I 200 film di fantascienza più importanti del '900


Di ogni film vengono riportati i seguenti dati:
Anno Titolo (Titolo originale) Regista Giudizi critici
Commento personale

I "giudizi critici" sono così determinati:

1º casella: il mio voto personale
2º casella: il voto dell'Internet Movie DataBase
3º casella: il voto del catalogo di Maltin
4º casella: il voto del catalogo di Farinotti
5º casella: il voto del catalogo di Morandini
6º casella: il voto del catalogo di Mereghetti

Inoltre, uno sfondo color bronzo evidenzia i film con un punteggio complessivo superiore a 40/60; uno sfondo argentato quelli con un punteggio maggiore di 45/60; uno sfondo dorato quelli il cui punteggio supera i 50/60.


1926 Metropolis Lang 8 10 10 7 8

Primo film di fantascienza veramente importante, girato con mezzi enormi nonostante la Germania, nel 1926, non fosse certo un paese ricco, Metropolis ha reso celebre in tutto il mondo il regista Fritz Lang e le sue idee visionarie, ottimamente supportate da immani scenografie e da una trama fortemente utopistica: ciò non toglie che, visto oggi, il film appaia datato, e pur mantenendo una potenza narrativa che a volte sconfina nell'epica, rimanga imprigionato dalle sue stesse utopie.
La trama, infatti, risente fortemente del clima politico della Germania dell'epoca, molto vicina a diventare un paese socialista, ma nello stesso tempo percorsa dalle prime avvisaglie del nazismo: così la storia ruota intorno a una futura lotta di classe tra un padrone (Alfred Abel) che pensa unicamente a sfruttare i suoi operai, e questi ultimi, dapprima incoraggiati da una giovane ragazza (Brigitte Helm), e poi sobillati da un androide suo sosia, costruito incautamente da uno scienziato pazzo (Rudolph Klein-Rogge) per seminare discordia; per fortuna il finale non è drammatico, anzi, risulta quasi zuccheroso: l'androide viene distrutto, il figlio del malvagio padrone (Gustav Froelich) sposa la ragazza, il padre diventa improvvisamente buono, e tutti vivono felici e contenti.
Alla fine, si ha come l'impressione di avere assistito a una favola in chiave moderna, più che ad un film di fantascienza: e se è vero che Metropolis, come tutte le favole, conserva intatto il suo fascino anche a distanza di decenni, pure non sembra più in grado di trasmettere allo spettatore smaliziato dei nostri tempi quel senso del fantastico che lo aveva reso un capolavoro. Gli uomini non saranno cambiati, ma si sono fatti più furbi: e il cinema di fantascienza ha preso strade molto diverse da quelle immaginate da Fritz Lang.

1931 Frankenstein Whale 7 8 9 9 8 10

Cosa racconti la storia del barone Frankenstein, e del mostro da lui creato, lo sanno tutti, oggi: in realtà quella che si ripete in innumerevoli film è solo una versione semplificata, e più orrorifica, del famoso romanzo di Mary Shelley; ma è anche quella che tutti conoscono e a cui tutti fanno riferimento.
Così lo spettatore, in questo primo, celebre film sul mostro più famoso della storia del cinema, vede il barone Frankenstein (Colin Clive) intento a lavorare, con un assistente, su una macchina in grado di creare la vita sfruttando l'energia dei fulmini; e per evitare ogni dubbio sulle proprie capacità, il barone, invece di provare a resuscitare un cadavere, "assembla" un corpo ex-novo, e in una notte buia e tempestosa riesce nel suo progetto. Invano la fidanzata e un paio di amici, preoccupati per la sua assenza (si è infatti ritirato in montagna, in una casa isolata, per poter lavorare in pace), cercano di dissuaderlo: anzi, si fanno convincere, anche se malvolentieri, ad aiutarlo.
Ma subito la creatura a cui il barone ha dato vita (Boris Karloff), e il cui cervello, per un errore, è quello di un minorato mentale, e non quello di un genio, si rivela incapace di ragionare e finisce per fuggire dalla cantina in cui è rinchiuso: inseguito dagli abitanti del vicino villaggio uccide una bambina, pur senza rendersene conto, e alla fine, intrappolato in un vecchio mulino, viene bruciato dalla folla inferocita. Il barone se la cava con molte ammaccature, e troverà consolazione fra le braccia della fidanzata.
E' inutile negare che, visto a distanza di molti anni, Frankenstein fa paura fino a un certo punto: la storia è troppo nota per sorprendere, e per di più risulta evidente quanto, all'epoca, gli americani non avessero una grande esperienza di film dell'orrore (o di fantascienza), per di più sonori, a differenza degli europei: Frankenstein ha il ritmo di un film muto, i fondali di cartapesta, e una trama piena di ingenuità e di passaggi a vuoto (la figura dell'assistente, per esempio, è più ridicola che sinistra). Eppure, anche se la paura è ormai svanita, il fascino rimane, e la suggestione di certe scene, così come i primi piani di Boris Karloff, è ancora fortissima. Non basta per un vero capolavoro; ma basta per una leggenda.

1932 Il dottor Jekyll Mamoulian   8 9 8 10
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1933 King Kong Schoedsack 8 10 9 9 10

Dice una leggenda che King Kong sia stato l'ultimo film in cui il famoso regista Erich Von Stroheim abbia messo il suo genio, prima di venire definitivamente bandito da Hollywood: e se pensiamo che il film, in fondo, altro non è che una storia d'amore "maledetta" e senza speranza, ma non priva di sfumature romantiche, la leggenda potrebbe anche essere vera.
Storia d'amore fra chi? Fra un'attrice (Fay Wray), che si reca a girare un film in un'isola lontana, dove viene rapita dagli indigeni, e un gigantesco gorilla, che vive in una parte dell'isola abitata da ogni genere di animali strani e pericolosi (soprattutto mostri preistorici), e al quale gli indigeni hanno offerto la ragazza. Strapparla dalle mani del gorilla sarà molto problematico per i suoi compagni, che riescono anche a catturare il gigantesco animale e a portarlo a New York: idea non felicissima, perchè questi riuscirà a liberarsi, a rapire nuovamente la ragazza, e a portarla con sé sull'Empire State Building, dal quale precipiterà, alla fine, dopo essere stato mitragliato dagli aerei. Ma non prima di avere deposto la ragazza al sicuro.
Film al confine tra fantastico e fantascienza, King Kong è passato alla storia, più che per una trama ricca di ingenuità e degli effetti speciali francamente discutibili (si pensi soltanto alle dimensioni del gorilla, che variano di molto nel corso del film), proprio per la singolare passione, non priva di un certo erotismo, che il "mostro" nutre per la "bella": peccato che, a differenza di quanto spesso accade nelle favole di argomento analogo ("La bella e la bestia" su tutte), la "bella" non ne voglia sapere, e il film tenda continuamente a trasformarsi in una più comune storia di mostri, tutti cattivi, e tutti da distruggere.
Eppure, nonostante tutto, lo sviluppo della storia non è banale, e molte sequenze sono particolarmente suggestive (mitico il finale, in cui il gorilla, in cima al grattacielo più famoso del mondo, è circondato dagli aerei): il remake del 1976, girato con ben altri mezzi e ben altri (scarsi) risultati, ne sarà la prova migliore.

1933 L'uomo invisibile (The invisible man) Whale 8 9 9 7 8

Forse è questo il miglior film di fantascienza di prima della guerra: anche se la sua fama è un po' inferiore a quella di film celebrati e imitati come Metropolis o King Kong, la scelta di trarre un film dal celebre romanzo di Wells L'uomo invisibile, e senza alterarne troppo la trama, colpisce decisamente nel segno.
La quale trama è abbastanza nota: uno scienziato scopre la formula per diventare invisibile, la sperimenta con successo su sé stesso, ma col passare del tempo diventa sempre più malvagio e assetato di potere; poiché l'invisibilità è irreversibile, e in fin dei conti non è neanche così comoda (anche se per un po' gli permette di sfuggire alla polizia), la sua avventura non può che finire tragicamente.
Non c'è dubbio che, tra l'idea dell'invisibilità, senz'altro una delle più originali di tutta la fantascienza, e gli effetti speciali, veramente impressionanti per l'epoca, questo film sia tra quelli che più si fanno ricordare; l'ottima resa del romanzo di Wells, già di per sé molto agile e privo di fronzoli, ben si accorda con i ritmi concitati dei film di allora, che si traducevano spesso in trame esigue e non prive di incoerenze.
L'ultimo tocco, infine, viene dalla singolare interpretazione del grande attore francese Claude Rains che, pur sacrificato nella parte dell'uomo invisibile, riesce comunque a dare il meglio di sé: paradossalmente, sarà proprio questo il suo film più famoso!

1935 La moglie di Frankenstein (The bride of Frankenstein) Whale   10 7 9 9
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1936 Nel 2000 guerra o pace? (Things to come) C. Menzies   8 7 7 6
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1939 Dr. Cyclops Schoedsack 5 7 9 6 7

Cosa nasconde l'ambiguo dr. Torkel (Albert Dekker) , nel suo laboratorio in mezzo alla jungla peruviana? I colleghi che ha invitato a collaborare con lui, e che nutrono qualche dubbio, scoprono ben presto che lo scienziato ha trovato il modo di rimpicciolire gli esseri viventi: tuttavia, sopraffatto dall'ambizione, Torkel vorrebbe utilizzare la sua invenzione per scopi non proprio nobili, e i suoi colleghi, che si oppongono ai suoi progetti, vengono ridotti a dimensioni minuscole e lasciati in balia dei suoi animali; molti dei quali, ovviamente, non si dimostrano amichevoli. Ma alla fine gli scienziati, nonostante le loro dimensioni, riescono a organizzarsi e, sfruttando l'unico punto debole di quello che ai loro occhi è diventato un essere gigantesco (dr. Cyclops, appunto), vale a dire la sua pessima vista, hanno la meglio su di lui: Torkel, privato degli occhiali, precipita in un pozzo, e le sue vittime, col tempo, riacquistano le normali dimensioni: l'invenzione dello scienziato, per fortuna, aveva solo un effetto temporaneo.
Quello che stupisce, in questo film, è la bontà degli effetti speciali: le scene in cui si vedono i minuscoli scienziati, in presenza del loro gigantesco collega, sono davvero impressionanti. Ma naturalmente il film offre anche qualcos'altro: l'idea di base è molto originale, e la trama non manca di tensione, nonostante l'inverosimiglianza della storia, e una certa tendenza a non prendersi troppo sul serio (infatti un leggero umorismo, di tanto in tanto, stempera la drammaticità della situazione). Né il protagonista viene caratterizzato a dovere: nonostante sembri il solito scienziato pazzo, non è chiaro, infatti, se lo sia fin dall'inizio o se si lasci prendere la mano dai suoi esperimenti. Purtroppo queste incertezze non erano inconsuete, all'epoca, quando la fantascienza non era ancora un genere ben definito: se non altro, questo è un film che appassiona, e che si fa perdonare qualunque cosa!

1941 Il dottor Jekyll e mister Hyde Fleming   7 8 9 6 7
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1950 Uomini sulla Luna (Destination Moon) Pal   7 7 5  
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1951 La cosa da un altro mondo (The thing from another world) Nyby 8 7 9 7 7 9

Una base scientifica non lontana dal polo Nord; una scoperta improvvisa, che mette tutti in agitazione; una gigantesca ombra circolare sotto il ghiaccio: comincia così il primo grande film di fantascienza del dopoguerra, che grazie a una trama serratissima, a una suspence gestita magistralmente, ai dialoghi brillanti e alla regia "occulta" di Howard Hawks è passato con pieno merito alla storia del cinema, e non solo quello di fantascienza.
Come noto, il film continua narrando il ritrovamento di un alieno in un blocco di ghiaccio: questi, nonostante l'aspetto umanoide e una certa intelligenza, è più che altro un mostro assetato di sangue (letteralmente!), e solo dopo molti tentativi viene attirato in una trappola e incenerito dalla corrente elettrica.
Tuttavia, quanti appassionati avranno riconosciuto, in questa trama, il celebre romanzo breve di John Campbell "Who goes there?", considerato tra i capolavori del genere? Ben pochi: infatti, del romanzo rimangono solo le linee principali, mentre le caratteristiche dell'alieno, e l'evolversi della lotta contro di lui seguono strade differenti. Perché tutto questo? Indubbiamente, gli effetti speciali dell'epoca non consentivano di mostrare sul grande schermo creature strane e terrificanti come quella del libro; ma è anche probabile che all'inizio degli anni '50 l'idea di un mostro in grado di assumere l'aspetto degli esseri umani, di nascondersi fra di loro e di mostrarsi più furbo fosse ancora troppo sconvolgente per gli spettatori dell'epoca, abituato da sempre a film in cui buoni e cattivi (di solito indiani) fossero ben distinti: ed ecco allora un mostro più rassicurante, feroce e astuto solo a parole, ma in realtà poco diverso dagli umani che lo combattono, e di certo assai più stupido, vista la facilità con cui cade nella trappola mortale.
E così gli spettatori, ancora per qualche anno, potranno dormire sonni tranquilli: poi ci penseranno Il pianeta proibito e L'invasione degli ultracorpi a spazzare via gli ultimi tabù. Ma prima che qualcuno abbia il coraggio di tornare sul romanzo di Campbell, di anni ne passeranno più di trenta.

1951 Quando i mondi si scontrano (When worlds collide) Maté   8 5 4 6
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1951 Ultimatum alla Terra (The day the Earth stood still) Wise 8 10 9 7 8

Un disco volante atterra in un parco, a Washington: ne esce un alieno, peraltro del tutto simile a un essere umano, accompagnato da un gigantesco robot. Dopo un'accoglienza non proprio amichevole, l'alieno annuncia di voler tenere un discorso alla presenza di tutti i governanti del pianeta; ma poiché questi non vogliono mettersi d'accordo, ripiega su un congresso di scienziati e, dopo varie peripezie, può finalmente annunciare al mondo che i suoi simili "ci tengono d'occhio". Perciò guai ad esportare anche nello spazio la nostra aggressività: ce ne farebbero pentire. Ciò detto, riparte, non prima di avere salutato i pochi esseri umani che hanno cercato di aiutarlo.
Insomma, un'idea molto semplice, quasi elementare, e una trama lineare, senza fronzoli: anche gli effetti speciali non sono molti, né eccezionali. Eppure, Ultimatum alla Terra riesce, proprio grazie alla sua semplicità quasi cristallina, a ricavarsi un posto tra i capolavori della fantascienza. Sembrerebbe, a prima vista, che questo sia dovuto alla grande novità, per l'epoca, di un alieno buono, e simile a noi in tutto e per tutto; ma è pur vero che anche questo film, come i suoi contemporanei, è figlio della paranoia tipica degli anni '50: anche se l'alieno non è il solito mostro assetato di sangue, i suoi ammonimenti, per quanto bonari, sono comunque minacciosi; "loro" ci spiano, ci controllano, e, se volessero, per noi sarebbero guai seri.
In realtà il vero obiettivo del film è quello di mostrarci un alieno assolutamente uguale a noi (lo scavato Michael Rennie ne dà un'ottima interpretazione), ma nello stesso tempo più saggio e cosciente di quello che sta facendo; ed ecco che, per contrasto, l'umanità appare finalmente per quello che è veramente: non un manipolo di eroi pronti ad immolarsi per salvare il mondo dal mostro di turno, ma un mucchio di gente egoista, cinica e spesso anche stupida. Visto in quest'ottica, il film assume tutt'altro significato, ed esce dai ristretti ambiti della fantascienza per trasmettere valori universali e di forte impatto emotivo; e pur nel pessimismo di fondo lascia intravedere una luce in fondo al tunnel: infatti qualcuno riesce, fra gli uomini, a mostrarsi amico dell'alieno, a comprenderlo, ad aiutarlo. E si tratta di un bambino, di una donna, di un vecchio: proprio coloro che, nella nostra società, contano meno o vengono spesso emarginati.
Non è certo un caso che questo film sia stato diretto da uno dei registi più impegnati di Hollywood: il grande Robert Wise!

1953 Destinazione Terra (It came from outer space) Arnold 7 8 7 7 7

Con questo film fa il suo esordio in campo fantascientifico Jack Arnold, regista che, pur non avendo mai diretto un autentico capolavoro, è senza dubbio il migliore, tra i molti che, nei mitici anni '50, realizzarono decine di B-movies: film a basso costo, e senza grandi pretese.
Comunque, Destinazione Terra è un film piuttosto buono, anche perché è il primo a mostrare degli alieni in grado di assumere forma umana: ed è su questo tema, piuttosto che sulla consueta lotta contro di loro, che si sviluppa la trama. Questi alieni, d'altra parte, non pretendono di sterminare il genere umano: finiti sulla Terra per un guasto al loro veicolo, iniziano a rapire le persone che incontrano, e a sostituirsi a loro, al solo scopo di non farsi scoprire, e poter così completare le riparazioni necessarie a ripartire; ma quando, nonostante le loro precauzioni, vengono scoperti dal protagonista (Richard Carlson), uno scrittore che non si lascia ingannare dall'aspetto esteriore di quelli che sembrano i suoi amici, la situazione si complica: mentre la polizia si prepara ad assaltare la caverna in cui gli alieni si nascondono, rischiando un massacro, il protagonista, preoccupato perché anche la sua fidanzata è stata rapita, cerca disperatamente un compromesso. Alla fine, con un po' di fortuna, gli alieni riescono a ripartire, mentre tutti quelli che erano stati rapiti vengono liberati: ancora una volta la Terra è salva, anche se, tutto sommato, il pericolo corso è stato più apparente che reale.
Una buona idea, e una trama discretamente sviluppata, ma niente di più: questo è Destinazione Terra. Siamo lontani dalla tensione che si raggiungeva ne La cosa da un altro mondo, e siamo pure lontani dalla profondità di film come Ultimatum alla Terra: ma pretendere di più da un B-movie, tutto sommato, sarebbe eccessivo. Anzi, per essere un film girato in economia, questo offre molto di più di quello che ci si poteva aspettare!

1953 La guerra dei mondi (War of the worlds) Haskin 6 7 9 7 6 6

Pensare che un tempo questo film era considerato un "kolossal": girato a colori, e con effetti speciali, per l'epoca, fantasmagorici, mostrava un'invasione aliena su larga scala, basandosi su quello che, allora, era uno dei più noti romanzi di fantascienza: La guerra dei mondi di Herbert George Wells.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, e molte cose, in questo film, fanno sorridere, a partire dalla trama, che racconta dell'arrivo dei marziani a bordo di enormi astronavi, e dei loro attacchi contro le città terrestri, nonostante una difesa disperata da parte degli umani e qualche inutile tentativo di comunicare con loro. Quando tutto sembra perduto, il banale virus del raffreddore mette le cose a posto, e i marziani (creature verdi e con i tentacoli, che nel film si vedono pochissimo) muoiono tutti in pochi istanti. Tutto come nel romanzo di Wells, insomma: ma quello che nel libro era reso con un ritmo magistrale e un rigore scientifico tipico dello scrittore inglese, nel film si banalizza e si riduce a una serie di scene che dovrebbero spaventare lo spettatore. Allora ci riuscivano, oggi non più.
Eppure, nonostante tutto, chi vada a vedere, oggi, quella specie di remake che è Independence day (e che è un vero "kolossal"), si renderà conto che si può fare molto, molto peggio. La guerra dei mondi, almeno, ogni tanto trasmetteva qualche emozione autentica. Il suo remake, solo risate involontarie.

1953 Gli invasori spaziali (Invaders from Mars) C. Menzies 6 8 7 6 7

Questo film inizia alla grande: un ragazzino (Jimmy Hunt) vede atterrare un disco volante non lontano da casa, e avverte i genitori, che si recano a controllare; ma quando questi tornano, appaiono cambiati, più freddi, e non vogliono più ascoltarlo. Quasi un anticipo de L'invasione degli ultracorpi, insomma, e per di più girato con grandi mezzi, per l'epoca (si pensava addirittura di realizzarlo in 3D).
Purtroppo, dopo il buon inizio, la trama si banalizza; scoperto che i genitori sono controllati a distanza dagli alieni (tramite un apparecchio impiantato sulla nuca), il ragazzino trova finalmente altri aiuti, e alla fine il disco volante (nascosto in una caverna sotto il deserto) viene fatto saltare in aria: l'umanità, ancora una volta, è salva.
Nonostante uno svolgimento lento, ricco di ingenuità (troppe), e degli effetti speciali non all'altezza delle aspettative, il film non è da disprezzare, e l'ambientazione ai margini del deserto, dove minacciose distese di sabbia nascondono la base degli alieni, suscita qualche inquietudine. Il guaio è che questo film viene ricordato, più che altro, per la scena finale in cui si vede finalmente come è fatto l'alieno che tira le fila di tutta la storia: una testa parlante in una boccia di vetro ... e l'inquietudine di cui sopra svanisce con una risata.

1953 Il risveglio del dinosauro (The beast from 20000 fathoms) Louriè   6 6 5 6 6
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1954 Assalto alla Terra (Them!) Douglas 7 9 7 7 8

Primo, e miglior film di una lunga serie basata sui pericoli rappresentati da animali (soprattutto insetti) diventati giganteschi, Assalto alla Terra inizia come un giallo: una bambina, in stato di choc, vaga nel deserto; due poliziotti trovano i suoi genitori, morti, poco lontano: chi o cosa sia stato non e' chiaro, ma ben presto "qualcosa" che fa uno strano rumore uccide uno dei due, rimasto incautamente solo; altri morti seguono, sempre nel più fitto mistero, finché una coppia di scienziati (Edmund Gwenn e Joan Weldon) non ne scopre la causa: formiche gigantesche, la cui mutazione è stata causata dalle radiazioni atomiche. Dopo molte ricerche (volano e si riproducono in fretta), le formiche vengono finalmente scovate e uccise, non senza aver fatto altre vittime.
Quanto reggerebbe, oggi, un film del genere? Questo è proprio il suo limite: non c'è dubbio, infatti, che nel 1954 fosse realmente difficile capire, dagli indizi lasciati qua e là, che genere di creature fossero quelle che avevano causato la morte di tante persone, per di più bene armate; e l'ignoranza degli agenti, che non sanno in quale branca scientifica siano competenti i due "mirmicologi" venuti ad indagare, era anche la stessa dello spettatore medio. Ma oggi? Dopo innumerevoli film pieni di creature più o meno cresciute, terrestri o aliene, dopo che gli effetti speciali sono riusciti a mostrarci ogni genere di mostro, dopo che l'uomo si è abituato all'energia atomica e non crede più come prima alla pericolosità delle radiazioni? Oggi la suspence della prima parte del film mostrerebbe un po' la corda, e l'apparizione improvvisa della prima formica gigante non spaventerebbe più di tanto lo spettatore.
Pure, Assalto alla terra rimane un buon film; la scelta di centrare la trama sullo studio delle formiche giganti, e su come trovarle e distruggerle, piuttosto che sui combattimenti o sulle scene dei massacri, come accadrebbe oggi, si rivela azzeccata: lungi dall'annoiare lo spettatore, lo avvince in una tensione che non tutti i film degli anni '50 possono vantare. Una buona prova degli interpreti, peraltro sconosciuti (però James Arness, che qui è un agente dell'FBI, era stato la "cosa" 3 anni prima), fa il resto.

1954 Godzilla (Gojira) Honda 6 6 7 7 5 7

Perché questo film sia diventato leggendario è un vero mistero: pur essendo di produzione giapponese, non si discosta dai consueti B-movies dell'epoca, molti dei quali mostravano creature gigantesche e minacciose mettere in pericolo l'umanità, o almeno qualche pacifico villaggio. In questo caso il mostro, risvegliato dai soliti esperimenti nucleari, e capace addirittura di sputare fuoco come un drago, minaccia la città di Tokyo: e dopo che le armi si sono dimostrate inefficaci, sono gli scienziati a trovare il modo per distruggerlo. Per poi sacrificarsi a loro volta, convinti, evidentemente, che questa sia l'unica strada per evitare, in futuro, la nascita di altre spaventose creature.
Ma invece della scienza, è stato il cinema a crearne delle altre, soprattutto in Giappone, dove l'enorme successo di Godzilla ha moltiplicato i mostri giganteschi, buoni, cattivi, alati, anfibi, e tutti rigorosamente di cartapesta, in un epoca in cui gli effetti speciali erano poca cosa ma il pubblico si divertiva lo stesso: il dubbio che, in fondo, il successo del film derivi solo dal fatto che il mostro, per la prima volta, ha un nome preciso, è più che fondato. E' stata questa trovata, semplice ma efficace, che ha permesso, con ogni probabilità, che intorno al nome "Godzilla" si creasse una vera leggenda, ben al di là dei meriti del film. Il quale, in realtà, non è niente di speciale. Ma una leggenda non si giudica!

1954 Il mostro della laguna nera (The creature from the black lagoon) Arnold 7 6 8 5 7 7

A metà strada tra la fantascienza e l'horror, Il mostro della laguna nera, ormai diventato un cult-movie, è in pratica (col suo seguito La vendetta del mostro) un remake di King Kong: e, ciò che è davvero stupefacente, riesce a uguagliare il livello di quest'ultimo pur sviluppando l'idea originale in modo abbastanza differente. Merito, probabilmente, della modestia di Jack Arnold, che non si è mai considerato un grande regista, e non ha cercato il capolavoro in ognuno dei suoi film, dei quali questo, indubbiamente, è il più riuscito.
Siamo in Amazzonia, e una spedizione scientifica si imbatte in un essere metà uomo e metà pesce che, chiaramente attratto dall'unico elemento femminile del gruppo (Julia Adams), riesce dapprima a bloccare il battello degli scienziati all'interno di una laguna, e poi a rapire la donna: dopo un lungo inseguimento, i suoi compagni riusciranno a liberarla, e infine a uccidere la misteriosa creatura.
Apparentemente, niente di nuovo sotto il sole: ma Arnold, dimostrando un fiuto non comune, riprende da King Kong l'idea che il mostro sia meno cattivo di quanto sembri e anzi sia animato da sentimenti decisamente umani; come rimanere indifferenti, d'altra parte, di fronte a una fanciulla che nuota seminuda in un fiume (scena rimasta giustamente famosa, col mostro che nuota sotto la donna senza che lei se ne avveda)? Sono queste piccole trovate che hanno reso famosi alcuni degli innumerevoli B-movie degli anni '50: e anche se non ha mai realizzato un vero capolavoro, è stato Jack Arnold l'uomo che più di ogni altro le ha sapute sfruttare.

1954 20000 leghe sotto i mari (20000 leagues under the sea) Fleischer   10 7 7 7
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1955 Cittadino dello spazio (This island Earth) Newman 6 8 7 7 7

Uno scienziato (Rex Reason) costruisce, per mezzo di un progetto ricevuto per posta, una misteriosa apparecchiatura: una volta terminata, scopre che si tratta di una specie di una radio in grado di metterlo in comunicazione con un extraterrestre; questi, un umanoide dalla fronte alta e dai capelli bianchissimi (Jeff Morrow) lo prega di aiutare il suo popolo, ridotto allo stremo dalla guerra contro gli abitanti di un pianeta vicino, a sopravvivere. Lo scienziato, insieme con due colleghi, accetta, e cerca di inventare una nuova forma di energia, lavorando dapprima sulla Terra e quindi su Metaluna, il pianeta dell'extraterrestre: ma ormai è troppo tardi, e Metaluna viene distrutto da un ultimo attacco dei suoi nemici. Solo grazie al sacrificio dell'extraterrestre, ormai diventato loro amico, gli scienziati riescono a salvarsi e a tornare sulla Terra: all'ultimo istante, ovviamente.
In questo film tutto è incerto, a partire dal giudizio dei critici: gli effetti speciali, la trama, i personaggi, eternamente sospesi tra diverse scelte; gli alieni non sanno bene che fare né per vincere la guerra, né per convincere i terrestri ad aiutarli; questi, invece, sono incerti tra la collaborazione e la fuga. Tutti i protagonisti, comunque, non assomigliano affatto a quelli proposti dai film di fantascienza fino ad allora; gli alieni, che non sono mostri assetati di sangue, e neanche benefattori dell'umanità, sono solo delle persone non troppo dissimili da noi (a partire dall'aspetto), e con problemi analoghi ai nostri; gli scienziati non sembrano certo degli eroi ansiosi di salvare il genere umano o di sacrificarsi per la causa: poco interessati al mondo di Metaluna e al conflitto che lo sta distruggendo, pensano solo a tirarsi fuori dai guai.
Tanto basta, pur in presenza di una trama che fa acqua da tutte le parti, per riconoscere in questo film almeno la voglia di realizzare qualcosa di veramente innovativo; e anche se il tentativo lascia molto a desiderare, l'importante, dopo anni di film sempre uguali, è che la strada sia aperta. I capolavori verranno presto.

1955 La conquista dello spazio (Conquest of space) Haskin   7 5 5  
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1955 Il mostro del pianeta perduto (The day the world ended) Corman   6 7 5 6
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1955 Tarantola (Tarantula) Arnold   8 7 6 7
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1955 La vendetta del mostro (Revenge of the creature) Arnold 6 4 6 5 5 7

Non contenti di essersi liberati del primo mostro, alla fine de Il mostro della laguna nera, alcuni scienziati tornano nella laguna per catturarne un altro, ci riescono, e lo portano in Florida per esporlo in un acquario: ma quando due di loro (gli sconosciuti John Agar e Lori Nelson) si innamorano, il mostro, che come già nel primo film ha un debole per il sesso femminile, scappa dall'acquario, rapisce la donna, uccide un po' di persone, e finalmente, crivellato di pallottole, sparisce nell'oceano.
La cosa più interessante di questo film è che, se lo consideriamo tutt'uno col precedente, diventa in sostanza un remake di King Kong: ma ciò che allora veniva narrato in un solo film, con ben altra efficacia narrativa, qui si dilunga eccessivamente, seguendo strade note e che non ottengono più gli effetti sperati; la storia d'amore tra un mostro e la bella di turno, per esempio, tema ormai sfruttato fino all'inverosimile, non commuove più di tanto lo spettatore: e se nel primo film, almeno, non mancavano momenti di autentica tensione, e il ritmo rimaneva sempre serrato, in questo seguito quasi tutto è scontato e prevedibile, e solo la mano esperta di Jack Arnold tiene in piedi una pellicola che altrimenti avrebbe finito per sconfinare nel ridicolo. E nell'oblio.

1956 L'astronave atomica del dottor Quatermass (The Quatermass Xperiment) Guest 8 7 6 7

L'ennesimo B-movie, col solito mostro assetato di sangue a minacciare il mondo? A prima vista sembrerebbe proprio di sì, nonostante il film, stavolta, non sia di produzione americana (è inglese): tuttavia, a uno sguardo più attento, ci si rende subito conto di come la storia abbia non una, ma parecchie marce in più. Una suspence degna di Hitchcock? Un mostro particolarmente spaventoso? Un eroe incredibilmente carismatico? Forse tutte queste cose insieme, o forse nessuna, a parte una trama curata come un orologio svizzero e che, a mano a mano che si avvicina alla fine, cattura sempre di più l'attenzione dello spettatore.
L'inizio è già carico di un'atmosfera sinistra: in una notte buia (anche se non tempestosa) un razzo, lanciato nello spazio giorni prima dal professor Bernard Quatermass (Brian Donlevy), rientra sulla Terra, atterrando nei pressi di una fattoria inglese; ma, dei tre uomini a bordo, solo uno (Richard Wordsworth) è ancora vivo, e per di più sotto choc: i suoi compagni sono scomparsi nel nulla. L'uomo, raccolto da Quatermass, non si riprende più, e dopo essere fuggito dalla clinica in cui era stato ricoverato si trasforma a poco a poco in un mostro spaventoso. Il tragico finale è inevitabile: dopo aver fatto molte vittime il mostro viene finalmente localizzato all'interno dell'abbazia di Westminster, e Quatermass, grazie a una potente scarica elettrica (così potente da richiedere tutta l'energia di Londra), pone fine alla sua esistenza.
Molte trovate, in questo film, sono interessanti, anche se mancano idee veramente originali: l'alieno che, invece di mostrarsi fin dall'inizio, si impadronisce di un uomo, trasformandolo in qualcosa di orrendo, è una delle migliori, e verrà ripresa spesso, in futuro; come ottima, anche se imposta dalla mancanza di effetti speciali adeguati, è la scelta di non mostrare chiaramente la trasformazione del protagonista. Ma è soprattutto interessante la figura del professor Quatermass, raro esempio di eroe cinico e quasi brutale, che dall'alto della sua scienza non si fa mai travolgere dai sentimenti, e ha sempre le idee chiare sulle scelte da compiere, per quanto difficili e disumane possano essere. Un personaggio decisamente fuori degli schemi, insomma: e, proprio per questo, un personaggio che non si dimentica facilmente. Come l'intero film, del resto.

1956 Nel 2000 non sorge il sole (1984) Anderson 6 7 8 7 5 6

Pochi anni dopo l'uscita del famoso romanzo di George Orwell 1984, il regista inglese Michael Anderson tenta di adattarlo per il grande schermo: ma la natura del libro è troppo particolare, e il tentativo si risolve fatalmente in un mezzo insuccesso.
La trama, come molti sanno, descrive una società futura (il romanzo fu scritto nel 1948), oppressa da una spaventosa dittatura: tutto è proibito, anche amare qualcuno, anche parlare nella propria lingua, e ogni momento della propria esistenza è organizzato dal "partito", guidato dall'onnipresente e onnisciente "grande fratello". Un piccolo funzionario sfida questo stato di cose semplicemente amando una collega: ma i due verranno scoperti, arrestati, torturati e costretti a rinnegare il loro amore.
Ciò che rende interessante il romanzo non è la vicenda narrata, quasi del tutto assente (nessuno cerca veramente di scalfire la dittatura, e tutti accettano la situazione senza porsi troppe domande), ma la descrizione, nuda e cruda, di come l'uomo possa raggiungere vette di tale crudeltà da sconfinare nel surreale (l'invenzione della neolingua, ideata per sopprimere le parole che definiscono concetti "eretici", come la libertà, è una delle trovate più famose): purtroppo un film, per quanto lento e meditato, ha bisogno di un minimo di azione, di una trama che si sviluppi partendo da un principio e arrivando a una conclusione; e 1984 è quanto di più lontano si possa immaginare da queste esigenze.
Rimane l'idea, ovviamente notevole, del resto adattata con fedeltà nonostante un finale un po' diverso (ma non nella sostanza), e la discreta prova di Edmond O' Brien e Jan Sterling nel ruolo dei due sfortunati protagonisti. Qualcosa di meglio, ma non troppo, offrirà allo spettatore il remake girato, guarda caso, nel 1984.

1956 L'invasione degli ultracorpi (Invasion of the body snatchers) Siegel 9 9 9 9 10

L'idea alla base di questo film straordinario, senza dubbio tra i capolavori del cinema di fantascienza, non sembra così originale, almeno a prima vista: già ne Gli invasori spaziali si erano visti degli alieni in grado di modificare il comportamento degli esseri umani, o addirittura in grado di assumerne l'aspetto, come in Destinazione Terra. Ma in entrambi i film la "trasformazione" era comunque reversibile, e gli alieni rimanevano qualcosa di ben distinto, qualcosa che poteva essere identificato e combattuto; ne L'invasione degli ultracorpi, invece, i misteriosi baccelli venuti da chissà dove distruggono definitivamente la personalità dei loro ospiti, sostituendosi a loro a tutti gli effetti: situazione carica di un orrore che mai, prima di questo film, era stato così profondo e coinvolgente.
All'inizio, invece dell'orrore, c'è solo una leggera inquietudine: perchè mai alcuni abitanti di Santa Mira, un tranquillo paese della California, sono convinti che i loro parenti siano degli impostori? I sosia, o presunti tali, non sembrano affatto differenti, e il dottor Miles Binnell (Kevin McCarthy), inizialmente non dà peso alle segnalazioni; ma a mano a mano che queste aumentano, anche i suoi dubbi crescono, finché, una sera, la scoperta di un corpo ancora "in sviluppo" in casa di un suo amico chiarisce il mistero: degli strani baccelli, forse venuti dallo spazio, si vanno trasformando in corpi umani, fino ad assumere l'aspetto delle persone più vicine, la cui personalità viene assorbita durante il sonno; gli "originali" non si svegliano più (che fine faccia il loro corpo non si sa), e le "copie" ne prendono il posto, anche se alla lunga vengono tradite dalla mancanza di ogni emozione; ben presto diventa evidente che le "copie" stanno diffondendo i baccelli in tutto il paese, e anche nelle città vicine, e per Miles e i suoi amici non resta che la fuga, nella speranza di non addormentarsi: ma è troppo tardi, e solamente Miles riuscirà a raggiungere l'autostrada, dove peraltro nessuno gli darà retta, nonostante le sue disperate invocazioni d'aiuto.
Come noto, la produzione impose un lieto fine: e Don Siegel dovette aggiungere un epilogo (peraltro costruito assai bene) in cui Miles racconta la sua storia ad alcuni poliziotti, riuscendo a farsi credere proprio all'ultimo minuto, e solo grazie al casuale ritrovamento di un camion carico dei terribili baccelli. Ma, indipendentemente dal finale, L'invasione degli ultracorpi ha fatto epoca: non vi è dubbio, infatti, che l'idea di un "mostro" che arrivi durante il sonno, mentre la vittima è indifesa, sia assolutamente geniale, data la sua capacità di far presa sulle paure ancestrali dello spettatore; e l'abilità con cui l'idea viene sviluppata, in un crescendo di suspence, dapprima, e di orrore, in seguito, rasenta la perfezione: forse questo film, in campo fantascientifico, non sarà il migliore in assoluto (anche se qualcuno ne è convinto): ma oltre ad essere certamente il più raffinato, è uno dei pochissimi che, una volta visti, non si possono più dimenticare.

