti). Il tutto in una situazione caratterizzata da gravi carenze sul terreno della democrazia sindacale: i lavoratori bancari ed assicurativi, infatti, sono gli unici a non aver ancora mai potuto eleggere le proprie RSU.

Anche sul piano territoriale il processo di ristrutturazione del capitale finanziario sta dispiegando effetti nefasti. La prova più evidente è la situazione sempre più grave in cui versa il sistema bancario del Mezzogiorno, divenuto pressoché interamente dipendente dai centri di potere del resto del paese. E’ infatti proprio qui - dove dovrebbe essere concentrato ogni sforzo per sostenere lo sviluppo - che maggiormente è cresciuto il costo del credito, ed il suo razionamento, per le imprese medio-piccole.

Da ultimo, il passaggio da un sistema bancario articolato e prevalentemente pubblico ad un sistema concentrato e deregolamentato ha determinato una crescita del "rischio sistemico". Si tratta di una possibilità consistente, in particolare se si tiene conto, da un lato, dei complicati intrecci nelle proprietà azionarie (tra banche, assicurazioni, imprese) e, dall’altro, della crescita del ruolo giocato dal mercato finanziario e, in esso, dalla speculazione.

Questo processo va arrestato e letteralmente invertito, in tutti i suoi aspetti.

Nell'ambito di un generale ripensamento del processo di integrazione europea, è fondamentale che le autorità di politica monetaria assumano, come prioritari, obiettivi di sviluppo e pieno impiego (anziché solo obiettivi antinflazionistici e di cambio) e che operino conseguentemente mediante la riduzione del costo del credito e l’allargamento della base monetaria. Ugualmente necessario è che si rafforzino gli ambiti di autonomia già riconosciuti alle banche centrali nazionali all’interno del sistema della BCE (attraverso normative nazionali e proposte a livello comunitario).

Sul piano nazionale andranno, comunque, ridefiniti, potenziati e rinnovati gli strumenti pubblici d'indirizzo, controllo e intervento sul sistema finanziario, creditizio ed assicurativo, allo scopo di garantire un più equo e democratico sviluppo del settore finanziario, di correggere le distorsioni presenti nei processi di selezione e destinazione del credito e di riaffermarne la fondamentale funzione sociale.

I processi di ristrutturazione andranno valutati sulla base degli interessi del paese, delle collettività locali, dei lavoratori e dell'utenza e sottratti ad una logica che risponde soltanto agli interessi del grande capitale, della speculazione finanziaria, di ristretti gruppi dirigenti. Vanno impediti quando producano un eccessivo grado di concentrazione (anche mediante efficaci normative antitrust) e/o pesanti ricadute occupazionali; comportino un ulteriore drenaggio di risorse dalle aree più deboli del paese (ed in primo luogo dal Mezzogiorno) verso quelle più forti; o determino un'internazionalizzazione del settore (peraltro necessaria) puramente passiva e subalterna.

Nell’ambito di coerenti politiche industriali (settoriali e/o territoriali) ed in collegamento con il rilancio di piani di investimento pubblico, devono essere sviluppate politiche di accesso agevolato al credito.

La creazione di nuove imprese e di nuova occupazione andrà promossa sia attraverso un adeguato rifinanziamento di tutti gli esistenti strumenti legislativi ed operativi che hanno nel tempo dimostrato una loro efficacia, sia attivandone di nuovi che tengano conto dell’evoluzione del mercato. In particolare devono essere sostenute società cooperative, imprese no-profit, imprenditoria giovanile e femminile, piccole imprese e lavoro autonomo. Altre misure di democratizzazione dell’accesso al credito devono essere introdotte creando le condizioni affinché i finanziamenti vengano concessi basando le valutazioni, non solo sulle garanzie reali, ma anche e soprattutto sulla validità dei progetti d’investimento finalizzati allo sviluppo economico e sociale del territorio.

Per tutelare le fasce popolari d'utenza e di clientela deve essere garantita la massima oggettività e trasparenza nel sistema dei controlli e, in particolare, vanno ampliate le normative atte a colmare le asimmetrie informative ed operative fra banche-assicurazioni e clienti.

Oltre a rafforzare ed a rendere rigorose e trasparenti le attività delle Autorità di vigilanza (in primo luogo, Banca d’Italia e Isvap) deve essere prevista l’istituzione di un Osservatorio pubblico sul costo e la qualità dei servizi finanziari, con poteri sanzionatori e di controllo. In esso devono trovare adeguata rappresentanza, oltre all’Abi, rappresentanze dei consumatori, dei lavoratori, delle PMI. Compiti dell’Osservatorio dovranno essere, tra gli altri: il monitoraggio dei costi dei vari prodotti/servizi finanziari; la definizione di standard minimi di efficienza e di costi massimi per l’utenza relativamente all’erogazione di servizi "sociali e pubblici"; la verifica della coerenza delle politiche salariali incentivanti poste in atto dalle imprese con il rispetto delle norme su correttezza e trasparenza della consulenza finanziaria. Nel campo d'indagine dell'Osservatorio devono essere ricomprese anche le attività del Bancoposta.