1956 Il pianeta proibito (Forbidden planet) M. Wilcox 9 9 7 8 8

Un pianeta lontano e desolato, e un'astronave che vi si avvicina, alla ricerca dei superstiti di una precedente spedizione: l'inizio di questo celebre film non sembra avere niente di speciale. Ma poi, qualcuno manda un messaggio radio all'astronave, invitando l'equipaggio a non atterrare: un superstite che, a quanto pare, non gradisce le visite. Tuttavia, deciso a vederci chiaro, il comandante (un giovane Leslie Nielsen) ignora l'avvertimento e, poco dopo essere sbarcato, incontra l'uomo che ha inviato il messaggio, l'ambiguo dottor Morbius (Walter Pidgeon), che, in compagnia della figlia (Anne Francis) e di un robot tuttofare, passa il suo tempo studiando i giganteschi macchinari lasciati dai Krell, gli antichi abitanti del pianeta; ma quando tra la ragazza e il comandante nasce un idillio, la situazione precipita: un mostro gigantesco e invisibile, che nessuna arma sembra poter fermare, uccide a più riprese alcuni uomini dell'equipaggio. Alla fine, la tragica scoperta: il mostro altro non è che una proiezione del subconscio di Morbius, materializzata dai macchinari dei Krell, il cui vero scopo era ignoto allo scienziato; quando finalmente si rende conto della verità, Morbius si uccide e innesca un meccanismo che fa esplodere il pianeta: i suoi indesiderati ospiti, con sua figlia, si allontanano appena in tempo.
Si dice che questo film debba la sua fama al fatto di essere una versione cinematografica de La Tempesta; ma questa è più che altro una leggenda che si tramanda di critico in critico, senza alcun fondamento: basta leggere l'opera di Shakespeare per convincersene. La fama de Il pianeta proibito si deve invece a poche, geniali idee, talmente innovative da non essere più state riprese, negli anni successivi: troppo inquietante, evidentemente, doveva essere l'idea di un mostro prodotto dal nostro subconscio, e troppo angosciante quella di un mostro invisibile; ciò che non si vede è sempre più spaventoso di ciò che si vede chiaramente, come troppo spesso si tende a dimenticare: si pensi soltanto alla celebre scena in cui il mostro si avvicina all'astronave, invisibile tranne che per le impronte che si formano nella sabbia.
A parte queste idee, non ci sono, in questo film, altre trovate geniali, tranne, forse, quella di servirsi delle famose leggi della robotica per quanto riguarda il robot tuttofare al servizio di Morbius, e che, proprio per questo motivo, diventerà uno dei comprimari più famosi di tutta la storia del cinema (e non solo di fantascienza). Non sono eccezionali né gli effetti speciali, né le scenografie, che fanno sembrare di cartapesta il desolato pianeta; e anche i personaggi non si discostano dai soliti stereotipi (lo scienziato pazzo, l'eroe coraggioso ma ignorante, la biondina che se ne innamora). Ma l'unico, vero protagonista del film è il mostro: perfetto in tutto, poiché non si vede e, soprattutto, indimenticabile. Tanto basta per fare di questo film il capolavoro assoluto degli anni '50!

1957 A 30 milioni di km dalla Terra (20 million miles to Earth) Juran   6 8 5   6
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1957 La meteora infernale (The monolith monsters) Sherwood 6 6 5    

Che fare quando i mezzi sono pochi, e gli effetti speciali ne risentono? O si hanno delle buone idee, o si sconfina nel ridicolo, come accadeva spesso negli anni '50: ma per fortuna La meteora infernale appartiene alla prima categoria. La buona idea di questo film sta nel ricorrere a un mostro del tutto diverso da quelli visti fino ad allora: niente esseri gelatinosi con o senza tentacoli, niente piante voraci, niente marziani bellicosi; ma delle semplici rocce scure di origine meteoritica. Semplici, ma capaci al solo contatto di calcificare un essere umano, con conseguenze letali.
Il bello di questo film sta nel fatto che nessuno si aspetta, meno che mai lo spettatore, che il pericolo venga da semplici sassi: e per la maggior parte del tempo la trama sembra più quella di un giallo che quella di un film di fantascienza; alla fine, la duplice scoperta: le rocce crescono, e diventano mortali, solo se vengono bagnate (attenzione quando piove!); ma se l'acqua è salata si dissolvono. Alla fine l'ingegno dell'uomo, ancora una volta, avrà la meglio su questi mostri un po' particolari.
Nonostante l'ottima idea, il film risente un po' troppo della mancanza di mezzi: la sceneggiatura non è certo di prim'ordine (molto inferiore, per esempio, a quella di Assalto alla Terra, che ha una trama non dissimile), e gli attori sono degli illustri sconosciuti che resteranno tali. Ma a distanza di molti anni sono pochi i film dell'epoca che si ricordano abbastanza bene: e La meteora infernale è uno di questi.

1957 Il mostro che sfidò il mondo (The monster that challenged the world) Laven   7 5    
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1957 Il mostruoso uomo delle nevi (The abominable snowman) Guest 6 7 7 5 3

Alcuni scienziati, guidati addirittura da Peter Cushing, grande specialista dei film dell'orrore, si trovano in Tibet per alcune ricerche: inevitabilmente si imbattono nello Yeti, e altrettanto inevitabilmente ne sono vittime; i più cinici di loro, che avevano pensato di catturarlo per poterlo esibire come fenomeno da baraccone, fanno una brutta fine; quelli dall'animo più nobile scampano a burroni e tempeste di neve e accettano con più filosofia l'esistenza della misteriosa creatura, che oltretutto non si è dimostrata affatto malvagia.
In un certo senso, questo film va controcorrente, presentandoci un "mostro" che tale non è (e che anche per questo non viene mai fatto vedere) e che non ha intenzioni ostili; ma al di là della trovata iniziale c'è ben poco, purtroppo: una trama discreta, ma con molte incertezze e qualche momento di noia, ambientata in luoghi fascinosi ma monotoni; un "mostro" che non solo si vede poco, ma del quale non si sa nulla (diversamente da quanto accadeva in La cosa da un altro mondo, ad esempio); un finale inconcludente, che cerca di essere moralistico ma si limita a tradire le aspettative dello spettatore.
Insomma, un film appena passabile: anche se, bisogna ammetterlo, lo Yeti ha sempre avuto un certo fascino. E per un piccolo gruppo di appassionati (il film è molto controverso) questo basta e avanza.

1957 Radiazioni BX distruzione uomo (The incredible shrinking man) Arnold   8 7 8 10
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1957 I vampiri dello spazio (Quatermass 2) Guest 6 8 7   7

Se nel primo film della serie il cinico, ma intelligente dottor Quatermass aveva dovuto combattere contro un mostro che era stato, un tempo, un suo astronauta, stavolta i problemi, almeno in apparenza, sono più semplici: i mostri, arrivati sulla Terra con una pioggia di meteoriti, sono soltanto delle piccole escrescenze, e non sembrano particolarmente minacciosi. Ma ben presto Quatermass (sempre Brian Donlevy) si rende conto che il pericolo è più insidioso di quanto sembri: per quanto piccoli, i mostri controllano la volontà delle persone con cui sono venuti in contatto, e che ora, protette da un muro di omertà, stanno allevando creature ben più spaventose in una base nelle vicinanze di Londra. Per fortuna Quatermass riesce a penetrarvi e, aiutato da alcuni operai ancora immuni dal "contagio", fa esplodere le cupole che racchiudono le creature: a questo punto anche le persone controllate dai mostri si "risvegliano", e l'umanità, ancora una volta, può tirare un sospiro di sollievo.
Per essere un seguito, I vampiri dello spazio è indubbiamente un buon film: nonostante uno spunto abbastanza banale, e una trama che non raggiunge la stessa tensione dell'episodio precedente, la vicenda, complessa ed elaborata, non è priva di fascino o di colpi di scena; e non si può negare che la vecchia idea dei mostri che controllano la volontà degli esseri umani, i quali diventano a loro volta il nemico da combattere, mantenga sempre la sua validità. Certo, se nel primo film quella di far vedere il mostro il meno possibile si era rivelata una scelta vincente, non si può dire la stessa cosa di questo seguito, in cui sarebbe stato opportuno non limitarsi a mostrare delle vaghe ombre che si agitano in lontananza, e che dovrebbero essere le spaventose creature da distruggere; tuttavia, considerando che il terzo film della serie, in cui gli effetti speciali non mancheranno, farà rimpiangere non poco i primi due, meglio accontentarsi!

1958 Dalla Terra alla Luna (From the Earth to the Moon) Haskin 6 6 7 7 4 3

La storia è ben nota: tre uomini, in una capsula sparata da un gigantesco cannone, riescono a raggiungere la Luna, a girarci intorno, e a ritornare sani e salvi sulla Terra. Il tutto nell'ottocento magicamente raccontato da Jules Verne.
Purtroppo, se un viaggio verso la Luna era fantascienza a quell'epoca, oggi non lo è più: e credo che già nel 1958 ci fosse qualche problema a rendere appassionante un film centrato su quest'argomento. Ciò non toglie che il romanzo di Verne risulti godibile ancora oggi: questo è dovuto all'impronta "tecnologica" che lo scrittore francese ha saputo dargli, riempiendolo di dettagli tecnici senza per questo annoiare il lettore, e riuscendo così a renderlo assolutamente credibile e realistico, e a mantenerlo tale anche dopo molti anni. Ma gli autori del film, evidentemente, hanno temuto (forse a ragione) che non fosse opportuno puntare su questo aspetto; e hanno così privilegiato il lato avventuroso della narrazione e i complessi rapporti fra i protagonisti, finendo per aggiungervi una storia d'amore inesistente e, dulcis in fundo, cambiando (e non di poco) il finale. Ne esce fuori un film ancora passabile, ma fiacco e privo di vero interesse: un film che si regge a stento, e unicamente, sull'idea di Verne, senza riuscire a brillare di luce propria. Peccato per gli interpreti, fra cui gli ottimi Joseph Cotten e George Sanders, che avrebbero senz'altro meritato di comparire in un film migliore.

1958 L'esperimento del dottor K (The fly) Neumann 8 7 7 8

Perchè una donna dovrebbe avere ucciso il marito, pur essendo ancora innamorata di lui? E per di più schiacciandogli la testa sotto una pressa? Con questo inquietante interrogativo comincia L'esperimento del dr. K, ultimo capolavoro dei mitici anni '50, che si regge non tanto sull'idea di partenza (un uomo trasformato in mostro), già utilizzata in altri film, quanto nell'abilità con cui la vicenda, più simile a un giallo che a un horror fantascientifico, viene portata avanti.
E, come in tutti i gialli, lo spettatore scopre a poco a poco che cosa è successo; la donna (Patricia Owens), minacciata di arresto dall'ispettore che indaga sul caso, e incoraggiata dal cognato (Vincent Price) a raccontare tutto, ricostruisce l'accaduto: il marito (David Hedison), uno scienziato ricco e famoso, stava sperimentando una forma di teletrasporto quando, nel corso di una prova su sé stesso, una mosca era entrata con lui nella cabina di trasmissione: da allora era rimasto chiuso nel suo laboratorio, supplicandola di ritrovare l'insetto (riconoscibile dalla testa bianca) per poter ripetere l'esperimento; ma i tentativi di catturare la mosca erano falliti, e alla fine la donna aveva scoperto la verità: il marito era diventato un mostro, metà uomo e metà insetto; un mostro che aveva preferito farsi schiacciare da una pressa piuttosto che continuare a vivere in quelle condizioni.
Naturalmente, la donna non viene creduta e, anzi, sta per essere portata in manicomio, quando il cognato trova casualmente in giardino la famosa mosca, e la indica all'ispettore: inquadrata in primo piano, in quella che è forse la scena più agghiacciante di tutta la storia del cinema, l'insetto mostra chiaramente una testa umana, e, intrappolato in una ragnatela, grida disperatamente aiuto all'avvicinarsi di un ragno. Sconvolto, l'ispettore la uccide e libera la donna: lieto fine, ma non troppo.
Straordinario sotto molti punti di vista, L'esperimento del dr. K poteva diventare il miglior film di fantascienza di tutti i tempi, se solo la suspence avesse retto fino in fondo: cosa si nasconda sotto il cappuccio che copre la testa dello scienziato, infatti, potrà essere un mistero per la moglie, ma non certo per lo spettatore smaliziato, e per di più messo sulla buona strada da numerosi indizi. Inoltre, un attore del calibro di Vincent Price appare assurdamente sprecato in un ruolo secondario, quando, da protagonista, avrebbe dato ben altro risalto al film.
Eppure, nonostante tutto, la scena finale, da sola, basta e avanza per far passare in secondo piano tutte le debolezze della trama: e mentre queste si dimenticano facilmente, lo stesso non si può dire di tutto il resto: basta vedere il film una volta sola per non scordarselo più.

1958 I figli dello spazio (The space children) Arnold   3 6 5 5 7
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1958 Ho sposato un mostro venuto dallo spazio (I married a monster from outer space) Fowler 7 5 5 6

Nonostante il titolo non sembri lasciare dubbi, la protagonista di questo film (Gloria Talbott) non ha affatto strani gusti in fatto di uomini: è solo che al marito (Tom Tryon) si è sostituito, all'insaputa di tutti, un alieno che ne ha assunto le sembianze, e che si trova sulla Terra per aprire la strada ai suoi simili, in fuga dal loro mondo distrutto dalle radiazioni atomiche (evidentemente i terrestri non sono i soli ad avere certi problemi). Tuttavia, come già ne L'invasione degli ultracorpi, il comportamento del sosia desta qualche sospetto nella sposina che, a forza di pedinamenti, scopre l'orribile verità, oltre a un disco volante ben nascosto e sorvegliato da altri sosia: eliminati (non senza fatica) questi ultimi, gli uomini a cui gli alieni si erano sostituiti vengono finalmente trovati e liberati. Quello che aveva preso il posto del marito della protagonista, e che già accarezzava l'idea di una nuova vita accanto a lei, si lascia morire, mentre le astronavi aliene, già in prossimità della Terra, se ne vanno.
Non solo l'idea dell'invasione aliena è trita e ritrita, ma anche quella del "mostro" che prende il posto di un essere umano non è più una novità: eppure qualcosa, in questo film, riesce a piazzarlo qualche gradino sopra la media delle produzioni analoghe di quel periodo. Forse la suspence, davvero ben calibrata, che si avverte in tutta la vicenda; o forse il triste destino degli alieni, che in fondo non sono cattivi, e desiderano solo integrarsi fra gli esseri umani. Comunque un buon film, e sicuramente uno degli ultimi B-movies degli anni '50 degno di nota. Se non l'ultimo in assoluto.

1959 Caltiki, il mostro immortale Freda 5 6 5 6 6

Un B-movie come tanti altri? Forse; solo che nessuno direbbe, dopo averlo visto la prima volta, che si tratta di un film di produzione italiana, diretto da Riccardo Freda (e probabilmente completato da Mario Bava): e per di più è un film migliore di tanti suoi omologhi americani, non privo di suspence, di trovate intelligenti e ricco di effetti speciali semplici ma non per questo ridicoli.
Via di mezzo tra The blob e il primo Quatermass, la trama narra del solito mostro gelatinoso e informe che emerge da un lago in Messico, dove un gruppo di archeologi ha avuto la malaugurata idea di condurre delle ricerche subacquee; come se non bastasse, i superstiti pensano bene di portarsi dietro un pezzetto di mostro, rimasto attaccato al braccio di uno di loro: se ne pentiranno ben presto ... Niente di veramente speciale, insomma; ma questi B-movies viaggiano sempre (con pochissime eccezioni) a un passo dal ridicolo: basta poco, una recitazione approssimativa, un effetto speciale malriuscito, e il confine è superato. Caltiki se ne tiene sempre distante, e scusate se è poco.

1959 La fine del mondo (The world, the flesh and the devil) MacDougall   7 5 6 7
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1959 L'ultima spiaggia (On the beach) Kramer 7 8 10 7 5 6

Alla fine degli anni '50 il pubblico comincia a stufarsi dei mostri assetati di sangue, e la fantascienza cerca nuovi temi, più maturi e inclini a far riflettere lo spettatore: come ne La fine del mondo, uscito quasi contemporaneamente, L'ultima spiaggia ci mostra quello che rimane dell'umanità dopo una guerra nucleare; ma se nel primo film i superstiti erano pochissimi, in questo un intero continente (l'Australia) si è salvato, anche se nessuno potrà sopravvivere a lungo: le radiazioni, infatti, continuano a diffondersi, e anche gli ultimi sopravvissuti moriranno presto. Dopo che un sottomarino si è spinto fino a New York, nella vana speranza di trovare qualcun altro ancora in vita, il destino, inevitabilmente, ha la meglio: uno dopo l'altro, i superstiti si uccidono, e il film termina con la visione delle strade di Sidney deserte per sempre e spazzate dal vento radioattivo.
Struggente e malinconico, L'ultima spiaggia si differenzia nettamente dagli altri film sullo stesso tema, ed è considerato un vero capolavoro da molti appassionati: se di solito, infatti, il mondo che viene presentato è popolato da pochi superstiti, in lotta fra di loro, qui nessuno è destinato a scampare al disastro, e gli ultimi sopravvissuti, giustamente, non si combattono a vicenda, ma aspettano la fine nel ricordo del passato e delle occasioni perdute. Poca fantascienza, ma molta introspezione, ben sorretta da un cast formidabile (Gregory Peck, Ava Gardner, Fred Astaire, Anthony Perkins tra gli altri): è insieme il limite, e il maggior pregio di questo film, che, indubbiamente, è tra i pochi a poter essere apprezzato anche dai non appassionati. E che, altrettanto indubbiamente, riuscirà a farsi ricordare ancora per molto tempo.

1959 La vendetta del dottor K (Return of the fly) Bernds 5 7 7   6

Cosa succeda al malcapitato che decida di sperimentare il teletrasporto, ormai lo sanno tutti: inutile quindi, in questo seguito del primo La mosca, lasciare lo spettatore col fiato sospeso in attesa di vedere il risultato dell'incauto esperimento; il quale, peraltro, andrebbe anche a buon fine: ma stavolta la mosca di turno viene introdotta apposta nella cabina fatale! Autore di tanta malvagità è un amico (o presunto tale) dello scienziato, che ha deciso di rivendersi i piani del teletrasporto, e che non trova altro sistema per sbarazzarsi del suo socio. Ma gli andrà male: lo scienziato (l'ignoto Brett Halsey), figlio dello sventurato inventore del primo film, stavolta riesce, con l'aiuto dello zio (di nuovo, Vincent Price), a tornare umano. Dopo essersi vendicato, però, ...
Nell'insieme, un film accettabile, nonostante una trama spesso scontata e non priva di banalità; ovviamente, mancano la suspence e il senso di terrore che emanavano dal primo film: lo spettatore sa tutto, vede tutto, e non si spaventa più di tanto. Per di più gli effetti speciali sono appena sufficienti, e la vista dell'uomo-mosca, con la sua testa enorme e un po' troppo finta, non convince pienamente.
Ma l'idea di fondo, per quanto riciclata, rimane ottima: e la presenza di Vincent Price, per quanto sprecato nel suo ruolo (così come nel film precedente), basta da sola a nobilitare una pellicola altrimenti destinata a un probabile oblio.

1959 Viaggio al centro della Terra (Journey to the center of the Earth) Levin 8 7 7 5

Che negli anni '50, a Hollywood, Jules Verne andasse molto di moda, si era capito da tempo: ma si era anche capito che in America, dove il cinema è prima di tutto spettacolo, un suo libro non sarà mai adattato fedelmente per il grande schermo.
Viaggio al centro della Terra narra, come noto, di una spedizione scientifica che cerca di raggiungere il centro del pianeta partendo dal cratere di un vulcano spento in Islanda; dopo molte peripezie i protagonisti saranno spinti fuori da un'eruzione, per ritrovarsi in cima a un altro vulcano: lo Stromboli, in Sicilia. Ma, come già era accaduto con altri libri, e specialmente con Dalla Terra alla Luna, nel film viene meno lo spirito caratteristico del romanzo, vale a dire la trattazione scientifica e molto particolareggiata della vicenda, che ancora oggi la rende attuale (anche se non sempre credibile); viceversa gli aspetti spettacolari sono esaltati al massimo, anche più di quanto aveva fatto Verne: viene aggiunta la solita storia d'amore tra i protagonisti (James Mason e Arlene Dahl), e c'è perfino chi si mette a cantare (Pat Boone), rendendo il film più simile a un cartone animato della Walt Disney che a un'avventura mozzafiato come sarebbe dovuta essere.
Eppure, la genialità di Verne, e la sua potenza narrativa sono così incredibili, che nonostante tutto qualcosa del romanzo si riflette nel film, e questo risulta, anche se involontariamente, piuttosto interessante e ricco di spunti notevoli: fenomeno insolito, ma non così infrequente. Almeno allora: oggi vedere un film che offra più di quanto pretenda, specialmente in campo fantascientifico, è tristemente impossibile.

1960 L'uomo che visse nel futuro (The time machine) Pal 8 7 8 7 7  

Degli innumerevoli film di fantascienza tratti da famosi romanzi, L'uomo che visse nel futuro è probabilmente il più fedele in assoluto: tanto basta per farne un ottimo film, dato che il libro da cui è tratto è, senza alcun dubbio, tra le opere migliori di Herbert George Wells. Peccato che la trama non ruoti intorno al tema del viaggio nel tempo, come il titolo originale lascerebbe intendere: l'argomento principale è invece la descrizione dell'umanità in un lontanissimo futuro, poiché l'obiettivo del protagonista (Rod Taylor), che sperimenta una macchina del tempo che si è costruito da solo, e alla quale i suoi amici non credono, non è tanto andare alla ricerca di paradossi, quanto scoprire se davvero, un giorno, l'uomo riuscirà a superare i molti problemi che lo affliggono: grande sarà la sua delusione nello scoprire quanto diversa, invece, sarà la realtà. Alcuni uomini, infatti, rifugiatisi nel sottosuolo per sfuggire alle solite radiazioni atomiche, sono diventati simili a bestie feroci, e si nutrono dei superstiti rimasti in superficie, i quali vivono in completa apatia e in attesa del loro destino: il protagonista, schieratosi in difesa di questi ultimi, riuscirà a farli ribellare, e alla fine rimarrà con loro per costruire nuovamente una società civile.
Che Wells avesse del futuro una visione molto utopistica era ben noto, anche se forse non al grande pubblico; ma di certo lo spettatore di oggi, abituato a visioni apocalittiche e sempre pessimistiche di ciò che aspetta l'umanità, potrebbe stupirsi dell'ottimismo di fondo dello scrittore inglese; ma questi era vissuto in un'epoca di grandi scoperte e di grandi mutamenti, anche in campo sociale, e non è così strano che il suo eroe, invece di limitarsi a combattere contro qualche mostro, dia il meglio di sé aiutando i suoi simili in difficoltà. E per quanto il film, probabilmente, non sia tra i capolavori del genere, segna comunque uno dei momenti chiave del cinema di fantascienza: protagonisti dei film non sono più i mostri da combattere, ma gli stessi uomini, con tutti i loro problemi, evidentemente più interessanti e più ricchi di spunti di quanti ne offrissero i soliti alieni. Scelta felice, che ci regalerà capolavori indimenticabili: ma non irreversibile, purtroppo.

1960 Il villaggio dei dannati (Village of the damned) Rilla 8 7 8 7 6 7

L'inizio di questo film è tra i più straordinari che si si siano mai visti nel cinema di fantascienza: senza alcuna spiegazione, senza motivo apparente, uno schermo invisibile cala su un piccolo villaggio inglese, e tutti coloro che si trovano al suo interno, o cercano di penetrarvi, compresi i piloti degli aerei, si addormentano di colpo.
Così come è venuto, lo schermo scompare: e ben presto tutte le donne del villaggio scoprono di essere incinte; dopo una gravidanza insolitamente breve nascono dodici bambini, tutti biondi, quasi uguali fra di loro, e soprattutto dotati del potere di leggere i pensieri altrui e di costringere gli adulti a ubbidire alla loro volontà. E questa, purtroppo, si rivela ben presto malvagia: i bambini (evidentemente degli alieni) crescono molto più in fretta del normale, sviluppano una grande intelligenza, ma non socializzano con nessuno e, anzi, non esitano a provocare degli incidenti, anche mortali, a chiunque dia loro fastidio o gli manifesti ostilità. Alla lunga la situazione precipita, i morti aumentano, e alla fine il padre di uno di loro (un ottimo George Sanders), per evitare la distruzione dell'intero villaggio con armi a lunga gittata (come è capitato ad altre colonie analoghe, a quanto viene raccontato), si sacrifica portando personalmente una bomba tra i bambini, e resistendo fino al momento dell'esplosione ai loro tentativi di leggergli nella mente.
Pur soffrendo di una certa staticità (la trama alterna momenti di altissima tensione a lunghe e un po' prolisse discussioni sui bambini) il film tocca spesso livelli eccezionali: soprattutto l'inizio, come già scritto, e la fine, sono straordinari. E tutto questo senza altro effetto speciale che quello di rendere più chiari gli occhi dei bambini durante le manifestazioni dei loro poteri: ma una volta il cinema, specialmente quello europeo, si faceva con le idee, e i soldi risparmiati non erano certo a scapito della sceneggiatura.
Una volta, naturalmente.

1961 Il giorno dopo la fine del mondo (Panic in year zero) Milland   6 7 5 5 7
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1961 Hallucination (The damned) Losey   7 7 5 7 7
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1962 ... e la Terra prese fuoco (The day the earth caught fire) Guest 7 8 5 6  

Pochi effetti speciali per un film che, come tanti altri all'inizio degli anni '60, cerca strade nuove, inserirendosi comunque in un filone allora molto in voga: quello della catastrofe improvvisa che riduce l'umanità a un deserto, o quasi.
Pur non essendo il migliore, nel suo genere, il film di Guest affronta il tema da un punto di vista diverso dal solito: la catastrofe non è ancora avvenuta, ma non è inaspettata; infatti le solite esplosioni nucleari deviano la Terra dalla sua orbita, dirigendola verso il Sole, e la trama narra di come la notizia, dopo un'inchiesta giornalistica che accerta la verità, venga accolta dalla popolazione, e di cosa facciano gli scienziati per scongiurare la fine, mentre ogni giorno il calore aumenta, i fiumi si prosciugano, e le speranze sembrano svanire.
Un curioso finale ci mostra i giornalisti protagonisti della vicenda (Edward Judd e Janet Munro) mentre aspettano di sapere se altre quattro esplosioni nucleari sono riuscite a rimettere la Terra nella sua orbita: nel dubbio, sono state preparate due edizioni differenti del giornale, dai titoli diametralmente opposti; ma il film termina a questo punto e quale titolo debba rivelarsi quello giusto è lasciato all'immaginazione dello spettatore.
Forse il film, tutto sommato, è un po' lento; ma l'idea possiede un suo fascino, e non si può certo dire che Val Guest, regista dei migliori Quatermass, non abbia saputo sfruttarla. Tanto è vero che oggi avrebbero fatto infinitamente di peggio: basti pensare a Deep impact o ad Armageddon.

1963 Il giorno dei trifidi (The day of the triffids) Sekely 6 7 7 5 5

Tanto era buono il romanzo di John Wyndham da cui è tratto Il giorno dei trifidi, quanto è deludente il film: eppure la trama è fedele al libro, molto più di quanto accada di solito. Dov'è il problema, allora? Il romanzo, in realtà, non descrive un mondo assediato da creature mostruose, ma narra splendidamente la fine della civiltà, in seguito all'accecamento improvviso di tutti gli uomini dopo una pioggia di meteore: i trifidi, enormi piante carnivore sfuggite al controllo dopo la catastrofe, sono solo uno dei numerosi problemi che i pochi superstiti devono affrontare, e certo non il più grave.
Il film, invece, ricade nel solito cliché che vede una o più creture mostruose mettere in pericolo l'umanità, e, pur senza allontanarsi troppo dalla trama del romanzo, mette i trifidi al centro della narrazione, che si banalizza e perde quella sua carica angosciante che ne aveva fatto un capolavoro: un finale troppo ottimista peggiora ulteriormente le cose.
Pure, l'idea di base è talmente buona e così ben sviluppata che qualcosa, nel film, rimane: il ritmo e la tensione sono sempre a un buon livello, e se non fosse per un cast di perfetti sconosciuti (regista compreso), questa pellicola sarebbe forse ricordata tra le migliori degli anni '60. Periodo povero di buoni film, anche se alla fine ha prodotto i suoi capolavori.

1963 La stirpe dei dannati (Children of the damned) Leader   7 7 6 7
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1963 L'uomo dagli occhi a raggi X (X - the man with x-ray eyes) Corman 6 7 7 5 7

L'idea di Roger Corman, regista specializzato nel genere horror, e che passa temporaneamente alla fantascienza, è piuttosto originale: uno scienziato (il tormentato Ray Milland) inventa delle gocce in grado di potenziare la vista e, dopo averle sperimentate su sé stesso, comincia a vedere attraverso gli oggetti; ma questi nuovi poteri non gli danno la felicità, anzi: lo riducono a un fenomeno da baraccone, ricercato dalla polizia, evitato dalle persone normali, e per di più in preda a continui dolori. Inevitabile il drammatico finale: lo scienziato finirà per strapparsi quegli occhi causa di tante sofferenze.
L'originalità dell'idea sta nel mostrarci la lenta trasformazione, soprattutto psicologica, del protagonista, invece di indugiare sugli aspetti fantascientifici della sua scoperta: qualcosa di analogo, insomma, a quanto si era visto trent'anni prima ne L'uomo invisibile. Ma stavolta il risultato non è lo stesso: la trama procede per scossoni improvvisi, senza appassionare troppo lo spettatore, e questa tecnica, certo più adatta ai film dell'orrore a cui Corman tornerà ben presto, si rivela inadeguata al genere fantascientifico. Se non fosse per la presenza di Milland, il film sarebbe pressoché dimenticato, oggi.

1964 Base Luna chiama Terra (First men in the Moon) Juran   8 7 6  
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1964 S.O.S. naufragio nello spazio (Robinson Crusoe on Mars) Haskin 7 7    

Gli anni '60 sono stati, per quanto riguarda il cinema di fantascienza, un periodo di transizione: nessun capolavoro, anche a causa dei pochi mezzi a disposizione, ma una gran voglia di cercare strade nuove, di abbandonare i mostri che, con pochissime eccezioni, erano stati i protagonisti degli anni '50. Nascono così film come S.O.S. naufragio nello spazio, ricchi di ingenuità e talvolta anche di noia, ma, tutto sommato, dignitosi. Il film in questione narra l'odissea di un astronauta (lo sconosciuto Paul Mantee) che, naufragato su Marte, riesce a sopravvivere organizzandosi come Robinson Crusoe, e viene recuperato dopo molte vicende altamente improbabili (compreso l'incontro con un indigeno, battezzato, guarda caso, Venerdì): non dimentichiamo, infatti, che già allora si sapeva benissimo che su Marte non c'era abbastanza ossigeno, né acqua, né cibo per sopravvivere. Ma, già allora, molti film di fantascienza contavano sull'ignoranza degli spettatori per costruire storie assurde ma ricche di momenti avventurosi.
Tuttavia, stavolta le cose non vanno per il verso giusto: l'avventura c'è, indubbiamente, ma la storia di Robinson Crusoe, anche se riveduta e corretta, non è certo il massimo in fatto di azione o di suspence; per di più, il ritmo lento, e le molte incertezze della sceneggiatura rischiano di affossare completamente questo film che, probabilmente, aveva ben altre ambizioni. Ma queste, da sole, non bastano, e a volte non bastano nemmeno le idee: è la capacità di costruirci sopra delle trame avvincenti la chiave per realizzare un capolavoro. E questo film è solo uno dei tanti, e certo non il peggiore, di quelli che ci hanno provato. Invano.

1965 Agente Lemmy Caution missione Alphaville (Alphaville) Godard 6 7 7 7

Come girare un film di fantascienza ambientato su un altro pianeta senza avere effetti speciali a disposizione? La soluzione scelta dal geniale regista francese Jean-Luc Godard, allora all'apice della sua creatività, è semplice e bizzarra insieme: si "fa finta". E così, quando il protagonista dice "mi sto allontanando dal pianeta", lo spettatore lo vede, in realtà, alla guida della sua automobile lungo i viali periferici di Parigi; al posto della tuta spaziale indossa un trench da investigatore privato, e così via.
L'effetto risultante è stranissimo, forse più della trama stessa, che vede il famoso agente segreto Lemmy Caution, alla ricerca di uno scienziato scomparso, arrivare su Alphaville, un mondo governato da un computer che ha ridotto in schiavitù (mentale) tutti gli abitanti: solo dopo lunghe indagini il nostro eroe (interpretato come sempre dal grintoso Eddie Constantine) riuscirà a trovarlo e, ovviamente, a distruggerlo. E mentre l'agente segreto lascia il pianeta, gli abitanti di Alphaville escono lentamente dal loro stato di semincoscienza: per loro comincia una nuova vita.
Film a tratti affascinante, con dialoghi spesso superbi, e basato su idee estremamente originali (è il primo film in cui si vede un computer intelligente), Alphaville è però molto discontinuo, e la trama, non abbastanza curata, si perde spesso in divagazioni surreali del tutto fini a sé stesse. Godard non è certo un maestro del cinema fantascientifico, e probabilmente è più interessato agli aspetti simbolici della vicenda (quasi una ripresa di 1984) che non alla sua coerenza. Il risultato, in conclusione, è abbastanza buono: ma anche l'occasione perduta è enorme.

1965 La decima vittima Petri 7 8 7 7 5

Tra gli sport preferiti nella Roma del futuro c'è quello di darsi la caccia reciprocamente: più vittime si fanno, più si diventa ricchi e famosi; le cacce vengono riprese in diretta TV, come se fossero dei telequiz alla moda, e nessuno sembra preoccuparsi più di tanto: meglio per tutti che la violenza sia diventata semilegale e controllata, in fondo. Ma stavolta qualcosina non va per il dovuto: una famosa cacciatrice (Ursula Andress) finisce per innamorarsi della sua decima vittima (Marcello Mastroianni), e i due, dopo avere ingannato il pubblico, partono insieme per lidi lontani.
Un'idea geniale? Indubbiamente, anche se non è farina del sacco del regista Elio Petri, bensì di quello del grande scrittore Robert Sheckley: ma il regista, ben più noto per i suoi film di denuncia sociale, si è trovato evidentemente a suo agio nel trattare un soggetto così particolare: ottimi attori e un'ottima scenografia, in assenza di effetti speciali, danno sostanza a una trama robusta, anche se l'ambientazione romana non sembra proprio quella ideale; né guasta l'ironia di fondo del film, ironia quasi sempre presente anche nei racconti di Sheckley.
Quello che invece non funziona è il finale: la logica conclusione di una vicenda così "estrema" non poteva che essere drammatica, come Sheckley aveva saggiamente intuito; Petri, invece, decide inesplicabilmente di far trionfare l'amore fra i due protagonisti, rovinando quanto di buono si era visto nel corso del film, e quello che poteva diventare un piccolo capolavoro (specialmente in un periodo poverissimo di buoni film di fantascienza) si riduce ad una stramba variante delle commedie all'italiana.
Viene quasi il dubbio che i Bava e i Margheriti sapessero fare di meglio!

1965 Esperimento I.S.: il mondo si frantuma (Crack in the world) Marton 6 7 7 6  

Che gli esperimenti scientifici potessero combinare dei disastri era un fatto noto, almeno nell'ambito dei film di fantascienza: ma di solito era solo lo scienziato di turno e, al massimo, i suoi amici, a trovarsi nei guai. In questo film, invece, è l'intero pianeta a rischiare una brutta fine per l'incauto esperimento di un geologo (Dana Andrews), che spera di trovare una nuova fonte di energia nel magma sotterraneo: un'esplosione, infatti, apre nella crosta terrestre una spaccatura che si estende in modo incontrollabile, e bisognerà crearne una seconda, nel posto e nel momento giusto, per rimediare al disastro. Ciò nonostante, una parte della Terra finisce per staccarsi e formare una seconda Luna, e la possibilità che l'umanità non sopravviva alla catastrofe rimane alta. Di certo, chi non sopravvive è proprio lo scienziato, che a causa di precedenti esperimenti ha contratto un tumore, e a cui non resta che dire addio alla moglie.
Ambizioso e ricco di effetti speciali, Esperimento I.S. poteva diventare un buon film; ma un eccesso di moralismo sui pericoli della scienza, e alcune divagazioni inutili (per esempio, si parla troppo dei problemi sentimentali dello scienziato e di sua moglie) rendono la trama un po' noiosa e priva di vero interesse, nonostante l'impegno del regista e qualche sequenza decisamente spettacolare: ma da soli, i mezzi e l'impegno non bastano; ci vuole qualcos'altro, qualcosa che questo film, come tanti altri negli anni '60, non possiede.

1965 Terrore nello spazio Bava   6 7 7 5 7
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1965 Viaggio allucinante (Fantastic voyage) Fleischer 9 7 7 8

Gravemente ferito in un incidente d'auto, un famoso scienziato entra in coma: per salvarlo bisognerebbe rimuovere un ematoma dal suo cervello, ma l'intervento ha scarse possibilità di successo ... a meno che non venga sperimentata seduta stante l'invenzione a cui lui stesso stava lavorando: un sistema per miniaturizzare gli esseri viventi. Detto fatto: un'equipe di medici, a bordo di un sottomarino, viene ridotta a dimensioni microscopiche e iniettata non troppo lontano dall'ematoma; ma ai numerosi pericoli della missione si aggiungono diversi errori di rotta e persino la presenza a bordo di un traditore (al servizio di una potenza straniera), ed è solo all'ultimo momento che i protagonisti dell'incredibile avventura riescono a salvare la vita del collega, dopo aver rischiato la loro: la miniaturizzazione, infatti, dura solo un'ora, dopo di che si riprendono le normali dimensioni, con conseguenze facilmente immaginabili.
Alla sua uscita, questo film fu salutato come un grande capolavoro, in parte a causa degli effetti speciali, sbalorditivi per l'epoca, e oltretutto molto particolari (l'interno di un corpo umano non era mai stato mostrato), in parte per l'originalità della storia, tratta da un romanzo di Isaac Asimov; e in parte anche per l'esordio di un'attrice che avrebbe fatto furore negli anni seguenti: Raquel Welch, nelle parti di una procace infermiera. Ma molti anni dopo la sua uscita Viaggio allucinante non gode più dello stesso favore: gli effetti speciali mirabolanti sono ormai all'ordine del giorno, mentre quelli del film ricordano più i deliri psichedelici degli anni '60 che l'anatomia umana; la storia mostra molti punti deboli, e Raquel Welch, ormai passata di moda, è finita nel dimenticatoio insieme con molte sue colleghe.
Ciò non toglie che Viaggio allucinante sia probabilmente il miglior film di fantascienza degli anni '60, almeno fino all'arrivo dei grandi capolavori che hanno chiuso quel decennio, e che, tutto sommato, gli devono più di quanto sembri: ancora oggi, la trama particolarmente avvincente, e l'idea di partenza, realmente innovativa, danno a questo film un fascino particolare: e anche se, in seguito, il tema del viaggio all'interno del corpo umano è stato ripreso con risultati più che dignitosi (basti pensare a Salto nel buio), lo spettatore non ha più ritrovato le stesse emozioni. Forse, i critici dell'epoca non avevano tutti i torti!

1966 Fahreneit 451 (Fahreneit 451) Truffaut 7 7 8 9 6 7

Per adattare al grande schermo il celebre romanzo di Ray Bradbury Fahreneit 451 scende in campo addirittura il grande regista francese François Truffaut; il risultato, come c'era ada aspettarsi, è notevole, per quanto il libro, dai ritmi lenti e misurati, non sia certo il più adatto alla trasposizione cinematografica
Oskar Werner, tra gli attori preferiti di Truffaut, impersona Montag, il "pompiere" incaricato non tanto di spegnere incendi, quanto di appiccare il fuoco ai libri, di qualsiasi cosa parlino: leggere, infatti, è severamente proibito, nell'orribile società futura descritta da Bradbury, e in cui la televisione, per di più interattiva, regna sovrana. Ma alla fine Montag comprenderà quanto sia assurdo il suo incarico, e passerà dall'altra parte della barricata, unendosi alla "resistenza": un gruppo di persone che, invece di intraprendere azioni violente per cambiare lo stato delle cose, passa il suo tempo imparando a memoria quei libri che si vorrebbero bandire, per conservarli e tramandarli fino al giorno in cui leggere sarà di nuovo permesso.
Un capolavoro? No, un buon film, con degli ottimi attori (fra cui anche Julie Christie): nel panorama non esaltante degli anni '60, tra molti film incerti sulla strada da prendere, e in attesa del capolavoro che avrebbe risollevato le sorti del genere, Fahreneit 451 è comunque un punto fermo, e un magnifico esempio di come la fantascienza possa abbandonare lo spettacolo e l'azione offrendo in cambio riflessioni non banali. Ma per un vero capolavoro bisognerà aspettare che Kubrick finisca di lavorare a 2001: ancora due anni, e la fantascienza ritroverà, finalmente, la strada smarrita.

1967 Anno 2118 progetto X (Project X) Castle 7 7 5 5  

Esistono (spesso) film ambiziosi, girati senza badare a spese, che si risolvono in un insuccesso di critica, e talvolta anche di pubblico; ed esistono film modesti, girati in economia, che invece (raramente) si rivelano migliori di quanto ci si aspetterebbe. Anno 2118 progetto X è uno di questi ultimi.
Siamo in un futuro abbastanza lontano, e le cose, al solito, non vanno bene: il mondo è sempre diviso in blocchi contrapposti, anche se i cattivi, stavolta, sono i cinesi; niente di strano, quindi, che il blocco occidentale infiltri un agente in quello orientale, col compito di scoprire quali armi stia sviluppando. La missione sembra riuscire: l'agente (Christopher George), dopo aver ritrovato e liberato un collega, sta infatti tornando in patria, quando all'improvviso comunica, via radio, di avere scoperto qualcosa di terribile; ma prima di poter spiegare di cosa si tratti, subisce un misterioso incidente che gli fa perdere la memoria. Affidato alle cure di un'equipe di psicologi, viene "sondato" durante il sonno per molti giorni, fino alla completa ricostruzione di quanto gli è accaduto nel corso della missione, e fino, soprattutto, al notevole colpo di scena finale, con cui si scopre finalmente quale minaccia grava sull'Occidente, e qual era stata la causa della perdita della memoria.
Pochi effetti speciali, ma ingegnosi, e soprattutto il colpo di scena finale fanno dimenticare una trama non sempre avvincente, e che spesso tradisce la mancanza di mezzi; probabilmente, un po' più di convinzione da parte degli sceneggiatori avrebbe fatto di questo film uno dei pochi capolavori degli incerti anni '60: ma anche così Progetto X dà molti punti alla maggior parte delle pellicole di quel decennio: ennesimo esempio di come delle buone idee bastino, e avanzino. Esempio oggi dimenticato, purtroppo.

1967 L'astronave degli esseri perduti (Quatermass and the pit) W. Backer 6 7 8 7 7 8

Se il romanzo in questione è effettivamente il migliore della serie sul professor Quatermass, non lo è invece il film che ne è stato tratto, nonostante molti appassionati pensino il contrario. Stavolta, comunque, il pericolo non viene dallo spazio: nel corso di scavi nel sottosuolo di Londra viene rinvenuta un'astronave con a bordo i cadaveri di alcuni marziani (dall'aspetto di orribili insettoni) i quali, si viene a scoprire, si recavano regolarmente sulla Terra in tempi remoti; i guai cominciano quando l'astronave emette una misteriosa radiazione che fa impazzire tutti coloro che si trovano nelle sue vicinanze, e che si abbandonano a ogni sorta di violenze: per fortuna Quatermass, prima che la situazione precipiti, troverà il rimedio.
L'eccellente idea, peraltro più adatta a un romanzo che ad un film, non viene valorizzata adeguatamente dal mediocre regista Ward Backer, oltretutto privo del carismatico Brian Donlevy nel ruolo di Quatermass (qui interpretato da Andrew Keir): la tensione quasi cerebrale, che nel libro procede a forza di scoperte successive, svelando lentamente un mistero che diventa sempre più inquietante, non ha la stessa efficacia nel film, dove tutto viene mostrato sullo schermo, e per di più per mezzo di effetti speciali che sono poco più di trucchi da baraccone; l'inquietudine e l'orrore che si impadronivano lentamente del lettore non riescono a prendere forma: la trama non decolla mai e lo spettatore, specialmente quello più smaliziato dei nostri giorni, rimane insoddisfatto. Quando non deluso del tutto.

1967 Barbarella Vadim   7 7 5 6
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1967 Il pianeta delle scimmie (Planet of the apes) Shaffner 7 9 7 7 8

Un'astronave nello spazio, con a bordo tre uomini e una donna, tutti ibernati tranne il comandante George Taylor (Charlton Heston): questi, prima di ibernarsi a sua volta, registra un messaggio che permette allo spettatore di capire come la missione sia destinata a raggiungere, di lì a molti anni, un pianeta lontanissimo.
Comincia così uno dei capolavori del cinema di fantascienza, che dà una profonda sterzata al genere dopo anni di incertezza: e che si tratti di un film diverso dal solito lo si scopre quasi subito, quando l'astronave (chissà quanto tempo dopo) precipita su un pianeta sconosciuto, ma dotato di un'atmosfera respirabile. I tre astronauti (la donna è morta, forse per un guasto all'impianto d'ibernazione) cominciano l'esplorazione del pianeta, e s'imbattono ben presto in alcuni esseri umani, che sembrano regrediti a uno stadio primitivo: quel che è peggio, scoprono che la zona è abitata da scimmie intelligenti, il cui principale divertimento sembra essere quello di dare la caccia agli uomini. Uno dei tre è ucciso, un altro gravemente ferito, mentre Taylor viene catturato, e per lui comincia un incubo: considerato un pericoloso mutante per il solo fatto di poter parlare, sta per essere vivisezionato quando due scienziati, che lo hanno preso in simpatia, lo aiutano a fuggire; dopo molte peripezie, l'astronauta scopre dapprima i resti di una civiltà chiaramente umana, che sembra essere stata distrutta da una grande catastrofe, e infine si ferma di fronte a un relitto che emerge da una spiaggia: è ciò che rimane della Statua della Libertà, che gli rivela come il misterioso pianeta sia proprio la Terra, sulla quale, evidentemente, l'astronave è ricaduta dopo che le scimmie hanno preso il sopravvento sugli ultimi superstiti della razza umana.
Un finale memorabile, tra i più belli di tutta la storia del cinema; un'idea estremamente originale, una trama ricca di tensione e di colpi di scena e, soprattutto, una straordinaria interpretazione di Charlton Heston rendono assolutamente unico questo film: e se è certamente vero che le complesse truccature, necessarie per trasformare gli attori in scimmie, sono passate alla storia del cinema del fantascienza, molto di più merita la sceneggiatura, tratta da un romanzo dello sconosciuto scrittore francese Pierre Boulle. Purtroppo, quando si tratta di fantascienza, non è mai la sceneggiatura a vincere i premi: e anche questo film, vincendo l'Oscar per gli effetti speciali, non ha fatto eccezione.
A tanti anni di distanza, la situazione è sempre la stessa: ma i produttori, ormai consapevoli della situazione, investono solo in effetti speciali; e film come Il pianeta delle scimmie sono spariti da tempo dalla circolazione.

1967 S.O.S. i mostri uccidono ancora (Island of terror) Fisher 5 6 5 5 6

Peter Cushing e Edward Judd sono due scienziati che si recano su un'isola al largo della costa inglese per indagare su alcune morti misteriose: scopriranno ben presto che i responsabili sono degli altri scienziati (peraltro tra i primi ad averci lasciato la pelle) che, nel tentativo di creare nuove forme di vita da usare nella cura dei tumori, hanno invece generato dei mostri che si nutrono delle ossa degli altri esseri viventi. Una buona dose di radiazioni, dopo molti altri morti (e un braccio amputato a Peter Cushing) risolverà il problema. Forse ...
Ciò che stupisce, in questa pellicola peraltro interessante, e dalla trama serrata e ricca di suspence, è che, con film come 2001 già in lavorazione, per non parlare di Alphaville o Viaggio allucinante, nelle sale ormai da anni, ci sia ancora spazio per il vecchio tema del mostro assetato di sangue che mette in pericolo l'umanità: e in effetti, prima di rivedere un altro film del genere, e di buon livello, bisognerà aspettare fino ad Alien. I mostri uccidono ancora, forse, non sarà un capolavoro, ma di sicuro è il canto del cigno di un'epoca che, considerati i mezzi a disposizione, ne ha saputo produrre un numero altissimo.

1968 2001: odissea nello spazio (2001: a space odissey) Kubrick 10 10 10 10 10

2001: odissea nello spazio è un po' lo spartiacque del cinema di fantascienza, il film che ha reso adulto il genere e lo ha fatto uscire dal ghetto in cui era sempre stato confinato. Ma se tutti concordano su questo punto, pochi si rendono conto di quale sia la vera causa: non il fatto che 2001, capolavoro di Stanley Kubrick e miglior film di fantascienza di tutti i tempi, abbia incantato il mondo intero con le sue immagini surreali e al limite del psichedelico, con il suo ritmo lentissimo, e con l'affascinante colonna sonora; ma il fatto che questo film, per la prima volta, abbia mostrato come fosse possibile realizzare degli effetti speciali così realistici e ben curati da accrescere i pregi della trama, portandola a un livello forse superiore ai suoi stessi meriti.
Dopo 2001 non avremmo più visto, in un film di fantascienza, sfondi di cartapesta, mostri di plastica più ridicoli che paurosi e giocattoli al posto delle astronavi: dopo 2001, insomma, si comincia a fare sul serio.
Ciò non toglie, naturalmente, che 2001 sia un film eccezionale, frutto dell'incontro di due geni: il primo è ovviamente Stanley Kubrick, il secondo è il celebre scrittore di fantascienza Arthur Clarke, che ha lavorato alla sceneggiatura, dilatando il suo racconto La sentinella e costruendo una trama intrigante e complessa, che ruota intorno alle apparizioni di un misterioso monolito nero: comparso sulla Terra in epoca remotissima, infonde l'intelligenza nelle scimmie, dando inizio alla storia dell'uomo; ritrovato sulla Luna poco prima del 2001, è la causa della prima missione umana verso Giove, in direzione del quale emette segnali. Ed è proprio questa missione la parte più importante della storia, che vede cinque astronauti (tre dei quali ibernati), sotto la supervisione dell'intelligenza artificiale HAL 9000, dirigersi verso il pianeta gassoso a bordo della Discovery, astronave tanto gigantesca quanto affascinante. Ma HAL 9000, impazzito misteriosamente, uccide quattro dei cinque astronauti, finché l'ultimo superstite, il comandante David Bowman (Keir Dullea), non riesce a disattivarlo e a portare a compimento la missione, scendendo su Giove: dove, in un finale enigmatico e di difficile comprensione, incontra sé stesso, invecchia, muore, e infine rinasce, lo sguardo perduto sulle meraviglie dell'universo.
Dire perché una trama così complessa e ricca di spunti mistici e filosofici abbia avuto un successo strepitoso, è difficile; conta di più il ritmo, così lento da riuscire quasi insopportabile, o la solennità delle immagini e della musica? E il finale, è davvero così incomprensibile o racchiude segreti così profondi da risultare praticamente inaccessibili?
L'unanime trionfo di pubblico e di critica (per una volta), ci dà la risposta: 2001 è un film così straordinario da non poter essere giudicato con i parametri consueti; anzi, non può neppure essere considerato cinema: è arte allo stato puro. E Kubrick non è meno grande di Michelangelo.

1968 I due mondi di Charly (Charly) Nelson 6 7 9 7 6 7

Trarre un film dal celebre romanzo di Daniel Keyes Fiori per Algernon, tutto raccontato in soggettiva, non era affatto facile: e non stupisce, infatti, che il risultato non sia quello sperato. Qual è il punto di forza del libro? La perfezione con cui, pagina dopo pagina, ci viene mostrato come aumenti l'intelligenza di Charlie Gordon, un minorato mentale sottoposto ad un'operazione che dovrebbe renderlo un genio: la lentissima evoluzione delle cose che scrive nel suo diario, che passano gradualmente da poche frasi elementari e sgrammaticate a complesse dissertazioni filosofiche, e poi seguono il cammino inverso, non appena gli effetti dell'operazione (purtroppo solo temporanei) cominciano a svanire, è un autentico capolavoro di stile narrativo.
Ma tale stile, scarsamente adatto al linguaggio cinematografico, va perduto nel film, che semplifica eccessivamente la vicenda mostrandoci solo due degli "stati" del protagonista: dapprima quello iniziale, quando Charlie Gordon è ancora stupido, e in seguito quello intermedio, quando è già diventato un genio: solo una piccola parte del film è dedicata alla "crescita", e nulla si vede della "decadenza", forse perché considerata superflua (o forse troppo deprimente?); ma così facendo la trama diventa noiosa e si trascina stancamente senza sussulti: il povero Charlie Gordon, quasi sempre uguale a sé stesso, diventa un personaggio poco interessante, e solo la grande interpretazione di Cliff Robertson (premio Oscar per questo film) e, naturalmente, l'idea di base, tengono in piedi una pellicola altrimenti destinata a un rapido oblio.

1969 Abbandonati nello spazio (Marooned) Sturges   5 6 5 5 5
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1969 L'altra faccia del pianeta delle scimmie (Beneath the planet of the apes) Post 7 7 5 5 6

Inevitabile seguito del grandioso Il pianeta delle scimmie, questo film non è poi così scadente come pensa la maggior parte dei critici: anzi, il tentativo di sfruttare fino in fondo i lati più oscuri e misteriosi del film precedente arricchisce la vicenda di spunti originali e interessanti, e solo una regia mediocre e disattenta gli impedisce di diventare un piccolo capolavoro.
Avevamo lasciato Taylor (Charlton Heston) e Nova (Linda Harrison) diretti verso la misteriosa "zona proibita", ma all'inizio del film ritroviamo solo la ragazza: Taylor è scomparso, mentre sulla scena compare un altro astronauta, Brent (James Franciscus), arrivato sul pianeta alla ricerca dei colleghi; dopo avere incontrato Nova, anche lui viene catturato dalle scimmie, ma grazie all'aiuto dei soliti Cornelius e Zira riesce a fuggire, e arriva a sua volta nella "zona proibita", e poi nel sottosuolo, dove riconosce i resti della metropolitana di New York. Il sottosuolo è abitato da alcuni uomini, scampati (a costo di orrende mutazioni) alle guerre nucleari che hanno distrutto la civiltà: ma, ormai resi folli dalla loro situazione, i superstiti custodiscono gelosamente una pericolosa bomba atomica, ancora funzionante e innescata. Brent, nuovamente catturato, si riunisce a Taylor, e sta progettando la fuga quando un esercito di scimmie, capeggiato da Zaius, fa irruzione nel mondo sotterraneo: nella carneficina che segue i due uomini vengono uccisi, ma Taylor, prima di morire, aziona la bomba: per la Terra è la fine.
Ma non per la serie, che si arricchirà di altri tre seguiti, di livello sempre decrescente, e privi della presenza carismatica di Charlton Heston: ma realizzare un seguito di buon livello è già un miracolo, e i miracoli, come noto, non si ripetono.

1969 Doppia immagine nello spazio (Doppelganger) Parrish 6 8 7 5  

Alla base di questo film semisconosciuto c'è un'idea veramente interessante: l'esistenza di un pianeta gemello della nostra Terra, e situato sulla stessa orbita, ma dalla parte opposta del Sole, in modo da risultare sempre invisibile. Che sorpresa per l'astronauta inviato in esplorazione (lo sconosciuto Roy Thinnes), nonché per lo spettatore, scoprire che questo pianeta è in tutto e per tutto speculare al nostro: abitanti identici, stessi comportamenti, vicende del tutto simili o forse addirittura identiche: infatti anche da questo pianeta è partito, alla volta della Terra, il "doppio" dell'astronauta, che, presumibilmente, sta vivendo la stessa, assurda avventura.
Purtroppo alcune cose, sul pianeta, sono realmente speculari, e funzionano a rovescio, come gli organi del corpo umano, o certi macchinari: e così, quando l'astronauta, una volta resosi conto della situazione, cerca di tornare sulla Terra, una serie di problemi tecnici glielo impedisce, e la spedizione finisce tragicamente.
Complessivamente, un buon film; ma l'idea di base risulta fin troppo geniale, al punto di non poter essere sviluppata in modo adeguato: meno che mai con un gruppo di attori quasi ignoti, e una regia appena sufficiente. Alla fine il film si lascia vedere, crea un certo interesse, ma non decolla veramente: è come se i suoi autori non abbiano creduto fino in fondo nelle sue potenzialità. Peccato, perché le premesse erano eccellenti.

1969 L'uomo che fuggì dal futuro (THX 1138) Lucas   7 7 7 8
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1970 2000 la fine dell'uomo (No blade of grass) Wilde   5 5 5  
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1971 Andromeda (The Andromeda strain) Wise 7 7 7 7 7 6

Primo dei molti film tratti dai romanzi di Michael Crichton, Andromeda è già uno dei migliori: la storia, semplice e ricca di suspence, narra dell'arrivo sulla Terra di un misterioso virus, penetrato in un satellite militare in orbita intorno al nostro pianeta; al suo rientro, la gente incomincia a morire. Subito una speciale equipe di medici, capeggiata dal dr. Jeremy Stone (Arthur Hill) entra in azione: il virus viene isolato e studiato, e gli unici due superstiti del villaggio in cui il satellite è caduto vengono messi in quarantena; il tutto in un gigantesco laboratorio sotterraneo, costruito appositamente per le emergenze sanitarie. Dopo un lungo periodo di studio, il virus sembra sfuggire al controllo degli scienziati: ma poiché nel frattempo si è mutato, si scopre che è anche diventato innocuo, e la catastrofe viene scongiurata. Almeno fino all'emergenza successiva.
La storia è molto fedele al romanzo di Crichton, e si vede: trama lineare, priva di fronzoli, ritmo lento, descrizioni accurate delle procedure scientifiche e di quelle di sicurezza, cura dei dettagli e pochi effetti speciali. Tutto questo fa di Andromeda un film eccellente ma, nello stesso tempo, è il suo limite: il pericolo non sembra reale, e non c'è un vero protagonista col quale lo spettatore possa identificarsi; gli scienziati sembrano più dei burocrati preoccupati di rispettare gli ordini (o di farli rispettare) che degli uomini che hanno nelle loro mani il destino dell'umanità. D'altra parte, questo è sempre stato il principale difetto dei libri di Crichton, e il motivo per cui lo scrittore, pur così popolare, non gode di grande stima tra gli appassionati di fantascienza. E forse Wise avrebbe dovuto tenerne conto, nel girare questo film: ma i tempi di Spielberg, che col suo Jurassic Park mostrerà di aver capito la lezione, erano ancora lontani.

1971 2002 la seconda odissea (Silent running) Trumbull 7 7 8 7 7 7

Douglas Trumbull, che aveva lavorato con Kubrick agli effetti speciali di 2001, decide, con questo film, di passare personalmente alla regia, e con risultati piuttosto buoni, anche se il successo non sarà quello sperato: il film di Kubrick era stato l'opera di un genio, e Trumbull non lo è.
Peraltro, l'accostamento a 2001, accentuato dal titolo italiano, è fuori luogo: la vicenda si muove su binari completamente diversi, e la corsa silenziosa del titolo originale si riferisce a una cupola spaziale, lasciata andare alla deriva nello spazio dal suo custode. La trama del film, infatti, ruota intorno al destino di questa cupola, che fa parte di una serie destinata a contenere, come un'arca di Noè, campioni di tutte le specie animali e vegetali della Terra, ridotta al solito deserto arido e cementificato; quando giunge l'ordine di distruggere le cupole per recuperare le astronavi che le trasportano, uno dei custodi (l'allora famoso ma oggi dimenticato Rip Dern) uccide i compagni e cerca di perdersi nello spazio; ritrovato, si uccide a sua volta e lancia la cupola, affidata alle cure di un piccolo robot, verso l'infinito.
Film che oggi passerebbe inosservato, 2002 non ha certo il suo punto di forza nella trama, che procede lentamente e non senza incongruenze: ma il senso di poesia che a tratti si avverte, la malinconia della vicenda e la profonda umanità del protagonista (che pure ha ucciso tre persone) non si scordano facilmente; come pure il finale, che nonostante lasci molto amaro in bocca è pieno di speranza come in pochi altri film.
Tutte qualità ormai dimenticate, oggi.

1971 Fuga dal pianeta delle scimmie (Escape from the planet of the apes) Taylor   8 7 6 6
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1971 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra (The omega man) Sagal 7 7 5 6

Una guerra batteriologica sfuggita al controllo di chi l'ha scatenata causa l'estinzione del genere umano: quando il medico militare Robert Neville scopre un vaccino è ormai troppo tardi, e non c'è più nessuno in grado di servirsene.
Comincia così uno dei film di fantascienza più affascinanti degli anni '70, di certo il migliore, insieme con L'ultima spiaggia, fra tutti quelli che hanno trattato il tema del cosiddetto "dopobomba": l'umanità sterminata da qualche catastrofe improvvisa (di solito la guerra nucleare), e pochi superstiti che vagano tra le macerie cercando di sopravvivere. Questo film, che arriva buon ultimo ad occuparsi dell'argomento, brilla tuttavia per la geniale (e particolarmente sinistra) trovata relativa al destino dei superstiti: costoro, infatti, diventati simili a dei vampiri, non sopportano più la luce del sole, e girano solo di notte cercando di uccidere Neville, simbolo, ai loro occhi, di quella scienza che ha condotto il mondo alla catastrofe; a sua volta Neville gira solo di giorno, li cerca e li uccide, non sapendo che altro fare per poter sopravvivere. Ma quando finalmente incontra dei superstiti ancora immuni dalla malattia, riesce finalmente a mettere a punto un siero in grado di far guarire chiunque ne sia stato colpito, "vampiri" compresi: questi, tuttavia, si rifiutano di credergli e in un drammatico finale riescono infine a ferirlo mortalmente; ma Neville, prima di morire, avrà ancora la forza di uccidere il loro capo e di consegnare il prezioso siero agli ultimi superstiti: forse l'umanità potrà rinascere a una nuova vita.
Tutto sommato, un film non molto originale: del resto l'idea che i pochi superstiti diventino dei mutanti, in guerra perenne contro pochissimi "normali", è quasi sempre presente nei film o nei romanzi che trattino del "dopobomba"; ma la drammaticità della trama, la lotta solitaria e disperata del protagonista, e soprattutto la straordinaria interpretazione che ne dà Charlton Heston riscattano ampiamente la debolezza dell'idea. Ne facessero ancora, di film così poco originali!

1972 Horror express (Panico en el transiberiano) Martin 6 8 5 6 5

Singolare film, girato con pochissimi mezzi e presto dimenticato, Horror express vanta, innanzitutto, la presenza di quella che un tempo era una delle coppie più famose del cinema horror: Peter Cushing e Christopher Lee; ma soprattutto riesce a riciclare in modo piuttosto efficace la vecchia idea dell'alieno che si impossessa di un essere umano, e che per questo risulta molto difficile da smascherare e uccidere.
L'alieno in questione è un umanoide, ritrovato in Siberia da Christopher Lee (che lo ritiene l'anello mancante nella catena evolutiva), e trasportato in treno verso luoghi più civilizzati: risvegliatosi durante il viaggio, si trasferisce più volte da un essere umano all'altro (attraverso lo sguardo), evitando così di venire ucciso; alla fine, dopo innumerevoli morti e lunghi momenti di terrore, i pochi superstiti riescono a distruggerlo dandogli fuoco.
Nonostante una regia mediocre e qualche ingenuità di troppo, Horror express anticipa stranamente quello che sarà il capolavoro del genere: La cosa di John Carpenter; e pur non raggiungendo la ricchezza di idee e i terrificanti effetti speciali che faranno di quel film un capolavoro assoluto, offre comunque allo spettatore una trama ricca di tensione e di colpi di scena, nonché una buona prova degli attori, compresi quelli meno famosi.
E se invece che spagnolo fosse stato un film americano, c'è da scommettere che avrebbe spopolato al botteghino!

1972 Solaris (Soljaris) Tarkovski 7 9 9 9 ?

Un film che forse non sarebbe mai arrivato sui nostri schermi, se non fosse stato per il successo di 2001, è Solaris, del geniale regista russo Andrej Tarkovski: presentato un po' stupidamente come la "risposta sovietica" al film di Kubrick (col quale, peraltro, ha realmente qualcosa in comune), i suoi ritmi lentissimi hanno spaventato a tal punto i nostri distributori da indurli a tagliare quasi un'ora di pellicola: il prevedibile risultato è stato quello di offrirci un film dai ritmi sempre lenti, ma in compenso più brutto e meno comprensibile.
Comunque, la trama, basata su un'idea semplice ma interessante, vede il protagonista, uno scienziato rimasto vedovo da poco tempo (Donatas Banionis), recarsi a studiare il lontano pianeta Solaris, e scoprire che questo è una forma di vita intelligente e ricettiva alle sue emozioni, addirittura in grado di far materializzare le sue fantasie: dopo la comparsa di un clone della moglie (Natalya Bondarchuk), che sembra anche acquistarne, col passare del tempo, i sentimenti, lo scienziato accetta la situazione, e il finale lo vede, finalmente felice, sulla superficie del pianeta, che ha creato per lui un angolo del suo vecchio mondo, con tanto di fattoria e giardino.
Certamente il miglior film di fantascienza russo, Solaris è tuttavia privo del fascino di opere come 2001, e pur offrendo allo spettatore una serie di riflessioni non banali sul senso della vita e sulla felicità, non riesce veramente a decollare, appesantito dai ritmi lenti e da dialoghi noiosi e poco brillanti: se mai sfida c'è stata, è Kubrick a vincerla, mentre Tarkovski avrà modo di esprimere la sua genialità, in seguito, in film di tutt'altra natura.

1973 2022: i sopravvissuti (Soylent green) Fleischer 6 7 6 8

Alla fine di questo film Edward G. Robinson, un uomo anziano con molti ricordi, sceglie serenamente il suicidio; né gli si può dare torto, alla luce del tetro, squallido futuro che ci viene descritto, e che nulla sembra poter cambiare: meno che mai gli sforzi di un poliziotto suo amico (un grandissimo Charlton Heston), impegnato a trovare l'assassino di un pezzo grosso, e che scoprirà molte più cose di quelle che avrebbe dovuto. Ma invano: verrà ucciso senza aver potuto rivelare le sue scoperte (anche se allo spettatore viene lasciato un filo di speranza) e il mondo, ormai ridotto alla fame a causa della distruzione di tutte le risorse naturali, starà sempre peggio.
Dei numerosi film di fantascienza che hanno affrontato, negli anni '70, il tema del futuro dell'umanità, I sopravvissuti è indubbiamente il migliore, e il più pessimista. Straordinaria è l'efficacia con cui viene descritto lo squallore del mondo futuro, ridotto alla fame o a misere razioni di cibo sintetico, e in cui un'esistenza normale (secondo i parametri attuali) è diventata un lusso riservato alla classe dirigente: particolarmente significativa la scena in cui Edward G. Robinson, per quanto vecchio e debole, pedala su una dinamo per avere un po' di elettricità. Per non parlare della commovente scena del suo suicidio, in un apposito istituto, allietato da immagini del passato scomparso: mari, montagne, animali.
Tutto questo senza il minimo effetto speciale. Basta la normalità, stravolta e ridotta a lusso, per colpire allo stomaco lo spettatore molto più di qualsiasi mostro o astronave. E bastano due attori, tra i più grandi mai esistiti, per farci dimenticare i personaggi "virtuali" tanto di moda oggi.

1973 Fase IV: distruzione Terra (Phase IV) Bass 7 5 7 8

In una base scientifica sperduta nel deserto dell'Arizona, alcuni ricercatori studiano il comportamento anomalo delle formiche: queste, infatti, stanno sviluppando un'intelligenza sempre maggiore, tale da mettere in pericolo l'esistenza stessa dell'uomo. E nonostante gli sforzi degli scienziati (capeggiati dallo sconosciuto Nigel Davenport), nessuna soluzione viene trovata: i sistemi usati per distruggere le formiche (veleni, ultrasuoni) vengono resi inefficaci uno dopo l'altro; quelli usati per comunicare si rivelano inutili, e alla fine la base viene distrutta e i ricercatori uccisi o addirittura catturati: adesso saranno le formiche a studiare loro!
Se indubbiamente è vero che Fase IV è il primo di una lunga serie di film che ci mostrano animali di ogni genere (di solito insetti) mettere in pericolo l'umanità, è anche vero che questo è l'unico che, invece di limitarsi a mostrare gente massacrata o fatta a pezzi, cerchi invece di catturare l'attenzione dello spettatore servendosi di un approccio scientifico: le formiche di Fase IV non vengono combattute aprioristicamente, ma vengono innanzitutto studiate; e lo stesso faranno loro nei nostri confronti.
Inevitabile, in un film con questa impostazione, un successo inferiore ai propri meriti: ma bisogna anche dire che la trama, spesso lenta e macchinosa, e la quasi totale mancanza di azione non aiutano le buone intenzioni degli autori. Il dubbio che, nonostante tutto, siano migliori i B-movies degli anni '50, quelli con formiconi, lucertoloni e ragni giganteschi, non può non venire. Anche se, in fondo, Fase IV rimane un buon film.

1973 Kobra (Sssssss) Kowalski 6 4 8 5 5  

Per Dirk Benedict, fare l'assistente di uno scienziato pazzo (Strother Martin) risulta gratificante e pericoloso al tempo stesso: gratificante in quanto la figlia dello scienziato (Heather Menzies) si innamora di lui; pericoloso, invece, poiché finisce per diventare egli stesso oggetto di strani esperimenti.
Ma di quali esperimenti si tratta? Incredibile ma vero, lo scienziato vuole trasformare gli uomini in serpenti, convinto che l'intelligenza dei primi, unita alla pericolosità dei secondi, possa creare una specie di razza superiore: e alla fine riesce nel suo intento, trasformando il povero assistente in un cobra. Ma, subito dopo, l'intervento della polizia, e qualche fucilata ben assestata, pongono fine alla sua carriera di serpente intelligente, nonché alla storia d'amore con la ragazza, che pur avendo intuito quanto stava per accadere, non può far nulla per evitare il peggio.
Film non particolarmente interessante, ma nello stesso tempo privo di veri punti deboli, a parte l'assurdità dell'idea iniziale, Kobra può vantare una trama con qualche momento di suspence, degli effetti speciali piuttosto buoni, e un finale impressionante anche se discutibile. Negli anni '50 questo film sarebbe diventato un cult-movie; ma vent'anni dopo ...