A questo riguardo, va sottolineata la necessità di definire una strategia complessiva per le attività finanziarie dell'operatore Poste (Bancoposta) che non risponda solo a logiche aziendali ma a finalità di interesse generale, garantendone ovviamente il mantenimento del controllo nell'area pubblica.

Particolare attenzione andrà dedicata anche alla regolamentazione della vendita online di prodotti finanziari, in modo tale che le opportunità di sviluppo non vadano ad esclusivo vantaggio degli operatori finanziari e non introducano ulteriori disparità di trattamento e distorsioni nel processo di allocazione del credito e di gestione del risparmio.

Per evitare, in futuro, il riproporsi della "vicenda mutui", la legge deve prevedere l’obbligo di rinegoziazione automatica delle condizioni (a costi ridotti e prefissati) qualora il tasso concordato alla firma del contratto venga a trovarsi al di sopra della soglia "usuraria".

Il processo di liberalizzazione delle tariffe (RC Auto) deve essere attentamente monitorato e finalizzato a calmierare i costi per l'utenza. Vanno pesantemente sanzionati i cartelli tra società ed impediti aumenti delle tariffe superiori al tasso d'inflazione programmato.

Per quanto attiene al risparmio previdenziale, il Prc ribadisce un giudizio estremamente negativo sulla "controriforma" del sistema pensionistico pubblico e sulla legge istitutiva dei Fondi Pensione. In ogni caso, in tale contesto, va per lo meno affermato il principio che, non necessariamente, le forme di risparmio previdenziale complementare "a capitalizzazione" debbano essere gestite da privati e secondo logiche strettamente di mercato. Proponiamo, pertanto, l'istituzione presso l'Inps (o altro ente pubblico) di un Fondo per la Previdenza Complementare, connotato da precisi indirizzi gestionali, al quale possano liberamente aderire lavoratori di ogni categoria.

Anche nel settore delle esattorie, come più volte denunciato dal Prc, la riforma che ha, di fatto, privatizzato la riscossione delle imposte sta producendo gravi danni sia agli utenti che all’erario, determinando nel contempo una pesante caduta del controllo pubblico sull’attività esattoriale. Le macroscopiche disfunzioni dell’attuale sistema (con commissioni di riscossione fino al 30%) costituiscono evidenti prove dei guasti derivanti dalla dissennata privatizzazione della raccolta di denaro pubblico. E’ necessario, quindi, rivedere profondamente la legge di riforma e richiedere un serio controllo sui Concessionari attraverso il recupero delle finalità che caratterizzano la legge istitutiva del Consorzio Nazionale Concessionari e contrastando il depauperamento del patrimonio tecnico-funzionale di quest'azienda.

Per tutelare i lavoratori del settore, è necessaria la revisione della legislazione che regola cessioni di attività/rami d'azienda, la quale è insufficiente ad impedire che i lavoratori coinvolti in tali processi subiscano uno strutturale peggioramento del loro trattamento normativo e salariale e/o la perdita dei diritti sindacali nel caso di trasferimento in aziende con meno di quindici dipendenti. Sono queste, naturalmente, esigenze di carattere generale ma che, in questi anni, acquisiscono una particolare rilevanza proprio con riferimento ai processi di ristrutturazione in atto nel settore creditizio ed assicurativo. Processi che vengono attivati da soggetti che, in genere, presentano bilanci floridissimi, che sono stati, nel recente passato, "assistiti" con denaro pubblico e che hanno l'esplicito scopo di diminuire il costo del lavoro. Per le società appartenenti a gruppi bancari ed assicurativi che abbiano significativamente diminuito i propri livelli occupazionali attraverso cessioni di attività/rami d'azienda e/o ricorrendo al "Fondo esuberi bancari" (o ad ammortizzatori sociali a carico dello Stato) va inibita, per tre anni, la possibilità di ricorrere a forme di assunzione attraverso "contratti atipici" beneficiando delle relative agevolazioni contributive pubbliche. Occorre inoltre ricomprendere i rischi per le lavoratrici ed i lavoratori, derivanti da fatti criminosi svoltisi all'interno dei luoghi di lavoro (rapina), tra le materie disciplinate dalla legge 626.

 

 

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