1973 Il mondo dei robot (Westworld) Crichton 8 7 7 7

Nei primi anni della sua carriera di scrittore, Michael Crichton girava anche qualche film, di tanto in tanto; e con ottimi risultati, come dimostra Il mondo dei robot, storia inquietante ma realistica incentrata su un avveniristico villaggio vacanze abitato da sofisticati androidi, il cui compito è quello di intrattenere i turisti dando loro l'illusione di vivere nel mondo dei loro sogni: l'antica Roma, un paese del vecchio West o un castello medioevale. Tutto è organizzato alla perfezione, e i turisti si divertono secondo i programmi prestabiliti; ma gli androidi, inesplicabilmente, cominciano a guastarsi sempre più spesso, finché, all'improvviso, non perdono del tutto il controllo, e massacrano tutti i turisti, mentre gli addetti alla manutenzione, nel vano tentativo di disattivarli, rimangono bloccati nella sala di comando. Solo un turista (Richard Benjamin) riesce a salvarsi: inseguito da un androide tenace e vendicativo (un grande Yul Brinner) riesce a sopraffarlo dopo una fuga interminabile. Ma, circondato com'è da montagne di cadaveri, ha ben poco di cui gioire.
Da un'idea semplice ma interessante Crichton ha saputo trarre un film dal ritmo serrato e ricco di tensione, senza per questo rinunciare a quei dettagli che rendono i suoi romanzi credibili senza essere noiosi. Certo, lo scrittore americano non è un grande regista, e molte lungaggini avrebbero potuto essere evitate; ma se è vero che la sceneggiatura mostra qualche pecca, è pure vero che l'ottima prova degli attori riesce a porvi rimedio: soprattutto quella, davvero eccellente, di Yul Brinner (che anticipa Schwarzenegger in Terminator), senza la quale il film sarebbe finito, prima o poi, nel dimenticatoio.
Così non è stato, invece: anzi, i numerosi registi che hanno tratto dei film dai libri di Crichton non hanno mai raggiunto il livello de Il mondo dei robot: onore al merito, dunque!

1973 Il pianeta selvaggio (La planete sauvage) Laloux   7 7 7 8 8
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1973 L'uomo terminale (The terminal man) Hodges 5 5 8 7 5 7

Non è facile trarre un film da un romanzo di Michael Crichton: lo scrittore americano indugia spesso su dettagli trascurabili (in apparenza), e le sue trame sono troppo complesse per venire adattate facilmente al grande schermo. L'uomo terminale è un esempio di questo problema: il film è centrato su un'avveniristica operazione chirurgica, che dovrebbe calmare gli attacchi di epilessia che affliggono il protagonista (uno spento George Segal); nel cervello gli viene impiantato un microchip, che dovrebbe controllare ed eliminare gli impulsi all'origine dei suoi attacchi. Ma l'effetto è quello contrario: gli impulsi diventano più frequenti, e l'uomo si trasforma in un pericoloso assassino: ormai incapace di controllarsi, non gli resta che farsi uccidere dalla polizia.
Lentissimo e farraginoso, il film sembra incapace di trovare il ritmo giusto: mentre poco si vede, e si capisce, del dramma che sta vivendo il protagonista, troppo tempo è dedicato alle discussioni tra i medici; la famosa operazione, per di più, ci viene mostrata nei minimi dettagli, in una scena particolarmente noiosa e interminabile, priva di suspence e persino di ogni interesse medico. D'altra parte, l'idea alla base de L'uomo terminale era fantascienza pura, a quel tempo, e bastava da sola a rendere avvincente il libro come il film: ma oggi, ormai prossima a diventare realtà, non riesce più a creare un vero interesse. Peccato per Crichton: il suo libro, almeno, si legge sempre con piacere; il film è ormai dimenticato.

1973 Zardoz Boorman 7 6 7 5 6 7

Uno dei temi preferiti dalla fantascienza cinematografica negli anni '70 era la descrizione (invariabilmente pessimistica) del futuro dell'uomo: Zardoz è uno dei film più rappresentativi del genere, anche se probabilmente non il migliore.
Siamo nel 2300 circa, e ciò che resta dell'umanità è diviso in due gruppi: pochi eletti, che la scienza ha reso immortali e che vivono rinchiusi nel "Vortex", un angolo di mondo isolato artificialmente dal resto del pianeta, e tutti gli altri, i "bruti", uomini ridotti allo stato selvaggio e tenuti dai primi in uno stato di semi-schiavitù. Ma gli eletti, senza più vere conoscenze ed ambizioni, vivono ormai una vita sterile ed inutile; uno di loro, di nascosto dagli altri, si serve di Zed, un "bruto" più intelligente degli altri (il grande Sean Connery), per distruggere il fragile equilibrio del "Vortex" e lasciare che la Natura riprenda il sopravvento, portando forse, in futuro, alla rinascita della vera civiltà.
Film dalla trama complessa e raffinata, e non facile da apprezzare, Zardoz si regge principalmente su una serie di invenzioni visive, al limite del surreale, che ne fanno un prodotto quasi d'avanguardia e unico nel suo genere: tra queste l'incredibile testa volante utilizzata dagli eletti per comunicare con i "bruti"; il padiglione dei "rinnegati", dove gli eletti in disaccordo con la maggioranza sono puniti con l'eterno invecchiamento; il gioco di specchi che rappresenta il "Tabernacolo", l'intelligenza artificiale che governa il "Vortex"; e tutto questo senza ricorrere a effetti speciali mirabolanti e costosissimi. Un po' di fantasia, e degli ottimi attori (tra questi anche la bellissima Charlotte Rampling) bastavano e avanzavano!
Ma erano altri tempi.

1974 Dark star Carpenter 6 7 7 5 7 8

Con questo film, che vuole essere una presa in giro del genere fantascientifico (e specialmente dei film come 2001), comincia la sua carriera John Carpenter, destinato a diventare uno dei migliori registi in questo campo. L'equipaggio a bordo dell'astronave Dark Star, in effetti, non è impegnato in missioni pericolose ai confini dell'universo, né si trova a lottare contro orribili mostri o feroci alieni: ha invece un compito di routine (distruggere pianeti "instabili"), e si annoia mortalmente, dopo molti anni in giro per lo spazio. L'unico svago sembra essere la mascotte di bordo, un piccolo e dispettoso alieno a forma di pallone di football che però, dopo l'ennesimo capriccio, fa una brutta fine. E lo stesso capita, ben presto, all'equipaggio: infatti, una delle bombe nucleari "intelligenti" che vengono usate per la distruzione dei pianeti, stufa di troppi ordini contraddittori, decide per conto suo di esplodere; il comandante (Brian Narelle) cerca invano di dissuaderla, nonostante le complesse argomentazioni filosofiche a cui fa ricorso: l'astronave viene distrutta, e la missione, se non altro, termina in bellezza!
Film assai controverso, Dark Star è considerato un vero capolavoro da molti appassionati; ma non tutti sono d'accordo. I primi trovano che l'ironia della trama, pur in assenza di effetti speciali degni di questo nome, sia irresistibile, e che nel complesso il film sia ricco di trovate intelligenti; per i secondi, la sceneggiatura è approssimativa, e le scene veramente divertenti troppo poche. Inutile dire che, come al solito, la verità sta nel mezzo: il film non è certo un capolavoro, ma le idee ci sono, e di tanto in tanto fanno capolino. Né bisogna dimenticare che Dark Star non era destinato al grande pubblico: il fatto che, nonostante questo, abbia avuto un certo successo, non è casuale. Qualcosa di buono ci sarà senz'altro!

1975 Rollerball Jewison 6 7 7 5 6

James Caan, attore all'epoca sulla cresta dell'onda, è un campione di rollerball, lo sport del futuro: un futuro senza più guerre e violenze, che appare pacificato e governato saggiamente, ma nel quale invece tutto è controllato, tutto è deciso altrove e nessuno ha il coraggio di ribellarsi. Il rollerball, sport simile all'hockey, ma molto più violento, in cui rimanere gravemente feriti, e persino lasciarci la pelle non è insolito, è lo strumento a cui ricorre il "potere" per tenere tranquillo il "popolo", analogamente a quanto succedeva nell'antica Roma con i giochi del circo.
Ma Caan, ormai troppo popolare, rischia di diventare un eroe, un simbolo: proprio quello di cui il "popolo" avrebbe bisogno per ribellarsi: gli viene allora chiesto di ritirarsi, e lui rifiuta; cercano di ucciderlo nel corso di partite sempre più violente, ma lui sopravvive: alla fine diventa veramente l'eroe che non doveva diventare, e il "potere", forse, trema.
E poi che succede? Niente: ed è questo il limite del film. Come si è arrivati ad una società in cui la violenza è stata canalizzata nello sport? Come se ne può uscire? Il film, nonostante l'efficacia delle molte scene d'azione, si riduce sostanzialmente a puro spettacolo, a telecronaca sportiva, ad esibizione di violenza fine a sé stessa; ed il messaggio di fondo rimane ben nascosto. Alla fine, chi va a vedere questo film lo fa soltanto per la spettacolarità delle partite di rollerball: finite quelle, non resta poi molto da vedere. Non c'è da stupirsi che, passato il suo momento, Rollerball sia finito nel dimenticatoio (così come James Caan): e pensare che oggi, con i tempi che corrono, sarebbe ancora attualissimo!

1975 L'uomo che cadde sulla Terra (The man who fell to Earth) Roeg 7 9 7 7 7

Film pessimista, e in alcuni momenti quasi decadente, L'uomo che cadde sulla Terra è tra gli esempi più significativi della fantascienza "problematica" degli anni '70, lontanissima sotto ogni punto di vista da quella oggi di moda, e molto più legata alla migliore letteratura del genere (non a caso il film è tratto dall'omonimo romanzo di Walter Tevis).
Un alieno dall'aspetto quasi umano (interpretato magnificamente da David Bowie, qui alla prima delle sue poche, ma ottime prove come attore) si reca sulla Terra nella speranza di trovarvi l'acqua necessaria a salvare il suo pianeta ormai arido, e in particolare la sua famiglia; grazie alle sue superiori conoscenze scientifiche, fa nascere dal nulla un colossale impero finanziario, che gli consente di accumulare abbastanza denaro per costruire una grande astronave e realizzare il suo progetto: ma all'ultimo momento il governo interviene, distrugge le sue aziende, divenute troppo potenti, lo sequestra, e lo rinchiude in una base dove per diversi anni viene esaminato da un'equipe medica, cosa che finirà per causargli anche danni fisici. Alla fine sarà troppo tardi per salvare il suo mondo e la sua famiglia, e l'alieno dovrà rassegnarsi a una triste e anonima vita sul nostro pianeta.
Nonostante le classiche paranoie post-Watergate, tipiche degli anni '70, il film colpisce nel segno: il dramma dell'alieno, raffigurato come un personaggio mite e animato solo dal desiderio di aiutare il suo mondo, è rappresentato con efficacia, grazie al contrasto con la stupidità, più che la cattiveria, degli esseri umani, compresi quelli che più gli sono affezionati, e che, pur se involontariamente, finiscono per rovinarlo, incapaci di essergli davvero vicini e di comprenderlo. Pochi film riescono veramente a far capire cosa significhi "alieno": non un mostro assetato di sangue, nel solco della vecchia tradizione (oggi ripresa ed abusata), non un superuomo venuto a darci a lezioni, ma semplicemente un "diverso", impossibilitato a integrarsi con i "normali", e senza speranza nel suo futuro.
E' pur vero che il film non avvince completamente lo spettatore, che la trama si sviluppa con lentezza a tratti esasperante, e che quasi tutto il suo successo è dovuto all'interpretazione di David Bowie: ma ancora oggi, rivedendolo, il pensiero corre, inevitabilmente, ai tanti, troppi diversi del nostro mondo, che non se la passano tanto meglio del protagonista. E senza neanche essere alieni.
Quanti altri film di fantascienza riescono a farci pensare così tanto?

1976 La fuga di Logan (Logan's run) Anderson   6 7 5 3
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1976 Futurewordl - 2000 anni nel futuro (Futureworld) Heffron 5 8 7 6 6

Tentativo appena passabile di dare un seguito all'ottimo Il mondo dei robot, questo film cerca di seguire una strada del tutto diversa rispetto all'originale, infilandosi nella lunga serie di complotti e doppi giochi che hanno imperversato sul grande schermo per alcuni anni, dopo il Watergate: ma se film come I tre giorni del condor o Il laureato, o anche il quasi-fantascientifico Capricorn One non erano privi di immaginazione e colpi di scena, qui la noia regna sovrana, e ogni traccia della tensione che faceva del film precedente una pietra miliare del cinema di fantascienza, qui è assente: arduo, per lo spettatore, appassionarsi più di tanto alle vicende dei soliti giornalisti-detective (tra cui un riciclato Peter Fonda), che con l'aiuto della solita ragazza-coinvolta-suo-malgrado alla fine sventano il complotto di turno, ordito dal solito cattivone proprietario della baracca, che pensa addirittura di sostituire i famigerati robot ad importanti uomini politici.
Se non altro, i buoni vincono senza troppe complicazioni. Meglio di niente.

1976 King Kong Guillermin 6 5 5 7 5 5

Poteva mancare un remake di King Kong? Non tutti i film di successo vanno incontro a questo destino, ma il gigantesco gorilla creato più di quarant'anni prima da Ernest Schoedsack con la collaborazione di Edgar Wallace era troppo famoso.
E così, ecco nuovamente l'isola sperduta nell'oceano, divisa in due da un muro che protegge gli indigeni da una lunga serie di pericoli, e soprattutto da un enorme gorilla che tutti chiamano "Kong"; ecco nuovamente i nostri eroi liberare la bella (una giovane Jessica Lange) dalle grinfie della belva, catturare fortunosamente quest'ultima, portarla a New York, ed esporla al pubblico; ed ecco infine il mostro fuggire, rapire la bella, portarla in cima all'Empire State Building, e poi morire, colpito dal fuoco degli aerei, in un'ultima, commovente scena.
Ma quello che era impressionante negli anni '30, è diventato ordinaria amministrazione negli anni '70, dopo innumerevoli film con ogni tipo di animali giganteschi: è vero che lo spettatore, diversamente dal solito, si commuove per la sorte del gorillone, che non è affatto un mostro dominato da istinti malvagi; ma nel complesso quasi tutto, in questo remake, è scontato, a partire dalla trama, che non osa differenziarsi da quella originale neanche nei dettagli. Certo, adesso gli effetti speciali sono eccellenti, e King Kong sembra autentico. Ma tutto il resto è fatalmente deja vu.

1977 Generazione Proteus (Demon seed) Cammell 6 9 7 6 7

Sono ormai passati 12 anni da quando, con Alphaville, il computer ha fatto la sua comparsa nel mondo del cinema di fantascienza; da allora, passando per film come 2001 e Zardoz, è stato quasi sempre presentato sotto una luce negativa: capace non solo di pensare e ragionare come e più degli esseri umani, ma soprattutto di imitarne i lati peggiori.
Generazione Proteus non fa certo eccezione, anzi, aggiunge angoscia e claustrofobia alle situazioni tipiche del genere: il computer in questione, inventato da uno scienziato (Fritz Weaver) che ha pensato bene (male?) di affidargli il totale controllo della propria casa, dove tutto è automatizzato, decide di sequestrarne la moglie (la povera Julie Christie) e, quando necessario, di uccidere eventuali amici che dovessero venire in suo aiuto. Con quale scopo? Ma il più antico del mondo: riprodursi! E così la moglie dello scienziato (che, essendo sul punto di divorziare, vive da un'altra parte, ignaro di quanto succede) si ritrova miracolosamente incinta (non è chiaro a quale tecnica ricorra il computer) e partorisce una bambina, peraltro del tutto umana: dopo di che torna lo scienziato, libera la moglie, e scopre che la bambina è uguale a una loro figlia morta anni prima. E tutti vissero felici e contenti.
Ma lo stesso vale per lo spettatore? Nonostante questo film abbia molti estimatori, sembra difficile che una trama abbastanza scontata, che in fondo ruota esclusivamente intorno ai tentativi di Julie Christie di scappare dalla casa in cui è sequestrata, abbia davvero una marcia in più: né il finale, più ridicolo che affascinante, ne risolleva in extremis le sorti: insomma, grandi pregi non se vedono. E se il film, oggi, è pressoché dimenticato, non è certo per caso: anzi.

1977 Guerre stellari (Star wars) Lucas 8 9 9 9 8 9

Come recita un originale titolo scorrevole, ci troviamo in un'altra galassia e in un'altra epoca: la repubblica che l'aveva governata a lungo, e in cui la giustizia veniva assicurata dai cavalieri di Jedi, è stata soppiantata da un meno democratico impero; ma un manipolo di ribelli non vuole accettare questo stato di cose, e sta combattendo strenuamente per la libertà.
Comincia così il più famoso (e per alcuni il migliore) film di fantascienza di tutti i tempi: l'opera che ha fatto diventare George Lucas, fino ad allora un piccolo, sconosciuto regista con solo due film all'attivo, uno dei motori di quell'immenso ingranaggio che è il cinema americano, e specialmente quello di Hollywood. Ma cosa ha di così straordinario la trama? In apparenza, niente di veramente innovativo: da una parte i cattivi, guidati dal tenebroso Darth Vader, braccio destro dell'imperatore, e dal governatore Moff Tarkin (un grande Peter Cushing), a capo di una potentissima base spaziale; dall'altra i buoni, variamente assortiti: l'anziano cavaliere Jedi Obi-Wan Kenobi (un grandissimo Alec Guinness), il suo giovane discepolo Luke Skywalker (lo sconosciuto Mark Hamill), il contrabbandiere Han Solo (Harrison Ford, praticamente al suo esordio) col suo aiutante Chewbacca, enorme scimmione che si esprime solo a grugniti, la principessa Leia Organa (la giovanissima Carrie Fisher), e infine due robot che ricordano, con le loro battute, i migliori Laurel & Hardy. Tra i due schieramenti, la più famosa invenzione di Lucas: la "Forza", un misterioso potere che permette di controllare cose e persone e di cui tutti, buoni e cattivi, cercano di servirsi per i loro scopi.
Alla fine, secondo copione, i cattivi sono sconfitti (ma solo temporaneamente: Darth Vader scampa alla distruzione della base spaziale), e i buoni, dopo il sacrificio del vecchio Obi-Wan, si salvano e vengono premiati. Ma altre sono le ragioni di un successo epocale: innanzitutto, questo è il primo film in cui gli elementi fantascientifici (astronavi, armi avveniristiche, robot) non vengono considerati "anomali", diventando protagonisti assoluti della vicenda, ma appaiono del tutto "normali", assumendo così il più tranquillizzante ruolo di "contorno" per quella che è, in fondo, una semplice avventura come se ne erano viste tante altre; quest'idea da un lato ha riscosso il successo degli appassionati, che hanno finalmente visto, in un certo senso, la fantascienza diventare realtà e uscire dall'impalpabile ghetto in cui era sempre stata confinata (con l'eccezione di 2001), dall'altro ha portato nelle sale il grande pubblico, quello che mai sarebbe andato a vedere film come Zardoz o L'uomo che cadde sulla Terra. Un altro segreto di questo film sta nell'invenzione della "Forza", e nell'implicito concetto che nessuna tecnologia, per quanto perfetta, può valere quanto le risorse della mente umana: concetto semplice, ma rivoluzionario, e senza il quale probabilmente non avremmo mai avuto i seguiti, e tantomeno una nuova trilogia, con buona pace di coloro che oggi, pur di elogiare il nuovo film della serie, rinnegano l'aspetto mistico di Guerre stellari; aspetto che raggiunge il suo momento più solenne, chiave di volta di tutta la storia, nella scena in cui Luke decide di servirsi solo del suo istinto (e della "Forza") per centrare il reattore principale della base spaziale e farla esplodere.
E i critici? All'epoca, nessuno capì nulla. Tutti concordarono nell'affermare che il film fosse mediocre, e che l'unica scena di valore fosse quella ambientata in un bar, in cui si vedevano "mostri" di ogni genere bere come se niente fosse (la fantascienza che diventa normalità, appunto), pensando che tale scena fosse una presa in giro dei vecchi B-movies.
Oggi tutti si ricredono e anzi, pur di criticare il nuovo film della serie (in effetti non così buono), esaltano ancora di più la prima trilogia: e questa, probabilmente, è la più grande soddisfazione che possano avere gli appassionati e tutti coloro che, fin dal primo momento, hanno creduto in questo film. E nel genio di George Lucas!

1977 Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close encounters of the third kind) Spielberg 8 10 7 8 10

Grande esordio di Steven Spielberg nel cinema di fantascienza, Incontri ravvicinati del terzo tipo si distingue soprattutto per l'originale approccio al tema dell'incontro con gli alieni: quello che fino ad allora era stato o uno scontro all'ultimo sangue contro feroci mostri, o un rovesciamento della situazione con umani cattivi impegnati a perseguitare extraterrestri buonissimi, diventa un problema governativo da trattare con la massima segretezza; quasi un anticipo dei futuri X-files, ma con meno paranoia e senza le contrapposizioni tra buoni e cattivi che, negli anni a venire, diventeranno un clichè difficile da evitare.
Un magnifico, inaspettato François Truffaut è il leader di un gruppo di scienzati che prepara, in tutta segretezza, l'incontro con gli alieni sulla cima di una montagna isolata; un problematico ma ugualmente magnifico Richard Dreyfuss è uno dei pochi uomini "comuni" ad avere delle premonizioni su quanto sta per accadere, e a voler andare fino in fondo, letteralmente, oltre i muri di gomma che circondano l'intera operazione; una meno problematica Melinda Dillon è la donna che si unisce a Dreyfuss e ne approfitta per recuperare il figlio, rapito dagli alieni tempo prima. Il resto lo fanno gli effetti speciali, misurati quanto basta per tenere lo spettatore sulla corda e dargli un contentino verso la fine: alla fine tutti sono felici e contenti, Truffaut che vede l'incontro coronato da successo, Dreyfuss che s'imbarca con gli alieni, la Dillon che si riunisce al figlio. Magari qualche perplessità rimane nello spettatore, che non ha visto battaglie nello spazio, alieni mostruosi o angelici (anzi, a malapena li ha visti), cattivi da sconfiggere o, al limite, effetti speciali da mozzare il fiato (anche se qualcosa in più si vide qualche anno dopo, quando una versione "ampliata" uscì sul grande schermo, grazie al fiuto dell'astuto Spielberg, abilissimo a intuire il cambiamento già in corso nei gusti del pubblico): qualcuno dei più critici potrebbe anche chiedersi se questo film abbia davvero un inizio, una fine, e dove voglia andare a parare ... ma questo era il cinema di fantascienza negli anni '70: la storia prima di tutto, l'azione dopo, forse, volendo, chissà; gli effetti speciali: un optional spesso fastidioso. Forse Incontri ravvicinati del terzo tipo non è stato veramente un capolavoro assoluto, ma alla luce di quello che si è visto negli ultimi anni, oggi molti appassionati pagherebbero chissà quanto per vedere un film di questo livello.
Purtroppo i tempi sono cambiati e oggi il botteghino condannerebbe senza pietà un film come questo. Se vogliamo vedere alieni che, in un modo o nell'altro, arrivino sulla Terra, tocca guardarsi Independence day.

1978 Terrore dallo spazio profondo (Invasion of the body snatchers) Kaufman 8 7 8 7 5 7

Fare un remake de L'invasione degli ultracorpi, forse il miglior film di fantascienza degli anni '50, era impresa disperata: ciò nonostante, il tentativo ha successo, e, pur senza uguagliare il livello dell'originale, riesce addirittura a trovare qualche spunto nuovo che ne arricchisce ulteriormente la trama.
Questa è nota: dei misteriosi baccelli venuti dallo spazio crescono fino ad assumere forma umana, e si sostituiscono agli abitanti di una cittadina americana; alcuni di questi (tra cui un grande Donald Sutherland e un giovane Jeff Goldblum) si rendono conto della situazione, e cercano di fuggire prima che i baccelli dilaghino in tutto il mondo. Inutilmente, però.
La struttura del primo film, che procede per scoperte successive, viene recuperata con minime varianti, spesso di grande efficacia: l'urlo disumano con cui le creature indicano gli esseri umani superstiti è una di queste, forse la più famosa. Ma è soprattutto importante il recupero del finale originale: nessun umano riesce a salvarsi, e i baccelli possono continuare indisturbati a diffondersi nel mondo. Eppure siamo ancora distanti dal primo film: ma allora la regia di Don Siegel era riuscita a dosare la tensione in modo assolutamente perfetto, in una crescita lenta ma costante, mentre qui il ritmo cala, di tanto in tanto, e solo le nuove trovate riescono a tenere sempre desta l'attenzione dello spettatore.
Ma è pur vero, ad essere onesti, che il primo film era perfetto: solo rifacendolo uguale, scena per scena, sarebbe stato possibile mantenerne il livello: ma l'industria di Hollywood, che pure farebbe qualsiasi cosa pur di attirare spettatori nei cinema, non ha ancora osato tanto!

1979 Alien Scott 9 8 7 7 7 9

Da molti anni non si vedevano più, nei film di fantascienza, mostri decisi a sterminare il genere umano: l'ultimo film di buon livello era stato S.O.S. i mostri uccidono ancora, girato ben dodici anni prima. Ma il successo di Guerre stellari convince i produttori che la fantascienza sociologica, tanto di moda negli anni '60 e '70, sia ormai agli sgoccioli, e che lo spettatore sia pronto per un ritorno a temi più semplici: e dopo Terrore dallo spazio profondo, remake del mitico L'invasione degli ultracorpi, arriva sul grande schermo Alien, capolavoro di Ridley Scott, che insieme a Stanley Kubrick può essere considerato il regista più geniale in campo fantascientifico.
Come ai vecchi tempi, la storia non è molto complicata: un'astronave commerciale, in viaggio verso la Terra, si ferma su un piccolo pianeta per controllare la provenienza di un misterioso segnale; uno degli astronauti, però, viene assalito da una creatura uscita da una specie di uovo, e ne rimane "incinto": poco tempo dopo, infatti, un'altra orribile creatura, in una scena tra le più famose, gli esce dallo stomaco di fronte agli sguardi terrorizzati dei suoi compagni, e si dilegua nei meandri dell'astronave. A questo punto comincia la carneficina: uno dopo l'altro tutti gli astronauti vengono uccisi, anche perché uno di loro (in realtà un androide) sta segretamente dalla parte del mostro, che la compagnia proprietaria dell'astronave vorrebbe utilizzare a scopi militari. Alla fine, comunque, una donna riesce a salvarsi: è il secondo ufficiale Ellen Ripley (l'allora sconosciuta Sigourney Weaver) che, dopo aver distrutto l'astronave, trova finalmente il modo di liberarsi del mostro e tornare sana e salva sulla Terra in una capsula di salvataggio. Almeno fino al primo dei molti seguiti ...
Può sembrare strano che un film palesemente ispirato ai B-movies degli anni '50 possa raggiungere un livello così alto; ma questo è dovuto, senza alcun dubbio, alle innovazioni introdotte da Scott, semplici e geniali nello stesso tempo: la principale di queste è certamente l'ambientazione claustrofobica, che aggiunge una particolare atmosfera a una situazione già di per sé angosciante, e ci rivela inoltre come gli astronauti siano personaggi ben diversi dai soliti eroi a cui i B-movies ci avevano abituato: quelli avrebbero affrontato qualunque mostro senza problemi, questi invece scapperebbero volentieri, ma non possono, e così trasmettono allo spettatore le proprie paure. Un'ottima idea è anche quella di lasciar perdere le trame collaterali (di solito storie romantiche tra i protagonisti) spesso presenti nei film di questo tipo: la tensione, così facendo, rimane sempre altissima. Un contributo non indifferente, infine, viene dalle scenografie del famoso disegnatore francese Jean Giraud, detto Moebius, la cui immaginazione surreale ben si sposa con le cupe fantasie di Ridley Scott.
I numerosi seguiti, qualcuno riuscito, qualcuno non tanto, fanno tuttora discutere critici e appassionati: ma solo il primo, inimitabile Alien, mette tutti d'accordo.

1979 The black hole - il buco nero (The black hole) Nelson   5 7 5 5 5
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1979 Interceptor (Mad Max) Miller   7 9 5 6 7
Commento

1979 Quintet Altman 5 6 7 7 6

Negli incerti anni '60, molti grandi registi, prima di Stanley Kubrick, avevano provato a realizzare un film di fantascienza, di solito con buoni risultati: Godard, Truffaut, Losey, Petri su tutti. Altman, invece, ci prova alla fine degli anni '70, e il suo film, che avrebbe avuto senza dubbio un grande successo soltanto dieci anni prima, si risolve in un fiasco clamoroso: ormai, il pubblico preferisce film semplici, e ricchi d'azione, a quelli troppo complessi, a meno che non siano dei capolavori. Ma Quintet non lo è: lento e noioso, narra di un mondo futuro, coperto dai ghiacci in seguito a chissà quale catastrofe, dove pochi superstiti, rinchiusi in immensi rifugi sotterranei, passano il loro tempo giocando a "quintet"; un cacciatore, abituato a sopravvivere nel gelido mondo esterno (Paul Newman), si inserisce nel gioco, rompendone gli equilibri: ma in cosa consista esattamente, e quale sia il suo scopo, non sarà mai del tutto chiaro.
Film senza capo né coda, Quintet vorrebbe essere, probabilmente, una metafora sull'inutilità della vita, vista come fine a sé stessa, e del tutto priva di valori: ma alle buone intenzioni del regista corrispondono solo delle scenografie interessanti, e un cast degno di miglior causa (tra gli attori, anche Vittorio Gassman, Bibi Andersson e Fernando Rey). Su tutto il resto, meglio stendere un velo pietoso, per quanto la mano di Altman si veda, di tanto in tanto. Ma per realizzare, se non un capolavoro, almeno un buon film, ci vuole ben altro.

1979 Star Trek (Star Trek - the motion picture) Wise 7 7 7 5 6

Diversi anni dopo la fine della famosissima serie di telefilm "Star Trek", qualcuno pensa bene di tornarci sopra, questa volta con un film: il successo sarà tale che nei successivi vent'anni ne verranno prodotti altri otto, anche se gli attori cambieranno per strada.
La grande trovata di questo film sta nel farci vedere i protagonisti ormai invecchiati, diverso tempo dopo la fine della loro famosa missione: e così vediamo il leggendario capitano Kirk (William Shatner), ora ammiraglio, imbarcarsi come ospite a bordo della "sua" Enterprise, leggermente rimodernata; lo vediamo, dopo aver esautorato il nuovo comandante e averne preso il posto, raccogliere per strada tutti i componenti del suo vecchio equipaggio: da Spock (Leonard Nimoy) a McCoy (DeForest Kelley), da Scott (James Doohan) a Uhura (Nichelle Nichols), da Chekov (Walter Koenig) a Sulu (George Takei); lo vediamo infine affrontare un nuovo pericolo, come ai vecchi tempi: siamo in pieno Amarcord, e questo è appunto quello che volevano gli spettatori!
Poco importa quale sia la natura del pericolo: una vecchia sonda della serie Voyager, tornata indietro a cercare il suo "creatore", ma nello stesso tempo animata da bellicose intenzioni; poco importa come Kirk riesca a sventare il pericolo, grazie al sacrificio di due uomini del suo equipaggio (uno dei quali, non casualmente, è il comandante da lui esautorato). I personaggi che sono entrati nell'immaginario collettivo di tanti appassionati sono tornati: tanto basta!

1979 L'uomo venuto dall'impossibile (Time after time) Meyer 8 7 7 7 7 7

Londra, fine ottocento. Herbert George Wells (Malcolm McDowell) sta invano cercando di convincere alcuni amici che la macchina del tempo da lui costruita funziona veramente: ma uno di loro, uno stimato medico (David Warner), in realtà gli crede, e quando la polizia fa irruzione in casa dello scrittore, usa la macchina per fuggire nel futuro. Si tratta infatti di Jack lo squartatore, reduce da uno dei suoi delitti, e destinato, con questa fuga, a non ricomparire più nella sua epoca. Wells, infatti, lo segue nel futuro, sperando di poterlo riportare indietro, e si ritrova nella moderna San Francisco, dove la sua macchina del tempo è esposta in un museo, di fronte a visitatori ignari del suo funzionamento; ma ben presto ognuno dei due va per la sua strada: lo scrittore, che supplisce con la sua intelligenza alle difficoltà che deve affrontare, e lo squartatore, pienamente a suo agio nel mondo violento dei nostri giorni. Ma quando Wells, che nel frattempo è diventato amico di una gentile impiegata della banca d'Inghilterra (Mary Steenburgen), sembra voler rinunciare ai suoi propositi, lo squartatore ricomincia ad uccidere, e lo scontro fra i due ex-amici diventa inevitabile: alla fine l'intelligenza di Wells prevarrà sulla ferocia brutale del suo nemico, che verrà scaraventato in un tempo dove non potrà più nuocere. Lo scrittore, invece, tornerà nella sua epoca in compagnia dell'impiegata, ormai innamorata di lui, e destinata a diventare sua moglie.
Quasi certamente, L'uomo venuto dall'impossibile è il miglior film sui viaggi nel tempo che sia mai stato girato, o almeno il migliore di quelli che si prendono sul serio (Ritorno al futuro, infatti, gli è un po' superiore); la trama affronta con decisione il difficile problema dei paradossi, risolvendolo in modo brillante, e nello stesso tempo indugia sulle difficoltà incontrate nella nostra epoca da un uomo del passato, anche se intelligente e preparato ad affrontarle: trovata abbastanza originale, poiché di solito viene proposto il caso contrario. Ma non mancano, nella trama di questo film, momenti di tensione e di suspence degni dei migliori thriller, e così pure momenti brillanti (per esempio, il complicato rapporto tra il compassato gentiluomo vittoriano e la disinvolta impiegata dei nostri giorni): dulcis in fundo, anche il cast è di buon livello, anche se privo di nomi altisonanti. Ma quando si hanno delle buone idee, e la voglia di realizzare qualcosa di meno banale del solito, si può tranquillamente rinunciare ai grandi attori e agli onnipresenti effetti speciali (praticamente assenti in questo film): una lezione oggi dimenticata, ma sempre validissima.

1980 Countdown dimensione zero (The final countdown) Taylor 7 8 5   5

Che accadrebbe se una portaerei della nostra epoca tornasse indietro nel tempo, e avesse la possibilità di attaccare, con i suoi aerei a reazione e i suoi missili, le squadriglie giapponesi dirette alla volta di Pearl Harbour? L'idea alla base di Countdown è indubbiamente interessante, ma l'ingenuità con cui viene sviluppata impedisce a questo film di diventare un piccolo capolavoro nel suo genere: che dire, infatti, della misteriosa "tempesta magnetica" che provoca il viaggio nel tempo, scatenandosi nel posto e nel momento giusto? E del fatto che la portaerei si ritrovi nel passato proprio il giorno prima dell'attacco a Pearl Harbour? E soprattutto, della provvidenziale ricomparsa della "tempesta magnetica" subito prima dell'attacco alle squadriglie giapponesi, in modo di poter rimandare la portaerei nel suo tempo, impedendo così il verificarsi del paradosso temporale?
Nonostante queste forzature, tuttavia, il film rimane un ottimo esempio di come si possa affrontare con successo il difficile tema del viaggio nel tempo: pochi spunti, e semplici, ma sviluppati come si deve. Così la trama gira abilmente intorno ai paradossi, evitando di affrontarli apertamente, e concentrandosi invece sui dilemmi del comandante della portaerei (un amletico Kirk Douglas) e del suo secondo (Martin Sheen), indecisi sul da farsi, o su alcuni episodi collaterali, ma di particolare fascino: tra i quali vale la pena di ricordare, almeno, l'incredibile duello fra due caccia decollati dalla portaerei, e due "Zero" giapponesi in ricognizione, i cui piloti, pur sbalorditi dalle evoluzioni dei loro avversari, si lanciano al loro attacco!
In fondo, ciò che manca a questo film è un solamente buon finale: la soluzione scelta dagli autori, infatti, sembra proprio tipica di chi si è impegolato in una situazione difficile, e non sa come uscirne; ma fino a quel momento il film regge. E regge bene!

1980 Flash Gordon Hodges 5 8 7 7 6

Periodicamente, qualcuno cerca di adattare per il cinema un celebre fumetto: e nonostante ogni volta i risultati siano, nella migliore delle ipotesi, appena passabili, i tentativi continuano. Anche perché, talvolta, questi film ottengono un discreto successo di pubblico (basti pensare ai recenti film su Batman). Flash Gordon non ha fatto eccezione: e anche lui ha avuto il suo film, ricco di effetti speciali, di attori celebri, e di tutto quanto poteva decretarne il successo; ma il pubblico si è mostrato indifferente, e la critica è rimasta freddina.
La trama, probabilmente, non era delle più interessanti: Zarkov (Chaim Topol), convince Flash Gordon (lo sconosciuto Sam Jones) e Dale Arden (Melody Anderson) a recarsi sul pianeta Mongo, il cui sovrano, lo spietato Ming (Max Von Sydow), ha intenzione di distruggere la Terra; dopo innumerevoli capovolgimenti di fronte, e grazie ad alleanze inaspettate (per esempio la figlia di Ming (Ornella Muti) che si innamora di Flash Gordon), i cattivi sono sconfitti, e i buoni tornano vincitori sul nostro pianeta. Altrettanto, però, non si può dire degli sceneggiatori: la vicenda, contorta fino all'inverosimile, e spesso poco comprensibile, non è di quelle in grado di catturare immediatamente l'interesse dello spettatore; peggio ancora, il lato fantascientifico, che pure non è affatto banale, viene trascurato per meglio esaltare elementi spettacolari di dubbio gusto: ed è così che nello stesso film si possono ammirare (per modo di dire) orientali cattivi (come negli anni '30), uomini-uccello e persino uomini-albero. Alla fine lo spettatore, frastornato, non capisce più che genere di storia stia vedendo, e probabilmente finirà per scegliere un film con meno pretese: fosse uscito negli anni '90, Flash Gordon avrebbe avuto, forse, un'accoglienza diversa; ma all'epoca c'era ben di meglio da vedere.

1980 L'impero colpisce ancora (The empire strikes back) Kershner 9 10 7 6 7

Con L'impero colpisce ancora, George Lucas riesce dove tanti altri avevano fallito: realizzare un seguito migliore dell'originale, che oltretutto non era un film qualsiasi, ma il già mitico Guerre stellari. E meno male che la storia secondo cui Lucas avrebbe scritto fin dall'inizio l'intera trilogia (o addirittura nonalogia) è semplicemente una balla ad uso e consumo dei numerosi appassionati: diversamente il secondo film non sarebbe certo riuscito migliore del primo, dato che ciò è dovuto in massima parte alle numerose, nuove idee introdotte nella trama; idee del tutto assenti tre anni prima.
Di queste, quella decisiva è, senza dubbio, aver dato grande risalto all'eroe negativo, il tenebroso Darth Vader: mentre nel primo episodio l'attenzione era centrata sul quartetto di eroi positivi, Luke, Han, Leia e Obi-Wan, lasciando un po' in disparte Vader e Moff Tarkin (per non parlare dell'imperatore, che non compare mai), in questo le cose si mettono male un po' per tutti, e il film assume toni drammatici del tutto inaspettati. L'intero episodio è dominato dalla figura di Vader, ossessionato, fin dal titolo scorrevole, dall'idea di catturare Luke Skywalker (Mark Hamill): è lui che, all'inizio del film, lancia un attacco contro la base dei ribelli situata sul gelido pianeta Hoth; è sempre lui che coordina i tentativi della flotta imperiale di catturare i nostri eroi, fuggiti dal pianeta, e che, vista l'inutilità di questi tentativi, ne uccide i comandanti con un gesto della mano, uno dopo l'altro; è infine lui che riesce, grazie all'aiuto di un misterioso e sinistro cacciatore di taglie, Boba Fett, a mettere le mani su Han (Harrison Ford) e Leia (Carrie Fisher) che nel corso della fuga hanno trovato il tempo di innamorarsi. E Luke? Luke, sempre più deciso a diventare un cavaliere Jedi, seguendo le orme di Obi-Wan Kenobi (Alec Guinness), si reca, una volta lasciato il pianeta, da un grande, ma ormai dimenticato maestro Jedi: il piccolo Yoda (un pupazzo stupendamente animato da Frank Oz); ma poi, pur di soccorrere i suoi amici in pericolo, lascia a metà l'addestramento, e arriva, finalmente, allo scontro con Vader: nell'emozionante duello che ne seguirà avrà la peggio, ma scoprirà il motivo che aveva spinto il suo nemico a cercarlo con tanta ostinazione ...
Il film termina in un momento di pausa, dopo una serie senza fine di emozioni e di colpi di scena: Han, ibernato, è stato inviato in dono al suo vecchio nemico, Jabba; Luke e Leia, dopo essere fuggiti, si preparano a salvarlo, e Darth Vader riprende le sue ricerche per ritrovare Luke; i nodi verranno tutti al pettine nel terzo e ultimo episodio della trilogia.
E' difficile trovare difetti in questo film, la cui trama procede serratissima, senza un attimo di pausa, alternando abilmente momenti drammatici ad altri più leggeri: persino le onnipresenti inesattezze scientifiche, qui più numerose che altrove, risultano pienamente funzionali ai ritmi concitati della narrazione. Numerose sequenze-capolavoro, infine, danno al film un tono quasi epico: su tutte, l'attacco delle forze imperiali alla base dei ribelli, a bordo di mostruosi robot che sembrano inarrestabili, e il duello che chiude l'episodio, tra Luke e Darth Vader (senza dubbio la sequenza più drammatica dell'intera trilogia).
E' come se Lucas avesse fatto esplodere in questo film tutta la sua creatività: il terzo episodio, non all'altezza dei primi due, e ancora di più il primo della nuova trilogia, confermeranno, purtroppo, questa ipotesi.

1980 Saturn 3 Donen 5 6 7 7 6

Film modesto, anche se non privo di pretese, Saturn 3 narra le peripezie di due astronauti bloccati su una base spaziale (in orbita intorno a Saturno, come lascia intendere il titolo) insieme con un robot e il suo inventore, novello Frankenstein, che ha pensato bene di dargli la propria personalità: ovviamente, il robot diventerà sempre più pericoloso e difficile da controllare, e solo il sacrificio di uno degli astronauti riuscirà a salvare l'ultima superstite.
Idea non malvagia: questo film, indubbiamente, deve qualcosa a 2001, il che farebbe sperare per il meglio; e la delusione nel constatare che, invece, ci si trova di fronte a una trama farraginosa e poco interessante, in certi punti persino noiosa, è così grande da farne anche dimenticare i pochi pregi: tra questi, senza dubbio, un cast insolitamente buono per un film di fantascienza, con Kirk Douglas (addirittura!) e Farrah Fawcett nei panni dei due astronauti, e un Harvey Keitel ancora a inizio carriera in quelli dell'inventore. Ma un grande cast non ha mai fatto, da solo, un buon film, purtroppo.

1980 Scanners Cronenberg 7 7 7 8 8

Due fratelli, uno buono, l'altro cattivo: niente di nuovo sotto il sole, a prima vista. Ma quando entra in scena David Cronenberg, e questa è la prima volta che lo fa, almeno in ambito fantascientifico, anche lo spunto più banale (e questo non lo è) acquista qualche motivo d'interesse.
La trama, semplice ma non troppo, si concentra sul pericolo rappresentato dagli "scanners", esseri umani in grado di controllare i pensieri altrui, e animati da cattive intenzioni: frutto di una mutazione genetica indotta da un farmaco sperimentale, sono capeggiati dal perfido Michael Ironside, qui al suo primo, importante ruolo da cattivo; per fortuna costui ha un fratello buono (lo sconosciuto Stephen Lack) e dotato degli stessi poteri, che si assume il compito di ostacolarlo. Ci riuscirà? Dopo un epico scontro finale, e un piccolo colpo di scena, sembra proprio di sì. Sembra ...
Cronenberg, regista sempre in bilico tra horror e fantascienza (e reduce dagli ottimi Rabid e Brood), riesce a estrarre il meglio da una serie di idee non troppo originali, ma mischiate insieme con abilità e con un pizzico di splatter che innervosisce lo spettatore quanto basta: ma è altrettanto indubbio che se il regista canadese avesse prestato più attenzione ai potenziali risvolti della trama (per esempio esplorando fino in fondo le possibilità offerte dalla lettura del pensiero), e meno agli aspetti orrorifici il film ne avrebbe ulteriormente guadagnato.
Per nostra fortuna, Cronenberg saprà, in seguito, trovare gli spunti più adatti alle sue tendenze: il giorno del remake de La mosca non è lontano!

1980 Stati di allucinazione (Altered states) Russell 7 5 7 6

Film troppo ambizioso e particolare per riscuotere un successo duraturo, Stati di allucinazione parte da un'idea piuttosto singolare: la possibilità di far regredire l'evoluzione dell'uomo combinando l'effetto di una potente droga con quello di un complesso macchinario pieno di un liquido nel quale immergersi durante gli esperimenti. William Hurt, qui al suo esordio, è il giovane scienziato che ha inventato il procedimento, e che decide di sperimentarlo su sé stesso, con risultati che vanno ben oltre le sue aspettative: la regressione, infatti, non avviene solo nella sua testa, ma finisce per coinvolgerlo anche fisicamente, trasformandolo in un ominide spaventato e pericoloso e, in seguito, in una creatura ancora più primitiva; ma sua moglie (Blair Brown), nonostante i passati dissapori (dovuti proprio all'eccessiva dedizione dello scienziato al suo lavoro), riesce a fermare appena in tempo gli esperimenti, e a trattenere il marito in questo mondo: i due torneranno ad amarsi, in un lieto fine che, allora, non era scontato come al giorno d'oggi.
Una riedizione in chiave moderna della storia di Jekyll e Hyde? Probabilmente sì, e bisogna riconoscere a Kurt Russell, regista sempre innovativo, il merito di aver girato uno dei film più originali in campo fantascientifico; ma al di là di questo, nella trama non c'è molto: la lentezza, purtroppo, regna sovrana, e l'invenzione dello scienziato si rivela fine a sé stessa, senza riuscire veramente a coinvolgere lo spettatore; ma le idee, da sole, non bastano a fare un capolavoro: se averne di buone è difficile, saperle sviluppare lo è ancora di più.

1981 Atmosfera zero (Outland) Hyams 7 7 7 6 7

Che sta succedendo su Io, una delle molte lune di Giove? Nel futuro presentatoci da questo film, il satellite è stato colonizzato, e viene utilizzato principalmente come miniera; ma molti uomini, senza una ragione apparente, impazziscono e si uccidono, mentre la compagnia che controlla l'estrazione dei minerali fa di tutto per far passare le morti sotto silenzio. Per scoprire la verità (agli uomini è stata fornita una droga che li fa lavorare di più, ma ha spiacevoli effetti collaterali) è necessario che un incorruttibile poliziotto (Sean Connery), deciso a indagare fino in fondo, corra più rischi del dovuto: ed è solo grazie all'aiuto di una dottoressa onesta e scrupolosa (Frances Sternhagen) che, dopo aver salvato la pelle per il rotto della cuffia, riesce ad avere la meglio sui cattivi di turno. Compreso il direttore della compagnia.
Film senza troppe pretese, ma dalla trama serrata e avvincente, Atmosfera zero è un ottimo incrocio fra un thriller e un film di fantascienza, ben recitato, con poche idee, ma buone, con un eroe decisamente carismatico (anche se stereotipato), e con degli effetti speciali migliori del solito: magari qualche colpo di scena in più, che avesse reso la vicenda un po' meno ovvia (e un po' meno somigliante a quella di Mezzogiorno di fuoco, del quale è, sia pure molto alla lontana, un remake) sarebbe stato opportuno. Ma, come noto, non si può avere tutto. Né dalla vita, né dal cinema di fantascienza.

1981 Interceptor - il guerriero della strada (Mad Max 2) Miller   9 5 6 8
Commento

1981 1997 fuga da New York (Escape from New York) Carpenter 6 7 7 9

Primo film di fantascienza girato da John Carpenter, che fino ad allora si era dedicato soprattutto all'horror, e con ottimi risultati, Fuga da New York è già un piccolo capolavoro, centrato su un'unica idea, semplice quanto realistica, ma sfruttata veramente a dovere.
L'idea è geniale, in effetti: in un prossimo futuro la criminalità è diventata un problema così grave da rendere necessaria una soluzione drastica; l'intera isola di Manhattan, evidentemente diventata troppo pericolosa, viene evacuata e adibita a carcere all'aperto: circondata dalle forze di polizia, diventa un mondo a sé stante, in cui vige la legge della jungla, e dal quale nessuno può uscire. Almeno, fino alla notte in cui un attentato vi fa precipitare l'aereo presidenziale: per recuperare il suo illustre proprietario (Donald Pleasance), diventato ostaggio degli abitanti dell'isola, ed essendo troppo rischioso un intervento in forze, la polizia si affida a un uomo solo: Jena Plissken (Kurt Russell), un eroe di guerra finito nei guai e destinato comunque a passare il resto della sua vita nell'isola. Riluttante, Jena (nell'originale Snake) accetta e, dopo molte avventure e capovolgimenti di fronte, riesce nell'impresa. Ma il presidente non gli sta molto simpatico, e gli spettatori avranno ancora una piccola sorpresa ...
Il bello di questo film, comunque, non è certo nei colpi di scena, quanto nell'ambientazione: una Manhattan semidistrutta, in preda al caos, e nella quale vivono i personaggi più strani e pericolosi; tutti, buoni e cattivi, magnificamente caratterizzati. Per non parlare del protagonista: in molti film si vedono eroi con un pessimo carattere, ma che, a mano a mano che la storia procede, rivelano le loro qualità, e riescono a conquistarsi la simpatia del pubblico; ma Jena Plissken, fino all'ultimo istante, rimane quello che sembra all'inizio: un opportunista che non è migliore dei criminali che si trova a combattere, e che agisce solo per interesse personale.
E' strano che un film senza un vero eroe sia riuscito a ottenere un buon successo: ma, in parte per la bravura degli interpreti (da ricordare anche Harry Dean Stanton e Lee Van Cleef), in parte per l'abilità di Carpenter nel costruire una trama ricchissima di tensione dal primo all'ultimo minuto, il miracolo si è realizzato. Peccato che, dopo il fiasco del film successivo, il bellissimo La cosa, Carpenter si sia smarrito, senza più ritornare ai livelli dei primi anni '80. Ma per un altro miracolo c'è ancora tempo.

1982 Blade runner Scott 9 5 9 9 10

Cos'ha di così straordinario Blade runner, considerato da moltissimi appassionati il miglior film di fantascienza mai realizzato? Eppure, al momento della sua uscita, il successo di pubblico non era stato eccezionale, anche se la critica lo aveva accolto benevolmente (ma senza gridare al capolavoro): è stato solo col passare degli anni che la fama dell'opera di Scott si è ingigantita fino al punto di venire riproposta nella versione originale (peraltro quasi uguale a quella "classica") e di far diventare Philip K. Dick, autore del racconto da cui è tratto il film, una delle menti più geniali del nostro secolo.
La trama, in apparenza, non ha niente di speciale: il solito futuro squallido, con una megalopoli che si estende da San Francisco a Los Angeles, sovrappopolata, buia e sporca: solo i ricchi vivono ai piani alti dei grattacieli, in questo mondo molto simile a quello di 2022: i sopravvissuti. Questa società, comunque, è abbastanza evoluta da servirsi di androidi, che, diventati ormai troppo forti e intelligenti, e quindi troppo pericolosi, sono confinati su altri pianeti: inoltre, la loro vita è limitata a soli quattro anni, e proprio questo è il motivo che spinge alcuni di loro a tornare di nascosto sulla Terra per contattare il loro progettista, il dr. Eldon Tyrell (Joe Turkel), nella speranza che questi possa farli vivere più a lungo. La polizia, per identificarli ed eliminarli (gli androidi fuorilegge non sono neanche considerati persone) recluta uno specialista (un tormentato Harrison Ford), le cui complesse ricerche vanno a buon fine: trovati e uccisi i primi tre androidi, anche grazie a una buona dose di fortuna, viene però sopraffatto dall'ultimo (un eccezionale Rutger Hauer), che nel frattempo ha trovato e ucciso il dr. Tyrell, e sta per precipitare dal tetto di un grattacielo quando l'androide, sentendo che i suoi quattro anni di vita stanno per scadere, gli salva la vita, per morire subito dopo. Lo specialista ("blade runner" è il termine con cui viene designato), ormai convinto che gli androidi non siano peggiori degli esseri umani, cercherà di rifarsi una vita con una bellissima donna (Sean Young) che lo ha aiutato nella sua missione, ma che in realtà è un modello ancora più sofisticato, e senza il limite dei quattro anni di vita: forse ci riuscirà (nella versione "classica" del film), forse no (nella versione originale).
Ciò che rende questo film un capolavoro, in effetti, non è tanto la storia (la caccia agli androidi non ha niente di speciale), quanto le considerazioni filosofiche sul senso della vita che emergono soprattutto nelle scene finali: quale vita è più degna di essere vissuta, quella dell'androide, che ha visto "cose che gli umani non potranno mai immaginare", o quella, ben più squallida, del cacciatore di androidi? E' più giusto che muoia il primo o il secondo? Il dilemma, irrisolto, si è ingigantito col tempo, fino a rendere leggendario Blade runner e costringendo anche i critici a rivedere i loro giudizi: e il fatto che da allora non si sia più visto un film di questo livello ha contribuito non poco alla sua leggenda. Ma se i capolavori fossero più frequenti, non sarebbero tali: l'importante è che ce ne siano, e che Blade runner sia uno di questi non è più in discussione, per fortuna.

1982 La cosa (The thing) Carpenter 9 5 7 5 7

John Campbell scrisse, molti anni fa, un romanzo breve dall'inquietante titolo "Who goes there?", romanzo giudicato tra i migliori mai scritti nel campo della fantascienza; e un certo Christian Nyby, forse "spalleggiato" da Howard Hawks, ne trasse un film, La cosa da un altro mondo, altrettanto incensato dalla critica nonostante ne avesse stravolto la trama, probabilmente per l'impossibilità di riprodurre fedelmente, all'epoca (1951), lo spaventoso mostro ideato da Campbell.
Mai si era visto sul grande schermo, infatti, qualcosa di più terrificante: massa informe di tentacoli e materia organica, capace di assumere qualsiasi forma, di uccidere col solo contatto, di dividersi in più parti, e infine di assimilare completamente esseri umani e animali, il mostro è intelligentissimo (del resto è venuto sul nostro pianeta in un'astronave) e fa di tutto per mimetizzarsi tra i componenti di una base scientifica in Antartide, dopo averne praticamente distrutta un'altra nelle vicinanze. Per buona parte del film il terrore regna sovrano: "la cosa" potrebbe comparire da un momento all'altro, saltando fuori da uno qualunque degli uomini, e in effetti questo è ciò che accade, quando nessuno se l'aspetta; poi, finalmente, un pilota di elicotteri (un grande Kurt Russell) prende in pugno la situazione, e trova un sistema per smascherare e distruggere quello che sembra l'ultimo mostro: ma un altro ancora si nasconde in uno dei cinque superstiti che alla fine, ridotti a due, si lasciano morire di freddo, nella base ormai distrutta da incendi ed esplosioni, lasciando lo spettatore nel dubbio che uno di loro, in realtà, non sia ciò che sembra.
Di film imperniati sulla lotta contro qualche mostro se n'erano visti a dozzine; come pure film in cui questo assumeva un aspetto umano, a partire da Destinazione Terra: eppure, La cosa, capolavoro del geniale regista americano John Carpenter, è il migliore di tutti. Perché? Probabilmente perché riesce, come nessun altro film prima di allora, a incutere nello spettatore un terrore autentico, una paura non solo del mostro in sé, ma anche della sua semplice apparizione. E così, dal primo all'ultimo minuto il film è tutto un succedersi di colpi di scena e di trovate memorabili (come dimenticare l'inizio, con un cane che fugge sulle distese innevate dell'Antartide, inseguito in elicottero da due sconosciuti che cercano di ucciderlo?), compreso un finale assolutamente non convenzionale, ma pienamente all'altezza di una trama straordinaria.
Talmente straordinaria che, forse, Carpenter non si è reso conto che il terrore suscitato dal mostro era così intenso da tenere lontani gli spettatori: così il film non ha avuto il successo sperato e molti credono tuttora che sia un semplice remake (e, in quanto tale, necessariamente inferiore) de La cosa di un altro mondo.
Invece non è affatto così: vedere per credere, sempre che se ne abbia il coraggio!

1982 E.T. l'extraterrestre (E.T.) Spielberg 10 9 7 10

Sono molti i film di fantascienza (e anche di altri generi) in cui eroi senza macchia e senza paura si contrappongono a mostri feroci e assetati di sangue, a robot impazziti o anche ad esseri umani particolarmente malvagi: ma difficilmente qualcosa del genere si vedrà mai in un film di Steven Spielberg, i cui eroi hanno sempre qualche problema da risolvere, e i cui cattivi, al massimo, si limitano a ruggire o a spalancare le fauci; non che squali e tirannosauri, beninteso, siano creature rassicuranti, ma almeno sono prevedibili, e più di tanto non possono far paura.
Non c'è quindi da stupirsi che, al suo secondo film di fantascienza, Spielberg tiri fuori dal cappello una specie di favola natalizia: un alieno piccolo, verdognolo e dall'animo mite e gentile viene lasciato sulla Terra, per errore, dai suoi compagni, e si ritrova nel giardino di una tipica famigliola americana; soccorso e nascosto dai tre figli, all'insaputa dei genitori, rimane con loro finché alcuni scienziati ne scoprono l'esistenza e lo catturano, pur non avendo cattive intenzioni. Ma a questo punto tutti i bambini dei dintorni si alleano, e riescono a liberare il piccolo alieno che, dopo un lungo inseguimento, arriva in tempo all'appuntamento con i suoi simili (dai quali era riuscito a farsi localizzare) e riparte per il suo mondo: e tutti, bambini e adulti, lo salutano commossi.
Ma se Spielberg fosse solamente un appassionato di favole, difficilmente avrebbe un pubblico oltre a quello infantile: il segreto di E.T., film che ha conquistato mezzo mondo e ha letteralmente creato il personaggio dell'alieno non solo buono, ma anche mite e indifeso, è un altro, ben più ricco di implicazioni. Quanti si sono resi conto, infatti, che il piccolo alieno, che muore, resuscita e alla fine rende buoni quegli stessi adulti che non sembravano altrettanto ben disposti verso di lui, non è altro che un nuovo Gesù Cristo, i cui apostoli sono i bambini? La metafora, a ben guardare, non è neanche difficile da cogliere, e relega quasi in secondo piano la trama stessa del film, il cui lato fantascientifico rimane un po' in ombra.
E quindi, che gli effetti speciali siano quanto di meglio si possa immaginare, non ha più grande importanza (eppure sono fondamentali nel rendere credibile l'alieno); come pure sembra secondario l'umorismo, a tratti geniale, con cui ci viene presentato il rapporto tra gli umani e l'extraterrestre (e che ci fa amare i personaggi): in realtà E.T. è un film veramente bello, con una storia superba e coinvolgente, e, purtroppo, uno degli ultimi capolavori del cinema di fantascienza mai girati. Ne vedremo mai un altro?

1982 Star Trek 2 - l'ira di Khan (Star Trek: the wrath of Khan) Meyer 7 8 5 6 6

Visto che l'idea di trarre un film dalla fortunata serie televisiva Star Trek aveva avuto grande successo, arriva ben presto, fatalmente, il primo di molti seguiti: seguiti che continuano tuttora.
La trama, stavolta, è più complessa rispetto a quella del primo film: tutto ruota intorno al progetto "Genesis", un metodo che consente il rapido sviluppo della vita su pianeti inospitali, e che è l'oggetto delle mire di Khan (Ricardo Montalban), un principe Klingon che ce l'ha a morte con Kirk (William Shatner); questi, a bordo dell'Enterprise, e coadiuvato dal solito equipaggio, in cui, come sempre, il signor Spock (Leonard Nimoy) e il dr. McCoy (DeForest Kelley) hanno il ruolo più importante, lo contrasta strenuamente, fino alla vittoria finale. Ma sarà una vittoria ottenuta a carissimo prezzo: per evitare che anche l'Enterprise esploda, nel corso dell'ultima battaglia, Spock si sacrifica: "la vita di molti vale più della vita di uno solo".
Tra i migliori film della serie, L'ira di Khan viene ricordato, soprattutto, per la morte del suo personaggio più popolare: le buone trovate, dal punto di vista fantascientifico, passano un po' in secondo piano, e così pure la ricchezza della trama e la buona caratterizzazione dei comprimari (mai così numerosi). Ma è anche vero che la morte di Spock è stata il pretesto per produrre altri film, pure di buon livello: nei quali, per fortuna, non mancheranno né la fantascienza né l'avventura. E neanche un po' di umorismo, che attenuerà un po' i toni drammatici dei primi film.

1982 Tron Lisberger 6 6 6 5 6 6

Film troppo in anticipo sui tempi per lasciare un segno duraturo, e magnificato erroneamente come "prodotto dai computer", in un'epoca in cui anche Spectrum e Commodore 64 erano di là da venire, Tron precede di ben due anni il famoso Neuromancer, capostipite di una lunga serie di romanzi, racconti e film basati sull'interazione "psichica" tra uomo e computer (in una parola: cyberpunk!).
La trama, semplice ma fortemente innovativa, vede un abile programmatore (un Jeff Bridges non molto adatto ai ruoli eroici) in lotta coi soliti, cattivi superiori animati da propositi megalomani, e da questi trasformato in programma e confinato all'interno di un computer: l'inevitabile lotta tra programmi buoni e cattivi, gli aiuti dall'esterno e finalmente il successo finale e la ricomparsa dell'eroe nel suo mondo si dipanano lungo linee meno innovative e più sfruttate rispetto all'idea originale. Alla fine, ciò che resta è appunto quest'idea, brillante ma non supportata in modo adeguato, e un fuoco d'artificio di effetti speciali che, in parte generati dalla grafica vettoriale dei primi computer degni di questo nome, appaiono oggi bizzarramente "fuori moda", ma non per questo meno suggestivi. E rimane anche una sensazione di assurdo: lo stesso film, girato oggi, sarebbe andato incontro a ben altro successo. E forse avrebbe dato molti punti ad opere più famose ma molto meno innovative e dalla trama ben più scadente.

1982 Videodrome Cronenberg 5 6 7 8 8

Con questo suo secondo film di fantascienza, David Cronenberg cerca di inserirsi più profondamente nel genere, dopo Scanners, i cui contenuti erano parzialmente orrorifici: James Woods, proprietario di una piccola TV privata, ne è il nervoso protagonista, che, dopo aver scoperto un'emittente pirata che trasmette violenze di ogni genere, probabilmente autentiche, diventa una specie di mostro, ormai dipendente dal mezzo televisivo, e mutato anche fisicamente in modo orrendo.
Visto di solito come una metafora dello strapotere della televisione, soprattutto in un'Europa sempre più americanizzata, il film non riesce, tuttavia, a centrare l'obiettivo: come nel già citato Scanners, Cronenberg si fa prendere la mano dal lato orrorifico, che stavolta risulta fine a sé stesso, e ciò che ne esce fuori è una trama sconclusionata e velleitaria, in cui capire qualcosa è impresa ardua, disgustarsi è facile, e annoiarsi risulta ancora più facile.
Alla fine, nonostante la potenza visiva di alcune trovate, e dei buoni effetti speciali, il film finisce per arenarsi, e la meta, forse troppo ambiziosa per un regista bravo ma ancora giovane, svanisce all'orizzonte.

1983 Brainstorm - generazione elettronica (Brainstorm) Trumbull 8 7 5 6

Da un'idea nuova e particolarmente audace, Douglas Trumbull, creatore degli effetti speciali di 2001, cerca di trarre un film con ambizioni smisurate: ma se molti anni prima, con 2002 la seconda odissea, un analogo tentativo aveva avuto un buon esito, stavolta il risultato è appena soddisfacente. La storia, infatti, narra di un gruppo di ricercatori, capeggiati da Christopher Walken e Louise Fletcher, che sviluppano un sistema per registrare il pensiero e poterlo poi riprodurre nella mente di qualcun altro: verso la metà del film la Fletcher ha un infarto ma, prima di morire, si collega all'apparecchio e registra ciò che prova; il contenuto del nastro, ovviamente, diventa preziosissimo (e pericoloso). Di che si tratta? Forse immagini della vita dopo la morte? E' solo dopo aver preso molte precauzioni che il suo collega riesce a esaminarlo, e quello che vede, in effetti, conferma la sue speranze: delle figure luminose a cui la defunta sembra avvicinarsi. E, caduto in catalessi, sembra volerle raggiungere a sua volta: solo le urla disperate della moglie (Natalie Wood, al suo ultimo film) lo fanno tornare nel mondo dei vivi.
Tuttavia, questa visione che tutti aspettano con ansia, non è (né può essere) all'altezza delle aspettative: se Trumbull sperava di affascinare il pubblico con un'immagine credibile dell'aldilà, e magari anche delle anime dei defunti, non è certo riuscito nel suo scopo; al massimo quello che si vede è solo un saggio della sua bravura nel campo degli effetti speciali. Meglio sarebbe stato lasciare la visione all'immaginazione dello spettatore, e concentrarsi sulla trama, lenta e infarcita di inutili digressioni sugli scopi occulti della scienza e della ricerca scientifica. Per fortuna un cast di prim'ordine tiene a galla il film: anche al di là dei suoi (non molti) meriti.

1983 Il ritorno dello Jedi (Return of the Jedi) Marquand 7 8 9 7 6 7

Se ne L'impero colpisce ancora Lucas era riuscito a costruire tante di quelle trame e sottotrame da tirar fuori dal cappello un seguito addirittura migliore dell'originale, in questo film conclusivo della trilogia di Guerre stellari si vede costretto a portarle tutte a compimento: la tensione narrativa cala fatalmente e la narrazione procede meccanicamente verso un finale quasi scontato.
E così si assiste all'inevitabile nuovo duello tra Luke (Mark Hamill) e Darth Vader, duello che vede, ovviamente, la rivincita di Luke: ma, com'era prevedibile, il signore oscuro ridiventa buono e arriva persino a uccidere l'imperatore, finalmente presente in carne e ossa. Ancora, la storia d'amore tra Han (il sempre magnifico Harrison Ford) e Leia (Carrie Fisher) va al suo compimento, dopo che lui è stato scongelato e recuperato dalle grinfie di Jabba (e Luke cessa di essere un rivale, per Han, nel momento in cui si scopre che Leia è sua sorella); tutti i cattivi, e non solo l'imperatore, vengono annientati (proprio Jabba è il primo a fare una brutta fine, insieme con Boba Fett); la nuova Morte Nera viene distrutta (da un'azione combinata di Han e Leia, a terra, e Lando, nello spazio); i buoni si salvano tutti (Yoda muore, ma di vecchiaia).
... E vissero felici e contenti, insomma. Un film abbastanza buono, tutto sommato, ma che, nel tentativo di rimediare ai problemi di fondo, si avvia per strade discutibili: per esempio, si tratta del primo film che ricerca nuovi effetti speciali fini a sé stessi, e non strettamente funzionali alla trama. Un modo come un altro, evidentemente, per rialzare l'attenzione dello spettatore, data la prevedibilità degli eventi narrati. O ancora, si tratta del primo film importante il cui finale sia stato stravolto dopo le preview (nell'originale Lando non si salvava): sempre per dare qualche altro contentino allo spettatore.
Insomma, un film che comincia a risentire, e abbastanza pesantemente, del meccanismo commerciale che ha impastoiato George Lucas e la sua creatività: e così il geniale autore di THX 1138, di American Graffiti e del primo, inimitabile Guerre stellari si avvia sulla strada della banalità. Sedici anni dopo, il primo film della nuova trilogia ce ne darà l'ultima conferma. Purtroppo.

1984 Buckaroo Banzai (Adventures of Buckaroo Banzai Across the 8th Dimension) Richter   6 6 5 5 5
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1984 2010 l'anno del contatto (2010) Hyams 7 8 5 5 6

Detestato dai critici e da molti appassionati per avere osato proseguire, rendendole oltretutto più razionali e meno misteriose, le vicende narrate in 2001, 2010 è invece un film sorprendentemente buono che, pagato il suo tributo all'illustre predecessore, rivela una trama molto coinvolgente, e con alcuni spunti di indubbio interesse.
Come tutti ricordano, David Bowman era sceso su Giove, dove aveva incontrato sé stesso ed era rinato (?); ma dopo, cosa può essere accaduto? 2010 ci dà la risposta: la Discovery rimane per 9 anni alla deriva intorno al pianeta, finché una missione congiunta russo-americana non parte per recuperarla e scoprire cosa sia successo. Il tentativo riesce, e si viene a sapere che Hal 9000, costretto a mentire agli astronauti sul vero scopo della loro missione, era impazzito per questo motivo; che Bowman, o il suo fantasma (un redivivo Keir Dullea), si aggira ancora da quelle parti, e infine che c'è vita su Europa, uno dei satelliti di Giove. Poi la situazione precipita, Giove esplode diventando una stella e le misteriose entità che controllano i famosi monoliti neri manifestano la loro presenza inviando sulla Terra un messaggio che scongiura in extremis la guerra nucleare: e, lasciandosi dietro Hal, che si sacrifica per la loro salvezza, gli uomini della missione russo-americana tornano a casa.
Molti, forse troppi, sono i messaggi lanciati da questo film, che sembra ancora animato dallo spirito degli anni '70, quando la fantascienza faceva pensare e lo spettacolo era spesso relegato in secondo piano; memorabile, ad esempio, una delle scene finali, in cui Hal 9000 insiste con fermezza per sapere cosa nascondano i preparativi degli astronauti e, saputo che questi hanno deciso di sacrificarlo, accetta il suo destino senza protestare: mentire, insomma, è sempre controproducente. Mettiamoci anche degli ottimi effetti speciali (emozionante la scena del passaggio dell'astronave intorno a Giove), e dei buoni attori (tra cui Roy Scheider e John Lithgow), e alla fine, nonostante qualche passaggio a vuoto, e a dispetto di un ritmo molto incostante, il film convince. Purché si smetta di paragonarlo a 2001, naturalmente.

1984 Dune Lynch 6 6 5 7 6 5

Quella di trasporre sul grande schermo il leggendario romanzo di Frank Herbert, vincitore di tutti i premi esistenti, e da molti celebrato come la migliore opera di fantascienza mai scritta, era senza dubbio un'impresa disperata; non tanto per l'eccezionale livello del libro, quanto per le incredibili complicazioni della trama, ricchissima di personaggi, sottotrame, ambientazioni e colpi di scena, e non priva di profonde (e spesso incomprensibili) disquisizioni mistico-filosofiche.
Pure, il grande talento di David Lynch sarebbe forse riuscito nell'impresa, se gli fosse stato concesso di girare un film lungo parecchie ore, secondo la sua idea iniziale: ma ridotto a poco più di due ore, grazie ai soliti ordini di scuderia, il film è diventato un ammasso informe di vicende incomprensibili e totalmente slegate fra di loro, ferocemente stroncate da tutti i critici e affossate dal giudizio del pubblico.
Della complessa trama rimane poco: praticamente solo la venuta della famiglia Atreides su Arrakis, detto Dune, pianeta desolato ma ricco di una droga essenziale per i viaggi nello spazio, e il suo sterminio ad opera di una famiglia rivale. Poi si salta subito alla vendetta dell'ultimo rampollo, il giovane Paul, e alla sua ripresa del potere: nulla, o quasi, resta della sua alleanza con gli abitanti del pianeta, della sua "iniziazione" ai loro misteri, del misticismo e dei ritmi lenti e solenni che scandiscono la vita nel deserto.
Ciò non toglie che, nonostante tutto, la bontà del romanzo (o meglio delle idee alla base del romanzo, e quindi del film) e la genialità di Lynch riescano in qualche modo a rispecchiarsi in ciò che è stato presentato al pubblico: le impressionanti scenografie, gli effetti speciali, la ricchezza delle trovate (si pensi solamente all'arma "fonica"!), e persino un cast sceltissimo (Kyle McLachlan, attore preferito di Lynch, Max Von Sydow, Silvana Mangano, Patrick Stewart, Sting), anche se non sempre all'altezza della situazione, contribuiscono a rendere almeno accettabile questo film: e talvolta si riesce perfino ad avere una vaga idea di quello che sarebbe potuto essere. Se non altro, ha contribuito a perpetuare il successo del romanzo, successo che ancora oggi dura immutato.

1984 Fratello di un altro pianeta (The brother from another planet) Sayles   8 7 5 8
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1984 Giochi stellari (The last starfighter) Castle   6 7 5 5 7
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1984 Orwell 1984 (1984) Radford 7 8 7 5 6

Poteva passare il 1984 senza che il famoso romanzo di George Orwell venisse adattato per il grande schermo? Ovviamente no: e così, dopo il film del 1956 (Nel 2000 non sorge il sole) lo spettatore può immedesimarsi nuovamente nell'orribile mondo futuro, dominato da una dittatura così spietata e onnipresente da proibire persino l'amore: la relazione clandestina che nasce tra i due protagonisti, Winston (John Hurt) e Julia (Suzanna Hamilton) viene ben presto scoperta e punita con la tortura; un solerte funzionario del partito (un magnifico Richard Burton, al suo ultimo film) si occupa personalmente di "convincere" Winston a rinnegare la ragazza: e così quando i due vengono liberati, sono ormai innocui, docili strumenti nelle mani del potere, e dell'onnipresente (ma esisterà davvero?) Grande Fratello.
Più convincente rispetto al film del 1956, 1984 riesce, indubbiamente, a trasmettere in pieno allo spettatore tutto l'orrore della spaventosa situazione: nonostante una trama monotona, e che concede poco spazio allo spettacolo, lo spirito del libro di Orwell viene reso con una certa efficacia; soprattutto la mancanza di speranza è quasi palpabile, in un mondo che a poco a poco si chiude sui due protagonisti fino a soffocarli. Pochi film danno una sensazione di malessere, e 1984 è uno di questi: forse non sarà un merito, ma almeno, in questo caso, la colpa non è del regista: lui ha fatto del suo meglio, mentre il libro, probabilmente, è troppo angosciante per diventare un buon film.

1984 Philadelphia experiment (The Philadelphia experiment) Raffill 6 7 5 5 5

Cosa è successo veramente all'incrociatore americano USS Eldridge nel 1943, nel corso di un misterioso esperimento su cui molti hanno fantasticato? Si dice che lo scopo di tale esperimento fosse quello di far diventare invisibile la nave, ma che sia invece accaduto qualcosa di inaspettato. Cosa, non si sa; ma perché non trarne un film di fantascienza? E così, Philadelphia experiment immagina che la nave sia stata risucchiata da una specie di buco nero apertosi tra la sua epoca e la nostra (dove è in corso un esperimento analogo), e che due marinai (Michael Paré e Bobby Di Cicco), saltati fuori bordo, si siano ritrovati nel 1983, con ovvie conseguenze; in seguito uno dei due viene "risucchiato" nel passato, mentre l'altro rimane nella nostra epoca e finisce, dopo molte peripezie, per tornare nel buco nero, a bordo della nave, per fermare i macchinari che lo hanno generato, prima che tutto l'universo vi venga risucchiato: infine, un attimo prima che le due epoche si separino, sceglierà di tornare nella nostra, dove una ragazza (Nancy Allen) lo attende ...
Tra i pochi film ad affrontare con decisione il tema del viaggio nel tempo e i suoi paradossi, Philadelphia experiment non riesce, tuttavia, a convincere pienamente: i suoi autori preferiscono concentrarsi sui problemi incontrati nel 1983 da un marinaio di quarant'anni prima, e sul lato avventuroso della vicenda, piuttosto che sui complessi aspetti fantascientifici della storia; questa si riduce, in sostanza, a un banale film d'azione con qualche spunto brillante, e lascia un po' d'insoddisfazione nello spettatore che si aspettava, date le premesse, molto di più.
Forse, con uno sceneggiatore più in gamba, e una maggiore convinzione nelle possibilità della trama, questo film sarebbe potuto diventare una pietra miliare nella storia del cinema di fantascienza. Ma ancora una volta (e in futuro capiterà sempre più spesso) i soldi sono stati tutti spesi in effetti speciali fini a sé stessi.

1984 Repo man - il recuperatore (Repo man) Cox   7 7 5 6 3
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1984 Starman Carpenter 7 7 5 5 6

Il 1982 era stato un anno ricco di ottimi film di fantascienza, fra i quali La cosa di Carpenter ed E.T. di Spielberg: il successo di quest'ultimo fu strepitoso, almeno quanto il fiasco del primo. Risultato: il successivo film di Carpenter, vale a dire Starman, altro non è che una versione adulta di E.T.
Per fortuna, la mano di Carpenter si vede sempre: il film, che rischiava la retorica, se non il ridicolo, ad ogni fotogramma, si mantiene sempre alla larga dai pericoli, e procede sicuro narrando le vicende di uno sfortunato alieno, giunto fra di noi per un guasto al suo veicolo, e che, assunto un aspetto umano e grazie all'aiuto di una giovane e piacente vedova (Karen Allen), riesce a tornare sano e salvo dai suoi simili; gli sforzi del governo per catturarlo, e vivisezionarlo, verranno vanificati proprio all'ultimo istante.
Tanto feroce era l'alieno de la cosa quanto è buono quest'altro (interpretato da uno spaesato Jeff Bridges), capace anche di resuscitare i morti: e non vi è dubbio che il pregio maggiore del film stia proprio nella figura del protagonista che, pur senza avere la dolcezza del personaggio di Spielberg, ne ha però tutto il candore, e sa commuovere quasi allo stesso modo. Meno efficace è invece la trama, che procede verso un finale abbastanza scontato con qualche incertezza di troppo: ma che Carpenter preferisca i film più cupi, quasi orrorifici, a quelli leggeri, non è certo un mistero. Questo film, evidentemente, è stato il prezzo che ha dovuto pagare per poterne girare degli altri: e, tutto sommato, non è andata affatto male.

1984 Star Trek 3 - alla ricerca di Spock (Star Trek 3 - the search for Spock) Nimoy 6 8 5 5 6

Quella di far morire Spock, alla fine del precedente film della serie Star Trek, non era stata indubbiamente una buona idea, dal punto di vista del botteghino: senza il suo personaggio più popolare, sarebbe stato difficile continuare con successo.
Per cui, giunti al terzo film, gli sceneggiatori fanno i salti mortali pur di resuscitare Spock: si scopre che il suo "spirito" si è unito a quello di McCoy (DeForest Kelley), e che un uso disinvolto del progetto Genesis (per salvare il quale Spock si era sacrificato) può resuscitarlo, o meglio reincarnarlo. Ecco quindi Kirk (William Shatner), di nuovo al comando dell'Enterprise, disubbidire a tutti gli ordini, e combinare disastri a tutto spiano pur di riuscire nel suo intento: alla fine del film la famosa astronave verrà distrutta (dopo essere stata scambiata con un vascello Klingon), suo figlio farà una brutta fine, il progetto Genesis andrà in fumo e la corte marziale si preparerà a fargliela pagare. Ma almeno un ragazzino destinato a crescere velocemente, ridiventando Spock, tornerà indietro con i nostri eroi, e gli spettatori potranno finalmente tirare un sospiro di sollievo.
Film dalla trama contorta e spesso ingenua, questo terzo film non è tra i migliori, pesantemente condizionato dalla necessità di far resuscitare il suo personaggio più carismatico: comunque non è neanche fra i peggiori, e anche se si dimentica che si tratta più che altro di un "ponte" in vista del quarto, e migliore film, si lascia vedere con piacere quasi immutato.

1984 Terminator (The terminator) Cameron 8 9 7 8 8

Il futuro presentato in questo film è peggiore del solito: non solo l'umanità è stata distrutta dalla guerra nucleare, ma gli scampati vengono ulteriormente decimati da automi di ogni genere che, ormai in grado di riprodursi, hanno preso il sopravvento sugli esseri umani; tuttavia i superstiti, guidati da un certo John Connor, resistono con successo, al punto che gli automi decidono di eliminarlo mandando nel passato un sofisticato cyborg incaricato di ucciderne la madre: prima che lui nasca, ovviamente.
E così, nel corso del film, vediamo fronteggiarsi il cyborg (un magnifico Arnold Schwarzenegger) e un umano (Michael Biehn), mandato a sua volta nel passato per difendere la futura madre (Linda Hamilton); ma, nonostante gli sforzi di quest'ultimo, e il suo estremo sacrificio, il cyborg si rivela quasi indistruttibile, salvo finire schiacciato da una pressa un attimo prima di portare a termine la sua missione. E la madre che, guarda caso, si era innamorata dell'uomo venuto dal futuro, se ne ritrova incinta, dando così il via a un brillante paradosso ...
Primo film importante diretto da James Cameron, Terminator ha tutti i pregi che caratterizzano le opere del regista americano: una trama solida e lineare, basata su un solo spunto veramente importante (in questo caso la lotta contro il cyborg, che pensa solo a uccidere la donna, costi quel che costi), e qualche sottotrama ben delineata, ma che non disturba affatto lo sviluppo della vicenda principale (la storia d'amore tra i protagonisti, il paradosso temporale, l'apocalittico mondo futuro); un ritmo incalzante, ma non frenetico al punto da rendere incomprensibile quello che accade; una grande cura dei particolari e degli effetti speciali e, dulcis in fundo, un'ottima prova degli interpreti, compreso uno straordinario Arnold Schwarzenegger, capace di rifiutare il ruolo del protagonista per potersi esprimere al meglio in quello del cyborg, ben più adatto, nella sua totale mancanza di sentimenti, ad un attore noto per la sua scarsa espressività.
Tanto basta, pur in mancanza di un'idea veramente originale, a fare di Terminator un piccolo capolavoro, tanto più che all'epoca regista e interpreti (Schwarzenegger compreso) erano quasi sconosciuti: ma una volta tanto il successo di pubblico è andato a un film che lo meritava ampiamente!

1985 Cocoon - l'energia dell'universo (Cocoon) Howard 9 7 7 7

All'inizio degli anni '80, film come E.T. e Starman, che parlavano essenzialmente di alieni buoni e indifesi, avevano avuto un grande successo: nella loro scia arriva sul grande schermo Cocoon, che racconta di un piccolo gruppo di extraterrestri tornati sulla Terra, dopo moltissimi anni, per recuperare alcuni dei loro, rimasti ibernati in fondo al mare dopo la distruzione dell'insediamento che avevano creato sul nostro pianeta (Atlantide, a quanto sembra di capire): recupero assai complicato, tuttavia, che prevede dapprima il ripescaggio degli involucri che racchiudono i loro compagni, poi la loro immersione in una piscina rifornita di una speciale energia, e infine il loro risveglio. Alla fine le complicazioni diventano troppe: il tizio (Steve Guttenberg) della cui barca gli extraterrestri si servono per le ricerche sottomarine, scopre la vera natura dei suoi clienti (che hanno assunto un aspetto umano) e si innamora di una di loro (Tahnee Welch); alcuni vecchietti, che vivono in un ospizio non lontano dalla piscina "energetica", scoprono che immergendovisi possono recuperare forze e salute: alla fine gli extraterrestri rinunciano a risvegliare i loro compagni, e portano con sé, al loro posto, alcuni dei simpatici vecchietti, con i quali hanno fatto amicizia: li attende una nuova vita, senza malattie e, soprattutto, senza la morte.
Con uno spunto del genere, Cocoon non sembra neanche un film di fantascienza, ma piuttosto una simpatica favola per bambini, o al massimo per le loro famiglie: leggero e gradevole, non offre particolari emozioni, o fantastiche visioni di altri mondi, o battaglie negli spazi; e nonostante una trama accattivante, e che si ricorda sempre con piacere, non è certo all'altezza di un film come E.T., capace di toccare i sentimenti più profondi dello spettatore. Gli attori, comunque, sono bravissimi; vale la pena di ricordare, tra gli arzilli vecchietti, almeno Don Ameche e Jessica Tandy, che negli anni '80 hanno vissuto una specie di seconda giovinezza: che l'acqua miracolosa della piscina di Cocoon abbia funzionato davvero?

1985 Mad Max oltre la sfera del tuono (Mad Max beyond thunderdome) Miller   6 7 7 6 8
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1985 Il mio nemico (Enemy mine) Petersen 6 7 7 5 5

Nessun dubbio: Il mio nemico deve molto, oltre che all'omonimo libro da cui è tratto, al celebre Duello nel Pacifico, film che vedeva un americano e un giapponese, durante la guerra, naufragare su un'isola deserta, sopravvivere in mezzo a mille difficoltà, e infine diventare amici. La stessa cosa, infatti, succede a un umano (Dennis Quaid), e a un Drac (Louis Gossett jr.), che si ritrovano isolati su un pianeta ai margini della Galassia, e che non solo diventano amici, ma finiscono addirittura per condividere la nascita di un bambino: il Drac, infatti, è ermafrodito, e un giorno partorisce, lasciando di stucco il suo nuovo amico; ma poi, le complicazioni del parto sono fatali all'alieno, e l'umano si ritrova da solo col piccolo.
Dopo qualche altra avventura, i due vengono finalmente recuperati: e, ben presto, ovviamente, uomini e Drac imparano a convivere felicemente, grazie anche all'amicizia tra i protagonisti, che nei molti anni passati insieme hanno imparato ad apprezzarsi a vicenda; e non solo per le loro capacità, ma anche (e soprattutto) per la cultura dei loro popoli.
Ma se il libro da cui è tratto Il mio nemico è un piccolo capolavoro, altrettanto non si può dire del film: la storia, che nel romanzo si concentrava principalmente sull'incontro fra le due culture, e sul superamento della diffidenza tra i protagonisti, nel film diventa una variante sul tema di Robinson Crusoe, spettacolare quanto si vuole, ma meno interessante per gli appassionati. Come al solito, Hollywood non ha voluto rischiare: fortuna che, almeno stavolta, il risultato non è poi così malvagio.

1985 Ritorno al futuro (Back to the future) Zemeckis 8 8 7 7 8

La scena iniziale di questo film, sospesa tra il comico e il surreale, fa da premessa (e che premessa!) a una storia magnifica, forse la migliore in assoluto tra quelle che hanno trattato il difficile tema del viaggio nel tempo: Marty McFly, un adolescente appassionato di musica rock (l'allora sconosciuto Michael J. Fox), entra in un laboratorio dove campeggia un impianto stereo di dimensioni colossali, lo accende e vi attacca la sua chitarra elettrica; ma appena ne sfiora una corda, il boato emesso dalle casse distrugge l'intero laboratorio.
Dopo di che, la vicenda entra nel vivo; Marty viene invitato dal padrone del laboratorio, lo scienziato pazzo "Doc", da sempre suo amico (Christopher Lloyd), a filmare un esperimento molto particolare: il collaudo di una macchina del tempo, inserita all'interno di un'automobile che deve raggiungere la velocità di 88 miglia orarie per poter effettuare il salto temporale. Ma, durante il collaudo, lo scienziato viene ucciso da un gruppo di terroristi ai quali aveva sottratto il plutonio necessario al funzionamento della macchina: Marty la utilizza per fuggire, e si ritrova nel passato, trent'anni prima. Un tempo non enorme, ma invalicabile senza l'aiuto dello stesso "Doc" che, ancora giovane ma già con qualche rotella fuori posto, si prodiga per riportare il suo amico nel futuro: dopo molti colpi di scena il tentativo riesce, non senza che la stessa esistenza "futura" di Marty (che ha interferito nell'incontro fra i suoi genitori) sia stata messa in pericolo. Ma nonostante tutto, qualcosa, una volta che il ragazzo è tornato nel suo tempo, è cambiato, a partire da "Doc", che scampa all'agguato dei terroristi, e dallo stesso Marty, i cui genitori sono diventati ricchi e famosi, e non più frustrati e infelici ... miracoli dei paradossi temporali!
Ma il vero miracolo di questo film sta nell'essere riuscito a proporre il tema del viaggio nel tempo in chiave quasi surreale: l'epoca visitata da Marty (il 1955) è nello stesso tempo vicina e lontanissima dalla nostra, e il protagonista vi si muove con leggerezza, dapprima imbarazzato e intimorito dalle situazioni che incontra (anche bere una bibita può essere difficile, dato che le lattine non esistono ancora), in seguito sempre più sicuro di sé stesso, e in grado di rovesciare ogni situazione a suo favore (memorabile la scena in cui, con addosso una tuta anti-radiazioni, e servendosi di musica rock a tutto volume, riesce a spacciarsi per un alieno agli occhi del suo futuro padre); alla fine, più che il viaggio nel tempo, è il fascino della situazione e la disinvoltura di Marty che colpiscono nel segno: e nonostante non ci siano mostri, e neanche alieni, esplosioni o morti ammazzati, lo spettatore rimane inchiodato alla sedia dalla prima all'ultima scena. Niente male: specialmente se si pensa che questo film e' l'ultimo, vero capolavoro del cinema di fantascienza. E, dopo tanti anni, nulla fa pensare che ne arriveranno presto degli altri.

1985 La Terra silenziosa (The quiet Earth) Murphy   7 7 3   7
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1986 Aliens scontro finale (Aliens) Cameron 7 8 9 7 7 8

E' davvero così buono questo film? Molti appassionati, forse addirittura la maggior parte, lo preferiscono al suo predecessore, il formidabile Alien; e questo nonostante l'opera di Cameron si collochi molto al di sotto di quella di Scott, regista dotato di ben altra fantasia e capacità: in Aliens, infatti, vengono a mancare gli spunti originali del primo film, e così pure i colpi di scena a ripetizione; persino l'atmosfera claustrofobica ed angosciante del capolavoro di Scott non ha, riportata nel seguito, la stessa efficacia.
Aliens, in poche parole, si riduce a una continua serie di combattimenti tra un gruppo di umani, armati fino ai denti e decisi a vender cara la pelle, e un numero sterminato di mostri: alla fine avranno la meglio i secondi, anche se all'ultimo momento la solita Ripley (di nuovo Sigourney Weaver), unica (o quasi) superstite del gruppo, riuscirà a prendere il largo dopo avere eliminato l'ultimo mostro. Perché gli umani si siano recati sul pianeta infestato dai mostri, poco importa: ufficialmente per salvare un gruppo di coloni (il pianeta è lo stesso in cui, nel primo film, era stata ritrovata la prima creatura), in realtà per recuperare un mostro a fini commerciali (quando capiremo perché la famigerata compagnia che sponsorizza questi tentativi insista tanto a volersi servire di creature così feroci e intrattabili, avremo capito anche il senso della vita). Infine, perchè Ripley sia di nuovo con loro, importa ancor meno (si è unita al gruppo come "consulente").
Il risultato è un film che si lascia vedere, ricco di azione, di tensione, di scene drammatiche, di orrore, di scoperte improvvise e perfino di qualche colpo di scena: quanto basta (e avanza) per esserne soddisfatti. Ma al di là della sua perfetta costruzione, c'è qualche spunto tale da giustificarne l'esistenza?
Se "fare più soldi possibile" è uno spunto valido, la risposta è affermativa. Altrimenti ...

1986 Corto circuito (Short circuit) Badham 6 7 7 7 7

Dopo il grande successo di E.T., e dopo che Starman aveva confermato che il tema dell'alieno timido e indifeso che riesce a conquistare il cuore degli esseri umani riusciva gradito al pubblico, Corto circuito ce ne propone una variante piuttosto originale: l'alieno è un robot, costruito in origine a scopi militari, e che, dopo essere stato colpito da un fulmine, prende coscienza di sé, diventando intelligente e, soprattutto, pacifico.
La trama, ricca di spunti brillanti e di battute notevoli, prosegue mostrandoci il robot che, piombato in casa di Stephanie (Ally Sheedy), un'ecologista che lo scambia per un marziano, viene "istruito" a base di televisione e letture superveloci, fino all'arrivo dei militari, decisi a recuperarlo e a distruggerlo; ma infine, la strenua lotta sostenuta contro questi ultimi dalla ragazza, aiutata da uno dei progettisti innamoratosi di lei (Steve Guttenberg), nonché dallo stesso robot, ha successo: l'automa, ispirandosi ai numerosi film visti in televisione, trova un sistema per essere lasciato in pace, e rimane con quelli che ormai sono diventati i suoi amici.
Leggero e frizzante, Corto circuito non ha certo i contenuti di E.T., e a molti potrà sembrare un semplice remake dell'opera di Spielberg: ma ciò non toglie che il succedersi delle battute e delle citazioni trovi pochi riscontri tra i film di fantascienza, di solito poco inclini a stemperare nell'umorismo trame quasi sempre drammatiche. Se pensiamo che, oltretutto, la storia non è banale, e riesce spesso ad essere avvincente e con qualche momento di suspence, ci sarebbe quasi da gridare al miracolo: peccato che i miracoli di questo tipo, tuttavia, siano così rari!

1986 Dreamscape - fuga nell'incubo (Dreamscape) Ruben   6 8 5 5 6
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1986 La mosca (The fly) Cronenberg 8 7 7 7 8 8

La storia è nota. Uno scienziato inventa il teletrasporto e lo prova su sé stesso: ma a causa di una mosca che partecipa involontariamente all'esperimento, diventa un mostro e finisce per fare una brutta fine. Con questo film David Cronenberg dà una brillante dimostrazione di come si debba realizzare un remake di un grande film: se ne tengono solo le idee principali, e si sceglie uno sviluppo del tutto differente. Beninteso, questo funziona se ci si chiama Cronenberg: diversamente, il disastro, se non il ridicolo, è in agguato dietro l'angolo, una volta che la strada scelta per rinnovare l'idea di partenza si sia dimostrata quella sbagliata.
Il regista canadese, qui al meglio delle sue possibilità, decide di abbandonare l'atmosfera ricca di mistero del primo film, atmosfera che puntava tutto su ciò che non si vedeva, e ancor più su ciò che non si sapeva (e non si voleva sapere), per fare la scelta opposta: tutto ci viene mostrato, tutto è palese fin dall'inizio, fin da quando lo spettatore vede una mosca entrare, all'insaputa dello scienziato, nella capsula fatale. L'orrore che deriva dalla situazione, sorretto da effetti speciali pienamente all'altezza, colpisce allo stomaco, ma evitando sempre di diventare fine a sé stesso, trasformandosi in puro splatter. Non ne siamo lontani, ma ogni dubbio viene spazzato via nell'ultima scena, quando lo scienziato, che oltre a trasformarsi in mosca ha progressivamente perso la sua umanità, la recupera con un solo, toccante gesto, e questo proprio nel momento in cui la mostruosità del suo aspetto ha raggiunto il culmine, rendendolo un ammasso informe di carne e metallo fuso senza più nulla di umano e nemmeno di animalesco.
La narrazione serrata e in crescendo verso il tragico finale, tra un orrore e l'altro, fa il resto: quello che manca ce lo mettono i due protagonisti, un tenebroso Jeff Goldblum nella parte dello scienziato, e una sfortunata Geena Davis nella parte della sua donna. Se non fosse stato per l'inarrivabile scena finale del primo film, Cronenberg sarebbe forse riuscito nell'impresa di girare un remake dello stesso livello del film originale!

1986 Navigator (Flight of the navigator) Kleiser   7 5 5 6
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1986 Star Trek 4 - rotta verso la Terra (Star Trek 4: the voyage home) Nimoy 7 9 5 7 7

Alla fine dell'ultimo film si era finalmente rivisto il signor Spock (Leonard Nimoy), miracolosamente resuscitato dopo essersi sacrificato per i suoi compagni: all'inizio di questo lo vediamo "crescere", dapprima fisicamente (non si era certo reincarnato già adulto!) e poi anche mentalmente, fino al suo completo "recupero"; solo a questo punto inizia l'avventura vera e propria.
Vediamo così i nostri eroi, sempre capitanati da James T. Kirk (William Shatner) e assistiti dal dottor McCoy (DeForest Kelley), tornare verso la Terra, dove li aspetta la corte marziale per punirli dei disastri combinati nell'episodio precedente; ma la Terra è in grave pericolo, minacciata da una misteriosa sonda che lancia segnali incomprensibili e, a quanto pare, diretti alle balene: queste, però, sono estinte, e l'unica soluzione è quella di tornare indietro nel tempo e recuperarne qualcuna. Detto fatto: Kirk e compagni riescono a trasferirsi ai nostri giorni (sfruttando un non meglio precisato passaggio dentro il Sole) e a trovare due balene, di cui si serviranno per sventare i pericoli futuri e farsi perdonare dalla corte marziale.
Tutto è bene quel che finisce bene, dunque: ma in questo film non è tanto il lato avventuroso ad appassionare lo spettatore, quanto quello brillante (qui presente per la prima volta); il contrasto fra la superiore tecnologia (e saggezza) dei membri dell'Enterprise e la stupidità tipica dei nostri tempi è assolutamente irresistibile, e non fa rimpiangere il mancato sfruttamento di un tema fantascientifico affascinante come il viaggio nel tempo. Alcune sequenze, poi, sono memorabili, specialmente quelle che vedono protagonista Spock, in grado di parlare con le balene e di tramortire i moderni rompiscatole (tra gli applausi) grazie alla stretta vulcaniana.
Poca fantascienza, insomma: ma ciò non toglie che questo quarto film della serie sia di gran lunga, a tutt'oggi, il migliore.

1987 L'alieno (The hidden) Sholder 7 7 8 7 7 6

Il tema dell'alieno che entra dentro un essere umano, e in seguito cambia ospite, così da non farsi scoprire, non nasce certo con questo film: già negli anni '50, con Ho sposato un mostro venuto dallo spazio, si era visto qualcosa del genere, e ad un livello piuttosto buono. Per di più La cosa, senza dubbio il film che meglio è riuscito a realizzare questa idea, risale a soli 5 anni prima: eppure L'alieno riesce ancora a trovare degli spunti originali, che uniti ad un ritmo incalzante e ricco di tensione ne fanno un piccolo capolavoro.
L'alieno in questione è un orribile verme, che entra negli esseri umani dalla bocca, impossessandosi della loro mente, e rendendo molto più robusto il loro corpo, al punto che anche le pallottole servono a poco. Per fortuna c'è un altro alieno, buono, che gli dà la caccia (un serafico ma inquietante Kyle McLachlan), e che riesce a distruggerlo solo dopo molti trasferimenti da un corpo all'altro (compreso, in mancanza di meglio, quello di un cane).
Diverse trovate brillanti, e molti piccoli colpi di scena arricchiscono continuamente la trama, evitando di farla cadere negli stereotipi del genere, e anzi, rasentando spesso l'ironia: basti citare il dialogo fra i due alieni che si rinfacciano a vicenda le loro esperienze "umane", suscitando un preoccupato stupore tra i presenti (alcuni detenuti in una stazione di polizia), e la memorabile battuta "che razza di bestie siete?". Pochissimi, ma eccellenti, effetti speciali completano l'opera: l'ultimo tocco glielo dà un inaspettato finale agrodolce, che ci permette, tra l'altro, di scoprire il vero aspetto dell'alieno buono.
Una pietra miliare del cinema di fantascienza, no. Ma un film che sorprende positivamente, sì.

1987 L'implacabile (The running man) Glaser   6 7 7 5 6
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1987 Predator McTiernan 7 8 7 6 8

Più le idee sono semplici, più è facile ricavarne dei buoni film: e Predator non fa eccezione.
L'idea in questione è davvero semplice: un alieno, in una foresta sudamericana, dà la caccia a un gruppo di militari (che sono lì per combattere dei guerriglieri), e li uccide tutti, uno dopo l'altro. Ma l'ultimo superstite (un indomabile Arnold Schwarzenegger) è più in gamba degli altri, e riesce a uccidere, proprio quando sembra spacciato a sua volta, il temibile avversario.
Tutto qui? Ma da un'idea semplice può nascere una trama complessa e ricca di spunti: e questo film ne è la dimostrazione. Innanzitutto, l'alieno non è la solita creatura gelatinosa o zannuta, animata solo da ferocia fine a sé stessa; è invece un cacciatore in piena regola, che uccide con metodo, e dispone di armi sofisticate e temibili; il fatto che abbia davvero le zanne e un aspetto ripugnante è solo un particolare, e neanche importante, dal momento che lo si scopre solo alla fine. Anche l'ambientazione nella foresta, pur non essendo del tutto originale, è interessante, e ci permette di assistere a un finale un po' diverso dal solito, in cui l'alieno, invece di soccombere di fronte a bombe, lanciafiamme o missili, come capita quasi sempre, viene sconfitto dall'astuzia, e dalla migliore conoscenza del terreno (e delle tattiche di guerriglia) del suo avversario umano.
Ma forse la verità è ancora più semplice: il tema della lotta contro un mostro assetato di sangue è sempre stato popolare, e se la trama ha il ritmo giusto, se l'alieno è veramente pericoloso, e se i protagonisti sono capaci di imprese mirabolanti, il successo è assicurato. Ambientazione, armi: contano fino a un certo punto. Purché non si esageri, ricorrendo a mostri troppo spaventosi (Godzilla) o ad alieni invincibili (Independence day): il ridicolo è sempre in agguato, e il merito maggiore di Predator, come nei migliori film del genere, è quello di averlo evitato. E di molto.

1987 Robocop Verhoeven 7 8 7 7 7

Robocop è uno di quei film che lasciano il segno: se ad una prima lettura può sembrare, con poche varianti, la solita storia del poliziotto buono in lotta contro il resto del mondo, col passare del tempo ci si rende conto che mentre altri film analoghi svaniscono del tutto dalla nostra memoria, qualche particolare di questo riemerge di tanto in tanto. E ogni volta è un particolare diverso.
Se da un lato, infatti, l'idea dell'uomo trasformato in macchina, ma che mantiene ancora qualche sentimento, non è proprio originale, è invece notevole lo sviluppo che Paul Verhoeven, regista olandese di grande talento immigrato ad Hollywood a metà degli anni '80, riesce a dare alla trama: fuori i sentimentalismi, la retorica, il dramma interiore di ciò che era un uomo e adesso una specie di mostro; dentro tutta la crudezza della nuova situazione, la spietatezza di una società così cinica e violenta da doversi affidare ai cyborg per la sua sopravvivenza, ma sempre incapace di riscattarsi, di rinunciare ai piccoli e grandi imbrogli che la corrompono e ne rendono quanto mai oscuro l'avvenire, a dispetto degli sforzi del nostro eroe.
Il quale eroe (un grande Peter Weller) è, all'inizio del film, un semplice poliziotto destinato a fare una brutta fine nel corso di una sparatoria: poiché salvarlo risulta impossibile, viene trasformato in un cyborg al servizio della legge ... e della multinazionale che lo "costruisce", come si verrà a scoprire più avanti. Ma tutto è bene ciò che finisce bene, e nonostante qualche problema di "funzionamento", il nostro eroe, forse con ancora un residuo di umanità nei suoi circuiti, sconfigge tutti i cattivi, inclusi quelli insospettabili.
Molte ottime trovate arricchiscono un film dalla trama già brillante: la dimostrazione di un altro prototipo, un robot che si rivela malfunzionante e attacca i suoi stessi costruttori; le famose tre leggi della robotica, impiantate, con qualche variante (e una quarta, misteriosa legge), nel software del cyborg; la stupenda trovata finale, che consente al cyborg di liberarsi del cattivo di turno nonostante questi sia assolutamente inattaccabile. Persino la violenza, sempre presente, e spesso a sproposito, nei film di Verhoeven, ha un suo ruolo in questo film.
Perché stupirsi, alla fine, se ben pochi film, dopo Robocop, hanno saputo offrire allo spettatore qualcosa in più?

1987 Salto nel buio (Innerspace) Dante 6 7 7 5 8

Molti anni dopo Viaggio allucinante, un altro film riesce a mostrare l'interno di un corpo umano: ma se la trama, allora, era drammatica, e la storia si basava su una corsa contro il tempo per salvare la vita di uno scienziato, Salto nel buio appare, invece, come un incrocio fra una commedia e un film di spionaggio, con risultati interessanti, ma non eccezionali.
Lo spionaggio, ovviamente, riguarda il procedimento di miniaturizzazione, che vede coinvolto Tuck Pendleton, un militare indisciplinato ma simpatico (Dennis Quaid): quando, all'interno di un sottomarino, e già ridotto a dimensioni microscopiche, sta per essere iniettato in un coniglio, un commando fa irruzione nel laboratorio dove l'esperimento è in corso, e si impadronisce del microchip che controllano il procedimento; ma uno scienziato fugge, e prima di essere ucciso inietta Tuck (che non si è accorto di nulla) in un passante. Questi, un timido impiegato privo di ambizioni (Martin Short), viene faticosamente convinto da Tuck a diventare un eroe, e, aiutato dalla sua fidanzata (Meg Ryan), sconfigge i cattivi di turno e recupera il microchip rubato: Tuck viene riportato alle dimensioni normali appena in tempo (sta finendo la provvista d'aria), e l'impiegato, ormai diventato un uomo sicuro di sé, si licenzia. E forse il suo aiuto servirà ancora, dato che non tutti i cattivi sono stati arrestati ...
Non eccelsa sul piano fantascientifico, la trama di Salto nel buio brilla, invece, su quello della commedia: alcuni momenti sono memorabili (l'impiegato che, quando sente dentro di sé la voce di Tuck, crede di essere posseduto), altri sono più banali, ma nel complesso il film regge bene. Buono, ma non più del solito, anche il lato avventuroso: le solite sparatorie, le consuete scazzottate, un pizzico di suspence qua e là, qualche cattivo meno stereotipato del solito. Nel complesso, un buon film, costruito in modo da piacere a tutti, e non solo agli appassionati: e forse è proprio questo il maggiore dei suoi pregi.

1988 Alien nation Baker 6 6 7 5 5 6

Da sempre gli alieni sono stati presentati o come mostri assetati di sangue, o come esponenti di razze superiori, magari venuti a portare sulla Terra pace e fratellanza; ma non era mai capitato, prima di questo film, che avessero problemi di integrazione con gli esseri umani, come se fossero dei semplici immigrati.
Questa è l'idea alla base di Alien nation, indubbiamente tra le più originali degli ultimi anni, e che purtroppo non viene sviluppata come avrebbe meritato: il film, dopo averci mostrato l'arrivo degli alieni a Los Angeles, e l'accoglienza ricevuta, non certo entusiastica, si trasforma nel classico poliziesco imperniato su una coppia di agenti alle prese con un caso difficile; caso che, ovviamente, si conclude sempre con la morte o con l'arresto di tutti i cattivi. In questo caso uno dei due agenti è un alieno (Mandy Patinkin), e il successo delle sue indagini aiuterà i suoi compagni a integrarsi con gli esseri umani: un matrimonio misto, dulcis in fundo, suggellerà la fratellanza tra le due razze.
Insomma, un'ottima idea sprecata banalmente: come sprecato è un invecchiato, ma sempre grintoso James Caan nella parte del secondo poliziotto. Una regia mediocre non aiuta il film, e anche gli effetti speciali non sono niente di eccezionale: se almeno ci fosse stata una scena memorabile, o un dialogo da ricordare, o un personaggio ben caratterizzato ... invece, nulla. Peccato.

1988 Essi vivono (They live) Carpenter 6 7 6 7

Sarà vero che con questo film John Carpenter torna ai livelli di un tempo, dopo diversi film non all'altezza della sua fama? Purtroppo non è così, e il fatto che Essi vivono si regga su un'idea eccellente non basta a rendere un capolavoro una trama che punta troppo sul lato avventuroso, trascurando quello fantascientifico.
L'idea, in effetti, non è niente male: gli alieni vivono in mezzo a noi, ed hanno anche un aspetto poco rassicurante, ma, grazie a delle particolari radiazioni con cui ipnotizzano gli esseri umani, questi non riescono a vederli per come realmente sono, e, bombardati da messaggi subliminali a ogni ora del giorno e della notte, ne sono sempre più succubi. Almeno finché il protagonista, un disoccupato che diventa eroe suo malgrado (lo sconosciuto Roddy Piper), non mette le mani su un paio di occhiali distribuiti dalla "resistenza", occhiali che annullano l'effetto delle radiazioni: da qui prende il via una lunga serie di scontri con gli alieni, fughe, rovesciamenti di fronte e così via, fino ad un finale abbastanza incerto in cui sembra che gli umani possano farcela, quantomeno, a rendersi conto della presenza degli alieni fra di loro.
Purtroppo l'idea di partenza non è sfruttata pienamente e, come troppo spesso gli succede, Carpenter riduce il film a una sterile sequenza di scene d'azione, viste e straviste in tutti i generi cinematografici: e anche se molti vedono in questi alieni (che lavorano in finanza o in politica e fanno un uso massiccio della televisione) una presa in giro degli yuppies e del loro mondo arido e privo di fantasia, è vero che la satira risulta troppo blanda e finisce relegata in secondo piano.
Se non altro, ci si può consolare pensando che Carpenter ha diretto film ben peggiori: questo, in fondo, si guarda sempre con piacere.

1989 The abyss Cameron 8 7 8 7 7 7

Una base sottomarina in cui vive tranquillamente un gruppo di scienziati; un sommergibile russo che ha un incidente nelle vicinanze: dall'unione di questi due elementi nasce uno degli ultimi grandi film di fantascienza, The abyss. L'abisso in questione è quello in cui vivono strane forme di vita, intelligenti e tecnologicamente molto avanzate, e che alla fine del film, dopo molte peripezie, salveranno la vita al gruppo di scienziati, capeggiati dal grintoso Ed Harris e dalla bella Mary Elizabeth Mastrantonio.
Se non fosse per il primo Terminator, The abyss sarebbe, senza dubbio, il miglior film di James Cameron, probabilmente il più affidabile, oggi, tra i registi che amano il genere fantascientifico: una trama veramente ben strutturata, ricca di tensione, di colpi di scena, di trovate magistrali e persino di momenti romantici è il punto di forza del film, anche se, come spesso accade a questo regista, l'idea di partenza non è tra le più originali. Ma se c'è qualcosa che Cameron sa fare veramente bene, è fondere perfettamente la parte fantascientifica e quella avventurosa di un film, cosa che riesce a pochissimi: non a caso tutte le opere con questa caratteristica, libri o film che siano, sono sempre dei capolavori.
Effetti speciali misurati ma efficacissimi, e un'ottima prova degli interpreti fanno il resto: e c'è anche da dire che le inesattezze scientifiche, che spesso e volentieri fanno capolino nei film di fantascienza, anche quelli migliori, qui sono insolitamente contenute. Solo un certo Kubrick ci riusciva ...

1989 Akira Otomo   8 5   7
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1989 Leviathan Cosmatos 5 5 7 4 3

Stroncato da tutti, critici e appassionati, per il solo fatto di essere un remake di Alien, Leviathan, in realtà, non è un film da buttar via, anzi. Se è vero che la trama ricorda quella del film di Scott (e non solo di quello), il ritmo è serrato, la suspence non manca, e le varianti rispetto all'idea originale non sono certo poche, né prive di interesse.
Stavolta l'azione si svolge in una base sottomarina, in cui vive un gruppo di uomini (e di donne) impegnato in ricerche minerarie sul fondo dell'oceano: durante un turno di scavi, viene rinvenuto un sommergibile russo, affondato chissà quando, dal quale vengono prelevati numerosi reperti, tra cui una bottiglia di vodka. Quando si scopre la verità, è troppo tardi: la vodka contiene una sostanza che dovrebbe trasformare gli uomini in creature anfibie (a scopi militari, ovviamente), cosa che puntualmente avviene, poiché più di uno, tra gli sfortunati protagonisti, si è già fatto una bevuta. Ben presto la base pullula di mostri, e tutti gli uomini, uno dopo l'altro, vengono uccisi o finiscono per trasformarsi. Tutti tranne due (il grintoso Peter Weller e la spaesata Amanda Pays) che, non senza fatica, riescono a scrollarsi di dosso i mostri e a tornare in superficie.
Nel complesso un film senza veri punti deboli, e la cui trama riesce spesso prevedibile solo perché lo spettatore, che di solito ha già visto Alien e i suoi seguiti, intuisce molte più cose del necessario; ma se indubbiamente il suo debito verso il film di Scott è troppo evidente, e non lo rende certo un film memorabile, è pur vero che, se Alien non fosse mai esistito, Leviathan sarebbe stato considerato un capolavoro: al solito, la verità sta nel mezzo.

1989 Ritorno al futuro parte 2 (Back to the future part 2) Zemeckis 7 6 7 6 7

Il primo seguito di Ritorno al futuro sceglie una strada diversa dal primo film: se questo aveva puntato, e con successo, più sui contrasti fra due epoche vicine nel tempo ma lontane nella mentalità, stavolta si torna ai classici problemi legati al tema del viaggio nel tempo: paradossi, sconvolgimenti della linea temporale, incontri con sé stessi, e così via.
La trama è complessa: alla fine del primo film avevamo visto Doc (il solito Christopher Lloyd) tornare preoccupato dal futuro, dove i figli di Marty (di nuovo Michael J. Fox) e Jennifer si sono messi nei guai; il trio si reca quindi nel 2015 per aggiustare un po' le cose, riuscendovi: ma il vecchio Biff, in un lampo di genialità, prende "in prestito" la macchina del tempo, si reca nel 1955 e consegna a sé stesso un almanacco sportivo, che gli servirà per arricchirsi con le scommesse e diventare un uomo potente e ancora più malvagio. E' così che i nostri eroi, tornando nel 1985, scoprono un mondo completamente diverso, e devono a loro volta tornare nel 1955 per porvi rimedio ... come se non bastasse, alla fine del film la macchina del tempo, con Doc a bordo, scompare colpita da un fulmine, e Marty rimane nuovamente bloccato nel passato, in palese attesa del terzo film della serie.
Nonostante le eccessive complicazioni, che rendono questo primo seguito piuttosto ostico da digerire a chi non sia un vero appassionato di fantascienza, il film risulta piuttosto intrigante e non privo di fascino: ma certo riesce assai meno brillante (e meno riuscito) del predecessore, senza il sottile umorismo che lo caratterizzava; anzi, quasi sempre immerso in ambientazioni cupe e un po' sinistre, suscita qualche inquietudine nello spettatore (particolarmente minaccioso, ad esempio, è il "nuovo" mondo del 1985).
Saggiamente, il terzo (e ultimo film) della serie tornerà ai temi più leggeri dell'inizio.

1989 Star Trek 5 - l'ultima frontiera Shatner   6 5 5 5
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1990 Atto di forza (Total recall) Verhoeven 7 7 8 7 7 7

Davvero insolita l'avventura che capita al mite Douglas Quaid (Arnold Schwarzenegger), che sogna un viaggetto su Marte, ma, non avendo tempo e soldi, preferisce affidarsi alla realtà virtuale: l'esperienza non funziona, e tutti, cominciando dalla moglie (una Sharon Stone non ancora famosa), cominciano a dargli la caccia senza motivo apparente, finché uno sconosciuto non gli lascia una registrazione video che gli spiega un po' di cose: Quaid ha perso la memoria, e non è un operaio qualsiasi, ma uno dei leader dei coloni di Marte, ridotti a mendicare l'aria dai potenti signori del pianeta, ma non per questo rassegnati a una vita di stenti; anzi, la scoperta di un congegno costruito dai marziani molto tempo prima potrebbe dare aria a tutti, se solo si riuscisse ad azionarlo. E alla fine, dopo molte avventure, Quaid ci riuscirà. Anche se alla fine scopre, di nuovo, di non essere chi credeva ... o forse, dopotutto, è stata davvero un'esperienza virtuale?
Troppi dubbi: nonostante il lieto fine, lo spettatore rischia di rimanere sconcertato, anche perchè, a dispetto dei numerosi colpi di scena, non c'è nulla di veramente inaspettato, in Atto di forza. Come è possibile? E' che il film, che avrebbe potuto diventare un grande thriller fantascientifico, forse anche all'altezza di Blade runner (e non a caso è tratto da un altro racconto di Dick), è diretto da Paul Verhoeven che, al solito, si lascia prendere la mano dalle continue scene di violenza: Atto di forza diventa così un'avventura come tante altre, anche se condita con un po' di fantascienza, ed eccelle più che altro per la quantità di inseguimenti, sparatorie, scazzottate, morti ammazzati e particolari truculenti; e probabilmente James Bond vi si sarebbe trovato più a suo agio di Douglas Quaid. E allora chi sia costui, e cosa ci faccia su Marte non è più così importante: conta solo vedere se, come e quando riuscirà a cavarsela.
Beninteso, non che il film sia riuscito male: le idee sono tutte notevoli, e la trama ha un ritmo serratissimo come raramente si vede al cinema; gli effetti speciali sono di prim'ordine, molte trovate minori sono fenomenali, e la noia è bandita dal primo all'ultimo minuto. Ma bastava poco, molto poco, per farne un capolavoro: se l'avesse diretto Scott, chissà ...

1990 Predator 2 Hopkins 7 5 4 5

Che sarebbe accaduto se il feroce alieno di Predator avesse scelto una città, invece di una foresta, per andare a caccia di esseri umani? Predator 2 ci dà la risposta: la città è Los Angeles, e le vittime non mancano di certo, specialmente fra i criminali (forse l'alieno ha una sua morale?), mentre la polizia non ha idea di chi (o cosa) sia l'assassino. Finché il solito poliziotto furbo (Danny Glover) non capisce tutto, e, incurante del pericolo, comincia a braccare l'alieno: e nonostante la disparità di mezzi e di forza fisica, è quest'ultimo che si ritrova inseguito fin dentro il suo rifugio (uno scantinato pieno di macabri trofei), e che alla fine deve soccombere alla tenacia e all'astuzia del suo avversario.
Per essere un seguito, e con poche idee originali, Predator 2 non è affatto male: l'ambientazione urbana, da sola, cambia di molto le carte in tavola, e dà a questo film un ritmo sostenuto e ricco di momenti di tensione; e se lo spettatore non avesse già visto Predator anche i colpi di scena non sarebbero male. Purtroppo non si può ignorare l'esistenza del primo film, per cui questo seguito non sarà mai annoverato tra i capolavori del cinema di fantascienza; ma qualche momento veramente riuscito, di tanto in tanto (come il teschio di "Alien" fra i trofei dell'alieno: una vera chicca per gli appassionati del genere), mostra che, se non altro, gli sceneggiatori hanno fatto il loro dovere fino in fondo. Se tutti i loro colleghi fossero altrettanto in gamba ...

1990 Ritorno al futuro parte 3 (Back to the future part 3) Zemeckis 8 9 5 5 5

Avevamo lasciato Marty (Michael J. Fox) nel 1955, senza Doc (Christopher Lloyd) e senza la macchina del tempo, colpiti da un fulmine e spariti chissà dove (e quando): ritroviamo Marty nello stesso luogo (e tempo), salvato da un inviato di Doc, che, finito casualmente nel 1885, ha affidato in quell'epoca a uno studio notarile un messaggio destinato a tirare fuori dai guai il suo amico, dopo aver nascosto in una caverna la macchina del tempo. Sembra quindi che le peripezie di Marty siano finite: ma il ritrovamento della tomba dello scienziato, la cui lapide rivela che ha avuto la peggio in una sparatoria contro un antenato di Biff, induce il ragazzo a recarsi a sua volta nel 1885, per salvargli la vita e riportarlo nella sua epoca.
Inizia così il terzo e ultimo film della serie Ritorno al futuro, che torna, con buon successo, ai temi leggeri del primo: il contrasto fra il mondo del vecchio West e quello moderno è fonte d'ironia, di battute, e di situazioni irresistibili (Doc, astutamente, fa breccia nel cuore di una maestrina sciorinando tutto il suo sapere scientifico e la conoscenza dei libri di Verne). Dopo molti colpi di scena, comunque, il solo (ma per poco) Marty riesce a tornare nel 1985, in un finale mozzafiato che vede la macchina del tempo, rimasta senza benzina (e quindi impossibilitata ad accelerare fino alle fatidiche 88 miglia orarie), venire spinta in avanti da un treno lanciato a folle velocità, fino a venire letteralmente scaraventata nel vuoto, e insieme nel futuro, in una sequenza di grandissimo impatto visivo che da sola vale a questo film un posto al sole.
Certo non siamo ai livelli dell'originale: il 1885 è troppo lontano nel tempo perché il contrasto fra due epoche possa raggiungere, mantenendo la stessa sottigliezza, l'ironia del primo film.
Ma ci siamo vicini!

1990 Tremors Underwood 7 7 8 5 5 7

In una zona desertica degli Stati Uniti, nei pressi di un piccolo villaggio, compaiono all'improvviso degli orribili, famelici vermi giganti; le prime vittime scompaiono misteriosamente nel sottosuolo, mentre vengono registrate tracce di una debole, ma inspiegabile attività sismica, ed è solo dopo parecchie morti che se ne scopre la causa: i vermi scavano delle gallerie nel terreno, e ogni tanto ne emergono, fagocitando chiunque capiti loro a tiro. Quando la situazione diventa chiara, i pochi abitanti del villaggio sono già assediati dalle mostruose creature, e cercano di difendersi con ogni mezzo: dopo molti combattimenti, manovre diversive, fughe disperate e astuti stratagemmi, i vermi giganti vengono finalmente messi fuori combattimento; i superstiti (capeggiati da Kevin Bacon e Fred Ward), una volta tanto, non sono pochi.
La trama sembra proprio quella di un classico B-movie degli anni '50: e questo è, in effetti, un B-movie con tutte le carte in regola, e non una delle solite imitazioni, con risvolti più o meno umoristici, apparse negli anni '90. E il bello è che l'idea funziona, oggi come allora: la sua semplicità, la sua mancanza di pretese (dote ormai rarissima) appassionano facilmente lo spettatore, e riescono a far perdonare le ingenuità della storia, sempre presenti in questo genere di film. Gli effetti speciali non mancano, ma sono limitati a poche sequenze, peraltro veramente efficaci: Tremors, in conclusione, non sarà un capolavoro, ma è di certo un magnifico esempio di come si possano ancora realizzare dei film di fantascienza di buon livello avendo a disposizione pochi mezzi, e poche idee. Poche ma buone: è questo che conta.

1991 Rocketeer (The Rocketeer) Johnston 6 7 5 5 6

Non male, questo film semisconosciuto, ambientato negli anni '30, tra nazisti cattivi e fanciulle in pericolo: un deja vu'? Ma stavolta il protagonista non è un archeologo, bensì un pilota (Bill Campbell) che, venuto in possesso di un razzo portatile in grado di farlo volare senza più bisogno di aerei, diventa un eroe suo malgrado, braccato da spie e costretto a salvare la fidanzata dalle grinfie di un insospettabile nazista in incognito (Timothy Dalton, finalmente non più 007, ma in compenso emulo di Errol Flynn, che a quanto pare è stato veramente una spia).
Rocketeer è tratto da un fumetto poco conosciuto: ma a differenza di molte megaproduzioni uscite nello stesso periodo (Batman, Dick Tracy, per esempio), e delle quali si comincia a parlare anni prima della loro uscita nelle sale, questo film sorprende per la sua mancanza di pretese: eppure la trama fila via liscia, tra alti e bassi, ma con molti momenti godibili e spesso emozionanti; in un'ambientazione resa con maestria e un pizzico d'umorismo, e con molti personaggi rigorosamente sopra le righe. D'accordo: Indiana Jones, a cui questo film deve molto, è su un altro pianeta, ma non tutti dispongono di uno Spielberg (e dei soldi che lo accompagnano); in compenso, quelli che vorrebberlo imitarlo non sono pochi. Ma di solito non fanno film come Rocketeer. Fanno Independence day. O anche di peggio.

1991 Star Trek 6 - rotta verso l'ignoto (Star Trek 6: the undiscovered country) Meyer 7 7 8 7 6 5

Dopo il quinto episodio della serie, episodio particolarmente scadente, è ormai chiaro che per l'equipaggio dell'Enterprise è arrivato il momento di uscire di scena: e questo avviene nel corso di un sesto, memorabile film, in cui i terrestri arrivano finalmente a far la pace con i Klingon, ponendo fine a una guerra interminabile. Vediamo così Kirk (William Shatner), Spock (Leonard Nimoy), McCoy (DeForest Kelley) e gli altri uomini dell'equipaggio partecipare alle trattative di pace, venire accusati ingiustamente di averle sabotate, venire arrestati, evadere e infine scoprire i veri nemici dell'accordo. Alla fine questo è raggiunto, e mentre per la Galassia si apre una nuova era, i protagonisti di tante avventure, ormai visibilmente invecchiati, vanno in pensione: ma non prima di essere partiti per un ultimo viaggio, "da qualche parte".
Un pizzico di malinconia accompagna lo spettatore durante tutto il film; è la fine di un'epoca, e tutti sembrano rendersene conto, a partire da un Kirk più agitato del solito, che all'inizio stenta ad accettare l'idea che i Klingon non siano più un nemico da combattere; ma poi l'avventura decolla, e la trama si rivela, senza alcun dubbio, come la più ricca di spunti e di idee dell'intera serie. Per non parlare dei numerosi colpi di scena, alcuni davvero ben congegnati.
E dopo? Dopo arriverà una nuova Enterprise, con un nuovo equipaggio, le cui avventure saranno, se possibile, ancora più mirabolanti e ricche di effetti speciali. Ma è inutile sperare che tutto rimanga come prima: il sapore di quella che tutti chiamano "la serie originale" non verrà più eguagliato.

1991 Terminator 2 - il giorno del giudizio (Terminator 2: judgment day) Cameron 8 8 7 7 7 8

Forse questo è il solo film, nella storia del cinema, che meriti di essere visto solamente per gli effetti speciali, davvero sbalorditivi e pienamente funzionali alla trama: e questo parecchi anni prima che l'avvento dei computer permettesse le meraviglie più incredibili. Ma quando i mezzi sono sufficienti, si possono sempre fare grandi cose, purché non manchino le idee.
La trama di Terminator 2, in fondo, non è poi eccezionale: molti anni dopo le vicende del primo film, John Connor (Edward Furlong) ha ormai 10 anni, e sua madre (Linda Hamilton), a cui nessuno ha voluto credere, è finita in manicomio. Ma dal futuro le macchine ci riprovano: un altro Terminator, ancora più pericoloso (Robert Patrick), viene inviato a uccidere il ragazzo; gli umani, a loro volta, ne inviano un altro, ma del modello "classico" (Arnold Schwarzenegger), a proteggere il loro futuro campione: dopo qualche equivoco (molti temono che sia lui quello cattivo) il cyborg riesce nell'impresa quasi impossibile di distruggere il suo rivale nonostante questi, essendo composto di metallo liquido, possa assumere qualsiasi forma (umana o inanimata) e assorbire i colpi di qualunque arma. Inoltre, grazie a qualche aiuto inaspettato, tutto ciò che dovrebbe portare all'olocausto nel giro di pochi anni viene distrutto, e il futuro dell'umanità ridiventa roseo ...
Insomma, una trama che segue molto la falsariga del primo Terminator, ma che non per questo si banalizza: con abilità quasi sovrumana Cameron riesce sempre a tenere altissima la tensione, e a costruire una lunga serie di scene d'azione capaci di tenere lo spettatore inchiodato alla sedia. E i famosi effetti speciali? Si pensi solamente alla scena in cui il Terminator, dopo aver assunto l'aspetto di un pavimento, riacquista lentamente forma umana; o a quella in cui viene congelato e va in mille pezzi. Si parla tanto de La minaccia fantasma o di Matrix, ma questo film è ben altra cosa: e a tutt'oggi, almeno nel campo degli effetti speciali, nessuno è riuscito a farci vedere qualcosa di meglio.
Il che non è poco!

1992 Alien³ Fincher 6 7 5 6

Per la povera Ripley (una Sigourney Weaver ormai stufa del suo ruolo) le cose vanno di male in peggio: ritrovata alla deriva nello spazio dai galeotti di una colonia penale, che non vedono una donna da chissà quanto, scopre subito che i pochi compagni che era riuscita a salvare alla fine di Aliens sono tutti morti, che un alieno era a bordo della navicella (e, ovviamente, comincia subito a fare a pezzi i galeotti) e, dulcis in fundo, che è "incinta" di un altro. Alla fine sceglie la soluzione più radicale: un tuffo in un pozzo di metallo fuso, e addio; e i dirigenti della solita compagnia, che speravano finalmente di mettere le mani su una delle mostruose creature (l'altra viene faticosamente uccisa dai galeotti superstiti), rimangono con un palmo di naso.
Come idee, Alien³ non sarebbe male, e si nota che gli sceneggiatori si sforzano di uscire dal solito cliché di "alien contro tutti", in cui Ripley, unica superstite, se la cava in extremis: l'ambientazione nella colonia penale, specialmente, è molto curata, e aggiunge alla claustrofobia tipica della serie un tocco di decadenza non privo di fascino. Ma poi, se solo si rivede il film con più attenzione, ci si accorge che in fondo la trama è sempre la stessa, e la noia prende il sopravvento: i personaggi di contorno sono sfuocati e prevedibili, e non suscitano né interesse né compassione (si attende solo che muoiano, come sempre). Solo l'idea di base, per quanto sfruttata, tiene in piedi il film: per vedere qualcosa di veramente innovativo bisognerà aspettare l'ennesimo seguito.

1992 Avventure di un uomo invisibile (Memoirs of an invisible man) Carpenter   6 7 6 7
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1992 Freejack - in fuga nel futuro (Freejack) Murphy 5 5 5 5 5

Decisamente sinistro, il futuro molto prossimo descritto in Freejack: i ricchi hanno preso l'abitudine di farsi "trasferire" in corpi più giovani, di tanto in tanto, così da restare immortali: ma poiché questo procedimento, ovviamente, significa la morte per i "possessori" dei corpi in questione, questi ultimi vengono scelti tra persone che stanno comunque per morire in qualche incidente ... ma nel passato. Nessuno, in realtà, viaggia nel tempo, innescando paradossi: le vittime prescelte vengono semplicemente "prelevate" un attimo prima della morte, e nessuno, nella loro epoca, ne nota la scomparsa.
Ma stavolta la vittima di turno (Emilio Estevez), un pilota destinato a morire in un incidente automobilistico, non accetta il suo destino e fugge, diventando così un "freejack", vale a dire un paria senza diritti che chiunque può catturare e consegnare al suo "padrone" (un grande Anthony Hopkins). Per sua fortuna riuscirà a farsi aiutare dalla ex-fidanzata (Reneè Russo), ancora innamorata di lui (e ancora abbastanza giovane per riprendere la relazione), e a suscitare le simpatie del bounty-killer che gli sta dando la caccia: e così, con l'aiuto decisivo di quest'ultimo, la vicenda si chiuderà con un sorprendente (ma non troppo) lieto fine.
Un grande film di fantascienza? No: un discreto film d'azione, come tanti altri, e con pochi spunti originali; e così l'interesse dello spettatore, invece di venire attirato dagli elementi fantascientifici, alcuni dei quali meritavano più attenzione, si concentra unicamente sulle peripezie di Emilio Estevez, e sui suoi tentativi di sopravvivere malgrado tutti gli diano la caccia. Ma, nonostante tutto, un buon motivo per non perdersi questo film esiste: uno straordinario Mick Jagger nel ruolo del bounty-killer! La sua recitazione, indubbiamente, non è da premio Oscar, ma il suo carisma è tale da far passare in secondo piano tutti i difetti della trama: chi altri sarebbe riuscito in quest'impresa?

1992 Il tagliaerbe (The lawnowner man) Leonard 6 5 5 5 5 5

All'inizio degli anni '90 si comincia a parlare di "realtà virtuale", mentre i romanzi cyberpunk si affermano uno dopo l'altro: l'arrivo di un film di fantascienza che sfruttasse la nuova moda era solo questione di tempo.
Ma, come spesso avviene in questi casi, la nuova idea viene presentata sotto una luce negativa: il che, da sempre, è garanzia di successo, ma anche di mediocrità. Chi è dunque il tagliaerbe del titolo? E' un giardiniere (Jeff Fahey), non molto intelligente, al servizio di uno scienziato con grandi ambizioni (Pierce Brosnan): come già ne I due mondi di Charly, il film ruota intorno al tentativo di rendere un genio il protagonista, cosa che lo scienziato cerca di ottenere ricorrendo a sedute di "realtà virtuale" (e a qualche droga): stavolta il tentativo riesce, ma oltre all'intelligenza il giardiniere sviluppa anche istinti malvagi, seguiti ben presto da poteri telecinetici, e infine si trasforma in un'entità virtuale in grado di impossessarsi dei computer di tutto il mondo, e quindi del potere assoluto. Un'epica lotta finale tra lo scienziato, deciso a porre rimedio al disastro combinato, e l'entità malefica, sembra portare alla distruzione di quest'ultima: ma c'è sempre una via d'uscita ...
Confusionario, velleitario, e spesso ridicolo, Il tagliaerbe, tuttavia, non manca di ritmo: la progressione del giardiniere verso l'intelligenza e, nello stesso tempo, verso la malvagità è resa con efficacia, a differenza di quanto accadeva ne I due mondi di Charly; e gli effetti speciali, soprattutto per quanto riguarda la "realtà virtuale" e l'universo telematico, hanno un certo fascino. Non è poco; ma tutto il resto è da dimenticare.

1993 Demolition man Brambilla   6 7 5 5 6
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1993 Jurassic Park Spielberg 7 9 7 6 7

Dice una leggenda che Jurassic Park sia il film che avrebbe convinto Stanley Kubrick a rinunciare al suo progetto di tornare alla fantascienza, molti anni dopo 2001: gli effetti speciali a disposizione del regista inglese non sarebbero stati all'altezza di quelli utilizzati da Steven Spielberg.
Ma al di là degli effetti speciali, effettivamente mirabolanti, e che ci mostrano per la prima volta dei dinosauri che sembrano reali, la trama, fedelissima al romanzo di Michael Crichton, è il vero punto di forza di questo film, nonostante molte semplificazioni che, pur migliorando il lato spettacolare della storia, finiscono per banalizzarla un po' troppo: in un'isola al largo del Costarica un miliardario (Richard Attenborough) è riuscito a clonare alcuni dinosauri, e progetta di utilizzarli all'interno di un parco; ma i primi visitatori, guidati da due paleontologi (Sam Neill e Laura Dern) e da un bizzarro matematico (uno stralunato Jeff Goldblum) incappano in problemi sempre più gravi, causati da un sabotaggio che distrugge i sistemi di sicurezza e libera i dinosauri in tutta l'isola. Alla fine molti si salveranno, molti altri no (a partire dal sabotatore), e l'uomo avrà imparato (o no?) a non giocare con qualcosa che non può controllare.
Ottimo se guardiamo solamente alle scene di azione, deludente se cerchiamo di capire qualcosa dei personaggi e delle loro motivazioni, Jurassic Park è lontano anni-luce, ormai, dalle opere più mature del cinema di fantascienza, comprese quelle dello stesso Spielberg. E se è vero che lo spettacolo, in questo film, non manca mai, è altrettanto vero che basterebbe poco per trasformarlo in un baraccone fine a sé stesso: il remake di Godzilla ce ne darà presto una triste conferma.

1993 Ultracorpi - l'invasione continua (Body snatchers) Ferrara 6 6 7 7 6 6

La trama, ormai, è arcinota: dei misteriosi baccelli, provenienti dallo spazio, si sostituiscono progressivamente agli abitanti di una pacifica cittadina americana, assumendone le sembianze e i ricordi. In pochi si rendono conto del pericolo, e cercano di combatterlo, ma anche fuggire è diventato difficile, dato che non ci si può più fidare di nessuno ...
E' proprio questo l'aspetto su cui punta il regista Abel Ferrara (peraltro autore di ottimi film) per vincere la difficile scommessa di realizzare un secondo remake de L'invasione degli ultracorpi, dopo gli ottimi risultati raggiunti 15 anni prima, miracolosamente, dal primo remake, Terrore dallo spazio profondo; ma stavolta la scommessa è persa, il risultato lascia a desiderare, e il film sprofonda spesso nella noia, invece che nella paranoia che aveva reso grande l'originale. Evidentemente, la ricerca di elementi nuovi, come la giovane età della protagonista (la sconosciuta Gabrielle Anwar) e l'ambientazione in una base militare, con le inevitabili implicazioni socio-politiche, finiscono per attenuare l'orrore della vicenda, che non appare più spaventosa come un tempo.
Qua e là qualche scena si salva, ritrovando finalmente le atmosfere originali: memorabile soprattutto il finale, quando il fratellino della protagonista, ormai trasformato a sua volta, viene gettato fuori da un elicottero, e, pur precipitando, continua ad emettere l'urlo agghiacciante reso famoso dal primo remake; ma, nel complesso, le emozioni che questo film riesce a dare non sono poi così numerose.

1994 Fuga da Absolom (No escape) Campbell   6 6 5 7 7
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1994 Stargate Emmerich 7 6 7 7 5 5

Un'idea piuttosto buona, ma una trama caotica e superficiale: questo è Stargate, un film che poteva diventare un capolavoro e che invece, sopraffatto dalle ultime tendenze nel settore (effetti speciali incredibili ma nessuna cura dei dettagli), è diventato solo un buon film. L'idea riguarda la possibilità di trasferirsi istantaneamente su altri mondi, attraverso una "porta" (lo Stargate, appunto) che li mette in comunicazione: ritrovata in Egitto ai primi del secolo (è un enorme anello metallico), viene finalmente collaudata ai nostri giorni, e alcuni militari, capeggiati da un rude colonnello (Kurt Russell) e da un archeologo (James Spader) si ritrovano in un mondo simile alla Terra, ma che sembra rimasto ai tempi dell'antico Egitto. Dopodiché la storia va avanti come in un qualsiasi film d'avventura: un cattivo dai terribili poteri (l'enigmatico Jay Davidson), una popolazione oppressa e che vorrebbe ribellarsi, una storia d'amore tra i protagonisti, e finalmente il trionfo finale dei buoni sui cattivi.
E, come film d'avventura, Stargate non è male: purtroppo non lo è altrettanto come film di fantascienza. L'idea iniziale è sfruttata male, le incongruenze sono numerose, e i personaggi (anche se ben interpretati) appaiono stereotipati; la trama rivela molte incertezze, e non sempre la si può seguire con facilità: alla fine molti sono gli interrogativi irrisolti, e molti gli elementi che lo spettatore avrebbe voluto vedere approfonditi, a partire dal personaggio interpretato da Jay Davidson, senza dubbio il più interessante di tutto il film. Che, tuttavia, è di gran lunga il migliore girato da Roland Emmerich: regista che, perlomeno, non verrà ricordato solamente per Independence day!

1994 Star Trek 7: generazioni (Star Trek: generations) Carson 6 8 7 5 5

Congedato il vecchio equipaggio dell'Enterprise nel sesto episodio della saga di Star Trek, vengono finalmente introdotti i protagonisti di The next generation, su una nuova astronave e con qualche alieno (persino un Klingon!) fra di loro. Ma prima, il capitano Kirk (William Shatner) fa un'ultima, memorabile apparizione: trovandosi a bordo di un'altra Enterprise in una situazione di emergenza, si sacrifica per salvare l'equipaggio, e viene dato per morto; ovviamente, non è così, e lo ritroviamo, un secolo dopo, all'interno del Nexus, un mondo parallelo dove tutto è possibile e i sogni diventano reali, nel quale finisce anche Jean-Luc Picard (Patrick Stewart), dopo che uno scienziato pazzo (Malcolm McDowell), ossessionato dall'idea di ritornarvi, ha fatto esplodere una stella pur di ottenere il suo scopo. Ma poiché tutto è possibile, in questo mondo parallelo, i due capitani tornano indietro nel tempo, e unendo le loro forze riescono a fermare lo scienziato prima che provochi la catastrofe: nel tentativo Kirk muore, stavolta per davvero.
Giocato tutto sul filo della nostalgia, Generazioni, pur non essendo il migliore episodio della serie, è forse quello che si ricorda di più: tutti i protagonisti appaiono più tormentati del solito, più consapevoli del passaggio di consegne, e non è certo un caso che proprio in questo film l'androide Data (Brent Spiner), da sempre privo di sentimenti, diventi più umano, grazie all'innesto di un chip "emozionale" che, almeno in un primo momento, provocherà più guai che altro.
Insomma un film che, nel panorama non esaltante di quegli anni, riesce almeno a toccare i sentimenti dello spettatore: non è molto, ma in mancanza di nuove idee, è comunque abbastanza.

1994 Terrore dalla sesta luna (The Puppet masters) Orme 6 6 7 5   3

Il terrore dalla sesta luna non è tra i migliori romanzi del grande scrittore americano Robert Heinlein, ed è comunque uno dei più datati: se dalla vicenda poteva essere tratto, negli anni '50, un ottimo B-movie, lo stesso non si può dire degli anni '90; gli spettatori, ormai abituati a vedere sul grande schermo mostri piccoli e grandi, buoni e cattivi, visibili o invisibili, non saltano più come prima sulle loro sedie (ormai diventate comode poltrone), e le creature del film, piccole piovre provenienti da Titano che si attaccano alla schiena degli esseri umani diventandone parassiti, non suscitano che un debole disgusto.
La trama, ormai banale, racconta di come queste piovre siano giunte sulla Terra, di come si diffondano fino a mettere in pericolo il genere umano, e di come vengano sterminate grazie a un semplice virus (La guerra dei mondi insegna): qualche somiglianza con L'invasione degli ultracorpi e un ritmo abbastanza serrato danno comunque una certa dignità a un film che altrimenti passerebbe del tutto inosservato. E forse non sarebbe neanche arrivato sui nostri schermi se non fosse per la presenza di un invecchiato ma sempre grande Donald Sutherland: unico attore di un certo livello in un cast di illustri sconosciuti.

1994 Timecop Hyams 7 5 5 6

Presente, epoca attuale: due killer, venuti da chissà dove, uccidono la moglie di un poliziotto; futuro, dieci anni più tardi: questi è diventato un professionista dei viaggi nel tempo, e il suo compito è quello di sorvegliare il passato e impedire che gente senza scrupoli se ne possa servire per arricchirsi o per modificare il presente.
Come prosegua il film, a questo punto, è facilmente intuibile: il protagonista, tornato nel passato, sventa un complotto ordito da un politico (il quale scoprirà che incontrare sé stessi può essere molto pericoloso), salva la vita alla moglie (tra l'altro i due killer venivano dal futuro), e, tornato nel suo tempo, se la ritrova accanto. Tutto è bene quel che finisce bene.
O no? Il problema di questo film è soprattutto la tendenza a trasformarsi in un poliziesco piuttosto banale, lasciando da parte gli spunti fantascientifici, che pure sarebbero interessanti: comunque, al di là di una trama un po' scontata e di un'idea che comincia a mostrare la corda, non si può negare che Timecop, nel complesso, sia abbastanza riuscito: ci sono i paradossi temporali, c'è anche qualche colpo di scena non banale, e la storia, che diversamente finirebbe per riuscire abbastanza noiosa, finisce per catturare, suo malgrado, lo spettatore. Che non rimarrà certo deluso scoprendo un insolito Jean-Claude Van Damme nel ruolo del protagonista!

1995 Screamers - urla dallo spazio (Screamers) Duguay 6 7 5 6 7

Su un lontanissimo pianeta, alcuni militari, guidati da uno stanco Peter Weller, combattono un'interminabile guerra le cui cause sono ormai in pochi a ricordare; quando finalmente arriva la notizia di un accordo di pace, tutti i soldati, dell'una e dell'altra parte, non vedono l'ora di poter tornare a casa: ma a questo punto cominciano i guai, causati dagli "screamers", piccoli robot in grado di trovare da soli il "nemico" e farlo a pezzi in pochi istanti; ormai sfuggiti a ogni controllo, questi "screamers" si sono evoluti, e attaccano tutti, amici e nemici, indiscriminatamente. Per di più, alcuni di loro si sono trasformati in androidi, e assalgono gli esseri umani quando questi meno se l'aspettano: sfuggirgli diventa ancora più difficile ...
Ce n'è quanto basta per mettere su un film di fantascienza (tratto da un racconto di Philip K. Dick) piuttosto interessante, e dalla trama spesso avvincente: pur non trattandosi di un capolavoro, Screamers è dotato di un'ambientazione suggestiva e desolata (un deserto costellato di immense strutture in rovina), che riflette egregiamente la condizione dei protagonisti, abbandonati a sé stessi e profondamente disillusi; i colpi di scena non mancano, e alcune sequenze sono particolarmente riuscite e ricche di tensione: ed è solo a causa di un finale discutibile e dall'andamento scontato (e che in parte contraddice quanto si era visto in precedenza) che lo spettatore, alla fine, storce un po' il naso. Del resto, dai racconti di Dick erano stati tratti ben altri film!

1995 Specie mortale (Species) Donaldson 7 5 3 5

Nessun dubbio che questo film debba molto a La cosa di Carpenter: l'inizio vede infatti una bambina in fuga da un misterioso laboratorio, inseguita da uomini che sembrano decisi a ucciderla; ma quando lo spettatore comincia ad indignarsi, ecco che la bambina si rivela essere uno spietato mostro, metà donna e metà aliena: e solo dopo un lungo inseguimento e parecchi morti i suoi inseguitori (fra questi un sorprendente Ben Kingsley) riusciranno ad eliminarla.
Tutto sommato, il film è abbastanza buono, nonostante non goda di molte simpatie fra gli appassionati: è vero, indubbiamente, che la trama poggia su idee già sfruttate, e che in fondo si tratta dell'ennesima variante sul tema di Alien (come indica chiaramente, del resto, la necessità della creatura di riprodursi); è anche vero che gli effetti speciali si riducono spesso e volentieri a semplice splatter e che ogni tanto si sfiora il ridicolo; ma ciò nonostante non mancano momenti di vera tensione e scene particolarmente efficaci, che poco hanno da invidiare a quelle di film ben più famosi: da ricordare, soprattutto, l'agghiacciante sequenza del laboratorio, quando un tentativo di studiare le cellule del mostro ne provoca la crescita incontrollabile e improvvisa, con risultati facilmente immaginabili, ma non per questo banali. Forse, se gli autori ci avessero creduto fino in fondo, invece di limitarsi a copiare i lavori altrui, Specie mortale sarebbe diventato uno dei migliori film di fantascienza di questi ultimi anni!

1995 Il villaggio dei dannati (Village of the damned) Carpenter 5 7 5 4 5

E' un Carpenter non al massimo delle sue possibilità quello che si cimenta col difficile compito di girare un remake de Il villaggio dei dannati: se il primo film puntava tutto sull'apparente normalità della situazione, in cui i mostri di turno sono dei bambini dall'aria innocua, questo remake appare molto più esplicito, quasi orrorifico: e allora, dopo il surreale blackout che dà inizio alla storia, dopo il concepimento dei piccoli alieni e dopo la loro crescita, ecco balenare, per esempio, l'ipotesi che il loro aspetto (del tutto umano) non sia quello autentico: ipotesi che verrà provata alla fine del film, dopo una lunga serie di scene cruente e prima che il nuovo protagonista (un Christopher Reeve al suo ultimo film) si sacrifichi per scongiurare il pericolo.
Nel complesso, Carpenter ha cercato di mostrare tutto quello che nel primo film si intuiva solamente, o era appena accennato: come la nascita dei bambini (scena in cui si intuisce qualcosa del loro vero aspetto) e gli scontri di questi ultimi con gli abitanti del villaggio o addirittura con l'esercito; ne risulta un film molto più ricco d'azione, ma privo del fascino inquietante che caratterizzava l'originale. E, ancora una volta, la scelta vincente si rivela quella di lasciare che sia il pubblico a lavorare di fantasia, piuttosto che quella di mostrare tutto, e subito; Carpenter, che ama i film d'azione, non lo ha ancora capito, come dimostra Il villaggio dei dannati. E forse non lo capirà più: peccato, perché, nonostante tutto, questo film non è certo da buttar via, e la mano del grande regista, talvolta, si vede ancora.

1995 Waterworld Reynolds 7 8 7 5 5

L'idea alla base di questo film, semplice e geniale insieme, è che le calotte polari si siano sciolte da tempo, e che quindi non esistano più terre emerse; il nostro pianeta è ancora abitato, ma i superstiti sono pochi e vivono alla giornata, a bordo di precari atolli artificiali o, peggio ancora, alla deriva a bordo di vecchie navi. L'eroe della storia (Kevin Costner), è un mercante che vive su un catamarano ben attrezzato, e che a forza di vivere nell'acqua ha sviluppato branchie e piedi palmati; il cattivo di turno, invece, è una via di mezzo tra un santone e un gangster (Dennis Hopper), e vive con i suoi seguaci a bordo di una vecchia petroliera. Oggetto della lotta fra i due è una bambina, che ha tatuata sulla schiena una mappa che indica l'ubicazione dell'ultima terra emersa, un posto di cui tutti parlano, e chiamano Dryland, ma che nessuno ha mai visto: dopo molti capovolgimenti di fronte, l'eroe ha la meglio (e la petroliera dei cattivi viene affondata), e raggiunge Dryland con la bambina e qualche amico; ma il richiamo del mare è più forte e, come i cowboy dei vecchi film western, se ne torna sulla sua barca verso nuove avventure.
Film insolitamente buono, per i tempi che corrono, Waterworld presenta dei personaggi un po' meno stereotipati del solito, e una trama abbastanza originale: oltretutto gli spunti che offre quest'ultima sono così numerosi da non essere neanche sfruttati a dovere, come la visione della città sommersa, ad esempio, o come l'immensa petroliera, ormai ridotta a un rottame galleggiante e che si muove, incredibilmente, a forza di remi, ma ha i serbatoi ancora pieni di petrolio. Certo, i miliardi spesi negli effetti speciali non si vedono affatto: ma l'ambientazione viene comunque resa con grande efficacia, e qualcosa, del terribile isolamento in cui vivono i protagonisti, sparsi su un oceano senza confini, e costretti a vivere in modo precario, si trasmette allo spettatore. Waterworld non è un capolavoro, indubbiamente: le crepe della sceneggiatura sono tante, e il lato avventuroso prevale su quello fantascientifico; ma una cosa è certa: non meritava il terribile insuccesso che ha avuto, e che ha quasi stroncato la carriera di Kevin Costner.

1996 The arrival Twohy 6 8     6

Film passabile, questo The arrival: in un periodo di vacche magre, e di film dominati dagli effetti speciali e confezionati a tavolino per incontrare i gusti del pubblico, è già molto.
L'idea non è delle più originali: la Terra è piena di alieni che hanno assunto sembianze umane e tramano per conquistare il pianeta, ma per fortuna c'è chi se ne accorge e si dà da fare per fermarli. Un remake di Essi vivono? Forse: le somiglianze sono numerose, a partire dal finale incerto (la battaglia contro gli alieni è vinta, ma non così la guerra), e dalla coppia di eroi quasi-standard: un uomo e una donna (Charlie Sheen e Teri Polo), qui fidanzati ufficialmente, eroi per caso. Per fortuna la struttura del film è abbastanza diversa e, soprattutto, la minaccia degli alieni appare più insidiosa, dato che sono in grado di assumere in tutto e per tutto un aspetto umano, e non sono smascherabili facilmente: un ritorno, più che ai temi di Essi vivono, a quelli del ben più grandioso La cosa, anche se qui mancano il terrore e il senso di claustrofobia che si emanavano da quel film. Al massimo, qui si respira un sottile senso di inquietudine.
Da apprezzare, comunque, lo sforzo per costruire una trama decente, e dal finale un po' meno convenzionale del solito (anche se dallo sviluppo diseguale e spesso incerto); buona la prova di Charlie Sheen che, anche se non è suo padre Martin, si lascia sempre guardare con piacere. E non per le doti fisiche.

1996 L'esercito delle 12 scimmie (Twelve monkeys) Gilliam 7 7 7 7 7

Se solo Terry Gilliam avesse avuto l'umiltà di curare maggiormente la sceneggiatura de L'esercito delle 12 scimmie, questo film sarebbe diventato l'ultimo grande capolavoro del Novecento, almeno in campo fantascientifico: invece, anche se talvolta il genio del regista fa capolino, la trama risulta, nel complesso, confusionaria e velleitaria, e l'idea di partenza, pur buona, dà l'impressione di non essere sfruttata al meglio.
Siamo comunque in un futuro non troppo lontano, e l'umanità è stata quasi sterminata da una malattia la cui origine è sconosciuta: è così che a James Cole, un ergastolano (Bruce Willis), viene offerta la possibilità di riscattarsi viaggiando indietro nel tempo per scoprire esattamente cosa abbia dato inizio all'epidemia. Cole, ossessionato da un ricordo d'infanzia in cui vede un uomo venire ucciso in un aeroporto, scopre, tra mille difficoltà, che l'epidemia è stata causata da un virus prodotto in laboratorio da un incauto scienziato (Christopher Plummer), e sottrattogli dal figlio (Brad Pitt), un pazzo ecologista deciso a sterminare il genere umano; ma se quest'ultimo viene fermato in extremis da Cole, la situazione precipita quando la stessa, insana idea viene a un assistente dello scienziato: stavolta non c'è nulla da fare, e, prima che possa ucciderlo, Cole viene ucciso a sua volta dalla polizia, in un aeroporto. L'uomo che aveva visto morire, da bambino, è lui stesso.
Ma quella che, a prima vista, sembra una trama eccezionale, si rivela, da subito, piena di contraddizioni e di incoerenze del tutto ingiustificate: ancora una volta, come troppo spesso accade in questi ultimi anni, sono ben evidenti sia la superficialità con cui gli sceneggiatori si sono occupati dei dettagli, niente affatto trascurabili in un film che tratti di viaggi nel tempo, sia la volontà di stupire a tutti i costi lo spettatore, se non con gli effetti speciali (quasi assenti in questo film), almeno con trovate mirabolanti; ma, ovviamente, le trovate fini a sé stesse servono a poco.
Pure, il film ha un certo fascino, che lo spettatore percepisce chiaramente: forse la fine di Cole, venata di malinconia perché nell'aria fin dalle prime scene, o forse l'abilità di Gilliam nel raffigurare la decadenza di un mondo non ancora devastato dal virus, ma già votato all'autodistruzione riescono, nonostante tutto, a imporsi sulle pecche della sceneggiatura: e così è probabile che anche L'esercito delle 12 scimmie possa lasciare un segno nel cinema di fantascienza. Una volta non sarebbe bastato; oggi molti gridano al capolavoro. La verità, al solito, sta nel mezzo.

1996 Independence day Emmerich 3 6 7 5 5 7

La cosa più incomprensibile, per quanto riguarda questa cosa denominata "film", è il motivo per cui tante persone intelligenti si ostinino ad apprezzarla: è però evidente che qualcosa, comunque, non torna, dato che queste persone sembrano apprezzare il "film" non tanto per la "trama", le scene d'azione, o gli effetti speciali, quanto per l'ironia che ci vedono dentro; come se il film fosse una presa in giro dei B-movies degli anni '50. Peccato, però, che gli spettatori americani, uscendo in lacrime dalle loro sale, commossi dal patriottismo e dall'eroismo profusi a piene mani dai protagonisti di tanto capolavoro, tradiscano le intenzioni serissime di Emmerich e dei suoi sceneggiatori.
Di che si parla? Gli alieni, cattivissimi, arrivano sulla Terra e vogliono fare a pezzi tutti gli umani: ma verranno sconfitti, dopo i primi successi, da un manipolo di eroi guidati dal presidente degli Stati Uniti in persona.
C'è dunque ironia in questo film? Ne dubito molto. Tuttavia, l'onestà impone di dire che non sono le corbellerie scientifiche ciò che rende questo film una vera schifezza, né le inverosimiglianze della trama o l'invadenza degli effetti speciali: se è vero che autentiche stronzate come la trasmissione di un virus informatico da un Macintosh a un computer alieno fanno accapponare la pelle a chiunque abbia un minimo di familiarità con gli argomenti trattati, bisogna anche riconoscere che questo film non è certo il primo, né il peggiore a distinguersi in negativo in questo senso, e che in passato si è visto anche di peggio. Inoltre, gli effetti speciali sono invadenti ma anche efficaci: e scene come la comparsa della prima astronave aliena fuori della nuvola che ne ha accompagnato l'avanzata sono realmente impressionanti.
Il vero guaio di questo film sta nella sua costruzione a tavolino, tanto studiata per renderlo appetibile dal maggior numero possibile di spettatori, quanto capace di renderlo simile a un'immensa scatola vuota e piena di luci: nulla sembra vero, nulla trasmette un'emozione autentica, nulla fa appassionare. E così tutto diventa artificioso, da un variegato schieramento di eroi politically correct (bianchi, neri, ebrei, uomini di successo, falliti), a una continua esibizione di eroismo retorico (il discorso finale del presidente USA fa star male chiunque non sia americano), al male assoluto rappresentato dagli alieni (letteralmente brutti, sporchi e cattivi): il ridicolo, scambiato appunto per ironia da molti, troppi critici, emerge ad ogni angolo (famosa la scena in cui uno degli eroi abbatte a pugni uno dei cattivissimi e apparentemente invincibili alieni); la noia, passato il ridicolo, regna sovrana (del resto tutto, nella trama, è scontato e prevedibile), e il rimpianto per i veri B-movies degli anni '50 cresce ad ogni fotogramma: almeno quei film, per quanto approssimativi, non erano studiati a tavolino, e trasmettevano qualcosa (non a caso sono stati visti come metafora del pericolo comunista o della lotta per la conquista del West, due tra le ossessioni degli americani di quell'epoca), quando non era la ricchezza dei contenuti e la tensione sempre autentica a tenere desta l'attenzione dello spettatore.
Oggi questo passa il convento. Speriamo di vivere abbastanza per vedere di nuovo qualcosa di decente.

1996 Mars attacks! Burton 6 7 7 7 8

I marziani arrivano sulla Terra e, contrariamente al solito, vengono accolti con entusiasmo: ma stavolta sono veramente cattivi, e lo sono al punto di non riuscire a trattenersi, nonostante la loro intenzione sia quella di attaccare gli umani di sorpresa. Quasi subito si abbandonano a massacri e orrori di ogni genere: nulla sembra poterli fermare, e i tentativi di trovare un accordo con loro finiscono regolarmente in altri massacri. Alla fine, si scopre casualmente che le note di una vecchia canzone li fanno letteralmente esplodere, e l'umanità, ancora una volta, è salva.
Miscuglio tra Independence day, La guerra dei mondi e molti altri B-movies degli anni '50, Mars attacks! è una farsa, più che una satira, dei film sulle invasioni aliene tornati di moda negli ultimi anni: tutto è grottesco, eccessivo, a cominciare dall'aspetto stesso dei marziani, verdissimi e gommosi, per finire con i loro esperimenti sugli umani, ridotti a teste parlanti innestate su corpi di animali.
E come in ogni farsa, a volte si ride, e a volte no: il regista Tim Burton, famoso per i suoi film sempre eccessivi, e spesso geniali, si lascia prendere la mano dalle situazioni, invece che dalla trama, che procede molto slegata e con qualche incertezza di troppo. L'impressione che se ne ricava è quella di un film poco adatto all'estro del regista, che ottiene un buon risultato solo grazie alla sua bravura e a un'incredibile schiera di attori famosi: tra questi, Jack Nicholson e Glenn Close (il presidente americano e sua moglie), Rod Steiger, Pierce Brosnan, Annette Benning, Danny DeVito, Michael J.Fox, Tom Jones e molti altri. Troppi, per un film dalla trama fragile.

1996 Star Trek 8: Primo contatto (Star Trek: first contact) Frakes 7 8 5 4 5

Stavolta sono di scena i Borg, terribili cyborg completamente disumanizzati e praticamente invincibili, che all'inizio di questo film minacciano addirittura la Terra: dopo uno scontro breve ma cruento una loro navicella effettua un salto nel tempo arrivando sul nostro pianeta nel XXI secolo, rischiando oltretutto di interferire con uno dei momenti storici dell'umanità: il collaudo del primo motore a curvatura.
E così siamo ad otto: la serie di Star Trek si arricchisce di un altro episodio, e possiamo vedere di nuovo all'opera il capitano Picard (Patrick Stewart), ben coadiuvato da Riker (Jonathan Frakes), Worf (Michael Dorn), e soprattutto Data (Brent Spiner), che avrà un ruolo decisivo nella lotta contro i Borg. Alla fine questi sono sconfitti, il motore a curvatura è completato e abbiamo persino il piacere di assistere al primo incontro fra terrestri e alieni, guarda caso dei vulcaniani.
Certo, non è che questo film sia un capolavoro, come molti dei fan più accaniti vogliono far credere: il primo equipaggio dell'Enterprise aveva tutt'altro carisma, e nessuno potrà mai sostituire un personaggio come il signor Spock; inoltre, la trama non ha un gran ritmo (procede a sussulti, con accelerazioni improvvise) e l'affascinante tema del viaggio nel tempo non è sfruttato al meglio. Comunque, il fatto che la serie, all'ottavo film, sia ancora capace di appassionare, per di più limitandosi a riciclare idee già ampiamente sfruttate, non può che far piacere.

1997 Alien - la clonazione (Alien resurrection) Jeunet 7 6 6 5 8 7

Ancora e sempre Alien: non si può certo dire che Ripley (Sigourney Weaver) fosse morta in modo soddifacente, al termine del film precedente; il fiasco di quest'ultimo convince i produttori a resuscitare la famosa eroina e a mettere in cantiere un quarto film, nella speranza di trovare nuovi spunti e nuovi spettatori. E, in effetti, qualcosa di nuovo si vede: sia Ripley che il mostro, di cui era "incinta", vengono clonati e resuscitati, per venire poi studiati da un'equipe di scienziati senza scrupoli; ma ben presto entrambi fuggono dalla base spaziale in cui sono rinchiusi, dopo l'attacco di un gruppo di terroristi guidati da un androide (Wynona Rider) e decisi a eliminare, una volta per tutte, il feroce alieno. Ma il processo di clonazione ha cambiato qualcosa, nella donna come nel mostro: e anche se la prima uccide il secondo, come al solito, il finale non è affatto risolutivo: uno strano legame sembra essersi instaurato fra i due protagonisti, e il rimpianto di Ripley per aver ucciso quello che, in fondo, era suo figlio, lascia presagire ulteriori sviluppi nell'interminabile saga.
Tuttavia, per quante critiche si possano fare agli autori di questo nuovo, discutibile seguito, non si può negare che, finalmente, si cominci a vedere qualcosa di diverso dalla solita caccia al mostro: la trasformazione, più psicologica che fisica, di Ripley dopo la clonazione (dopo molti, agghiaccianti, tentativi falliti); il tentativo di studiare il mostro, di comprenderne i comportamenti (tentativo che finisce, come prevedibile, con la morte degli scienziati); infine, il personaggio dell'androide, che oltre ad essere una donna (ultima di una lunga serie iniziata con Metropolis), ha anche scrupoli e sentimenti che lasciano sconcertati i suoi stessi compagni di avventura. Insomma, un film assai ricco sotto il profilo psicologico, anche se, in fondo, il tema centrale è sempre quello: la lotta contro un mostro, e il trionfo dell'eroe di turno. Ma questo è ciò che piace al pubblico: almeno, in questo caso, il film è meno banale del solito.

1997 Contact Zemeckis 7 8 7 8 7

Negli ultimi anni sono tornate di attualità le ricerche "SETI", che tentano di accertare l'esistenza di intelligenze extraterrestri tramite l'analisi delle onde radio provenienti dallo spazio: dopo il discreto The arrival, il più ambizioso Contact prova a sua volta a sfruttare la moda del momento.
Così vediamo un'astronoma (la sempre bravissima Jodie Foster) scoprire un segnale che non solo è di provenienza extraterrestre, ma indica addirittura come costruire una specie di astronave per raggiungerne il luogo di provenienza: la vediamo cercare i finanziamenti per poterla costruire, lottare per avere l'onore di pilotarla, e infine coronare i suoi sogni: anche se l'incontro con gli alieni (che assumono l'aspetto di suo padre, morto da tempo) non è poi così spettacolare come si aspettava. Anzi, al suo ritorno non viene neanche creduta, e solo gli spettatori avranno la certezza che tutta l'avventura non sia stato soltanto un sogno.
Fu vera gloria? Il film, indubbiamente, ha riscosso unanimi consensi; ma questo serve solo a farci capire che siamo in un periodo di vacche magre. L'idea di partenza è buona, ma nulla più; la trama procede senza grandi emozioni, e finisce più per ruotare intorno ai problemi della protagonista, e agli ostacoli che incontra il suo lavoro, piuttosto che ai lati fantascientifici della storia, che pure avrebbero meritato ben altra attenzione. Se si guarda a vent'anni prima, non si può non notare come Incontri ravvicinati del terzo tipo avesse già trattato temi analoghi, ma con tutt'altra fantasia e capacità narrativa.
Alla fine, se ci si pensa seriamente, si scopre che Contact, per quanto realizzato con cura e professionalità, altro non è che un film sulla burocrazia, onnipresente e noiosa; ma allo spettatore, quanto potrà interessare?

1997 Gattaca - la porta dell'universo (Gattaca) Niccol 8 5 5 7

Dopo anni di film basati unicamente, o quasi, sugli effetti speciali, l'arrivo di Gattaca rappresenta una novità sensazionale: girato con pochissimi mezzi, è probabilmente il miglior film di fantascienza degli anni '90, e senza dubbio il più riuscito dai tempi di Terminator 2.
Certo, l'idea alla base del film (la manipolazione genetica degli esseri umani) segue la moda del momento: ma la trama si dimostra piuttosto originale, mostrandoci come, in futuro, si venga a creare una forte discriminazione tra umani geneticamente perfetti e "gli altri", quelli concepiti nel modo tradizionale e che vengono esclusi da tutti i lavori importanti. Tuttavia uno di questi (Ethan Hawke) non accetta questo stato di cose e, con la complicità di un "perfetto" (Jude Law), paralizzato a causa di un incidente d'auto, riesce a eludere tutti i controlli e a realizzare il suo sogno, diventando astronauta; un omicidio, una storia d'amore con un'altra aspirante astronauta (Uma Thurman), e una rivalità col fratello, anche lui geneticamente "perfetto", rendono la storia particolarmente ricca di spunti e sempre in grado di tener desta l'attenzione dello spettatore. Ma, in assenza degli effetti speciali dei quali la fantascienza, oggi, sembra incapace di fare a meno, c'è il serio pericolo che il film possa non venire apprezzato per quello che merita: tanto è vero che non ha avuto il successo sperato.
Naturalmente, vi sono anche altre ragioni che possono spiegare il fiasco commerciale di Gattaca (fiasco che, purtroppo, tarperà le ali a chiunque vorrà proporre film basati unicamente su trame non banali): gli interpreti non sono eccelsi, e la trama non morde sempre come dovrebbe; per esempio l'omicidio, di cui il protagonista è sospettato di essere l'autore, si risolve in una bolla di sapone, senza mostrare una vera connessione con la vicenda principale. Ma chissà: se un giorno il cinema di fantascienza tornerà a trame brillanti e innovative, questo film potrebbe prendersi una solenne rivincita, e magari diventare un piccolo "cult".
Sperare non costa nulla!

1997 MIB - men in black (Men in black) Sonnenfeld 7 7 8 5 5 7

Siamo forse arrivati al punto in cui tutte le idee sono state sfruttate, almeno in campo fantascientifico? Questa potrebbe essere l'opinione di Barry Sonnenfeld, regista famoso per l'horror demenziale de La famiglia Addams, e che in questo film realizza qualcosa di più di una semplice parodia del genere: Men in black, infatti, regge bene sia sul piano ironico che su quello avventuroso, e non manca di spunti originali, a dispetto delle intenzioni dissacratorie del regista.
Ma chi sono gli "uomini in nero"? Come molti appassionati di fantapolitica ben sanno, sarebbero i componenti di una misteriosa struttura sovranazionale, incaricati di fare sparire ogni traccia di presenze aliene o di eventi paranormali, la cui esistenza, se provata, finirebbe per sconvolgere lo status quo. Visti di solito sotto una luce quasi negativa, diventano quasi simpatici, invece, in questo film: il loro scopo, più che altro, è quello di impedire che i troppi alieni presenti sul nostro pianeta vadano in giro a combinare guai; e di guai, nel corso della storia, ne succedono fin troppi: la Terra, finita nel mezzo di una guerra tra alieni buoni e alieni cattivi, rischia grosso, finché gli "uomini in nero" (Will Smith e Tommy Lee Jones) non hanno la meglio su questi ultimi, salvando l'umanità per il rotto della cuffia.
Difficile dire se, in questo film, prevalga il lato avventuroso o quello satirico; certo quest'ultimo, ricco di trovate surreali, fa colpo sullo spettatore: memorabile, per esempio, una delle ultime scene, con Tommy Lee Jones che si fa mangiare dal mostro più cattivo del film per poi ucciderlo "da dentro". Eppure, a differenza di altri tentativi analoghi, anche la storia è costruita benissimo, e si farebbe apprezzare anche da "seria". Ma soprattutto, quanti altri film, in questi ultimi anni, hanno tentato la strada della satira, o peggio, hanno tentato di convincere lo spettatore che l'intenzione fosse quella, dopo un'accoglienza tiepida (basti pensare ad Independence day o Starship troopers)? Tanti: ma solo uno vi è riuscito, ed è proprio Men in black.

1997 Il mondo perduto - Jurassic Park (The lost world - Jurassic park) Spielberg 5 5 7 5 6 6

Se da una parte si stenta a credere che il regista di questo mediocre film sia il grande Steven Spielberg, dall'altra è ancora più incredibile che il geniale Michael Crichton, autore di libri come Andromeda, Sfera e Jurassic Park si sia convinto a scrivere in fretta e furia un seguito a quest'ultimo, e per di più solo perchè ne venisse tratto un secondo film sui dinosauri.
Dei protagonisti del primo film ritroviamo subito John Hammond (Richard Attenborough), il miliardario cinico e affarista che, diventato improvvisamente un vero ecologo, è deciso a trasformare in riserva naturale una seconda isola popolata dai dinosauri; a questo scopo viene assoldato il redivivo matematico Ian Malcolm (Jeff Goldblum) che si reca sull'isola in questione per studiare gli animali: e qui le cose si complicano, perché ben presto arriva anche un gruppo di cacciatori, bene armati e decisi a catturare i dinosauri per venderli a qualche zoo, e la situazione precipita, con tanto di morti e fughe precipitose. Ma in un modo o nell'altro, un tirannosauro finisce in trappola, e alla fine lo vediamo scorrazzare per le strade di San Diego come fosse Godzilla, calpestando automobili e seminando il panico; per fortuna ci pensa Ian Malcolm, ormai eroe a tempo pieno, a catturare il gigantesco animale e a rispedirlo a casa.
Insomma, spettacolo puro e fine a sé stesso: questo seguito di Jurassic Park non si cura del ridicolo pur di rastrellare soldi al botteghino, e dimentica del tutto gli spunti originali, come la meraviglia nel trovarsi di fronte ai dinosauri (qui ridotti al ruolo di comuni bestie feroci) o la suspence derivante dalle innumerevoli situazioni di pericolo (qui invece sembra di stare al circo, con Malcolm che affronta i velociraptor con una sedia in mano, e sua figlia che volteggia sulle loro teste).
Possibile che Spielberg abbia davvero esaurito le idee? A vedere questo inutile film, la risposta sembrerebbe ovvia: ma la speranza è dura a morire, e chissà che il regista di E.T. e Incontri ravvicinati del terzo tipo non abbia ancora qualche freccia (ben nascosta) al suo arco. Chissà.

1997 Nirvana Salvatores   5 6 5

Perché un regista famoso per commedie agrodolci, e sempre in odore di Oscar, decide un giorno di girare un film di fantascienza, genere quasi ignoto ai produttori italiani? La scelta di Salvatores ha attirato in ugual misura i consensi di chi ha accolto positivamente il tentativo di uscire dai binari in cui si muove il cinema italiano da molti anni a questa parte, e i dissensi di chi ritiene che questo tentativo non sia riuscito.
Certo non è facile dare un giudizio obiettivo di Nirvana, nome del videogioco intorno a cui ruota il film, e la cui uscita sul mercato il suo autore, Jimi (l'enigmatico Christopher Lambert), cerca di impedire, forse commosso dai lamenti del suo protagonista, a cui un virus informatico ha donato vita propria: l'ambientazione cupa e futuristica, probabilmente ispirata a Blade Runner, ha la sua efficacia, anche se non è più una novità; è senz'altro buona la resa di tutti gli attori, tra i quali Diego Abatantuono nei panni del protagonista del videogioco, Sergio Rubini e Stefania Rocca nel ruolo di due hacker che cercano di aiutare Jimi, e perfino Emmanuelle Seigner, che compare sporadicamente sotto forma di ricordo (era la fidanzata di Jimi). La trama, invece, è complicata, spesso inutilmente, e anche l'idea di base non sembra delle migliori: dove vuole arrivare il film? E' un'altra denuncia dello strapotere dei mezzi di comunicazione, ieri i giornali, oggi la televisione, domani i videogiochi (ma allora la trama avrebbe bisogno di essere più lineare)? E' una variante sul tema di Blade Runner (nel qual caso fallisce senza dubbio)? E' una pura e semplice avventura, buona solo a mostrarci l'ennesimo eroe solitario e tormentato, ruolo in cui Christopher Lambert non ha eguali?
Indubbiamente il film ha il suo fascino, e la mano di un grande regista si vede spesso; ma il suo vero difetto è appunto il senso di incompiutezza che lascia nello spettatore: evidentemente vuol essere tutto quanto, metafora sui mass-media, Blade Runner, avventura e magari pure storia d'amore. Ma la carne al fuoco è troppa, anche per un Salvatores.

1997 Punto di non ritorno (Event horizon) Anderson 4 6 3 4 5

L'inizio del film sembra eccellente: un'astronave, progettata per esplorare i buchi neri, e misteriosamente scomparsa tempo prima, ricompare altrettanto misteriosamente nei pressi di Nettuno; il suo progettista (Sam Neill) si reca ad indagare su ciò che può essere accaduto. Quali incredibili misteri verranno svelati? Quali sconosciute dimensioni si apriranno sugli spettatori? Siamo forse in presenza di un nuovo 2001?
Ma la risposta è negativa. Quasi subito il film si rivela per quello che è veramente: un semplice splatter privo di sorprese e persino di suspence, il cui unico scopo è quello di mostrarci come vengano fatti a pezzi gli astronauti (guidati da Laurence Fishburne) che accompagnano lo scienziato; causa del disastro è un'entità malefica che si è impadronita dell'astronave, nella misteriosa dimensione in cui era finita, e che sembra in grado di far materializzare i peggiori incubi dei protagonisti: questi finiscono così per ammazzarsi a vicenda (ancora una volta, è proprio lo scienziato a darsi più da fare), naturalmente nei modi più orribili che si possano immaginare, finché una bella esplosione purificatrice spazza via l'astronave maledetta e l'entità malefica.
O no? Ma in fondo, importa veramente?

1997 Il quinto elemento (Le cinquieme element) Besson 7 7 8 5 6 5

Grandi mezzi, grandi idee, ma anche una trama priva di controllo, e che sbanda in ogni direzione, quasi animata da vita propria: questo è Il quinto elemento, bizzarro film nato dalla straripante fantasia del regista francese Jean-Luc Besson. Raccontare la vicenda è quasi più complicato della vicenda stessa, che vede alieni cattivi e alieni buoni lottare rispettivamente per far trionfare il Male, o per impedire che ciò accada: per evitare la vittoria del Male, però, è necessario che un misterioso "quinto elemento" si unisca, in un certo posto, e seguendo un certo rito, agli altri quattro (aria, acqua, terra, fuoco). Tutto qui? Niente affatto: il quinto elemento è l'amore, impersonato da una bellissima fanciulla (Milla Jovovich) a cui tutti, buoni e cattivi, danno la caccia; per fortuna uno scalcinato tassista (Bruce Willis) penserà bene di aiutarla e infine di innamorarsene, innescando finalmente, con una dichiarazione in piena regola nel posto e nel momento giusto, la "reazione cosmica" che spazzerà via il Male, una volta per tutte.
Insomma, sembrerebbe che questo sia il film del secolo, quello che tratta i Grandi Temi, e possiede le Grandi Risposte; un film in grado di scalzare 2001 dal suo piedistallo: o no?
No. La troppa carne al fuoco, come spesso accade, trasforma il film del secolo in un guazzabuglio di situazioni che, accumulandosi freneticamente una dopo l'altra, finiscono per disorientare lo spettatore senza lasciargli il tempo di apprezzare i lati più interessanti della trama; è pur vero, tuttavia, che la grandiosità delle scenografie, la spettacolarità di molte scene d'azione, e l'indiscusso fascino della protagonista danno comunque una marcia in più a questo film. Forse non quella in cui sperava il regista: ma sempre meglio di niente!

1997 Starship troopers - fanteria dello spazio (Starship troopers) Verhoeven 3 8 5 7 6

Si dice che lo scopo di Starship troopers fosse quello di fare un po' di satira antimilitarista, e che questa sia la causa della scarsa fedeltà al celebre romanzo di Robert Heinlein Fanteria dello spazio: ma allora, perchè utilizzare a questo scopo un'opera decisamente militarista? La realtà, purtroppo, è ben diversa: Paul Verhoeven, regista da sempre incline a inserire massicce dosi di violenza nei suoi film, ha visto nel romanzo di Heinlein l'occasione per dare sfogo alle sue tendenze, e se ne è servito per confezionare uno "splatter", il cui unico scopo è quello di mostrarci gente fatta a pezzi nei modi più orribili dai mostri di turno, e, come se non bastasse, orribili scene di tortura ai danni di animali e degli stessi mostri. Il tutto servendosi di attori che sembrano appena usciti da uno dei telefilm studenteschi molto di moda in questi anni, nel tentativo di richiamare nelle sale almeno il pubblico giovanile, che d'altra parte è quello a cui maggiormente piace il genere "splatter".
L'ovvio risultato è che la credibilità della vicenda (una guerra tra umani e mostri alieni, condotta sul pianeta di questi ultimi) scende a zero, che l'unico attore passabile (Michael Ironside), circondato da imbecilli che hanno tutta l'aria di trovarsi nel film sbagliato, sembri un pesce fuor d'acqua, e che lo spettatore, stufo di essere preso per i fondelli, sia tentato di mandare al diavolo la fantascienza nel suo complesso, scordando che, a dispetto dei tempi che corrono, non è poi difficile vedere qualcosa di meglio.

1998 Armageddon - giudizio finale(Armageddon) Bay 4 6 6 5   6

Pare che un astronomo abbia detto, di questo film, "c'è un'unica cosa giusta, dal punto di vista scientifico: si parla di asteroidi, e questi esistono veramente": quanto basta per far capire che ci troviamo di fronte a una montagna di assurdità talmente colossali che definirla "fantascienza" è quasi offensivo.
Pure, non è questo il guaio di Armageddon, che non è certo il primo film, né l'ultimo, a prendere solenni cantonate in campo scientifico: gli episodi di Guerre stellari, ad esempio, non sono certo da meno, eppure lo spettatore neanche si accorge del problema. Un miracolo? No, solamente un'equa distribuzione dei soldi tra effetti speciali e sceneggiatura. Perché la trama di Armageddon, in fondo, non sarebbe neanche male: un asteroide minaccia di scontrarsi con la Terra, e un manipolo di eroi vi si reca, a bordo di uno Shuttle, per impiantarvi una potente testata nucleare che ne devierà la traiettoria; la missione riesce, ovviamente all'ultimo minuto, anche se il comandante (Bruce Willis) deve sacrificarsi per far esplodere in tempo la bomba.
Insomma, nulla di nuovo sotto il Sole: l'idea è presa di peso dall'ultima fissazione dei media, ma comunque tirarne fuori una trama ricca di suspence non sarebbe stato difficile. Ma cos'è la suspence? In un film come questo, è quando lo spettatore rimane in ansia, non sapendo cosa stia per accadere, e come faranno i protagonisti a uscire da una situazione difficile. Basti pensare ad Alien, probabilmente il miglior film di fantascienza sotto questo aspetto; eppure, nonostante si tratti di un meccanismo elementare, gli sceneggiatori falliscono su tutta la linea: il solo modo che trovano per catturare l'interesse dello spettatore è quello di ridurre il film a una serie continua di esplosioni, incidenti, urla, litigi. C'è sempre qualcuno che sta per morire, qualcosa che si sta per rompere o sta per esplodere, qualcos'altro che non funziona come dovrebbe: alla fine lo spettatore, più frastornato che interessato, non può fare a meno di domandarsi se davvero sia questo il meglio che offra la fantascienza, oggi. La risposta, per fortuna, è negativa. Ma di questo passo, quanto lo rimarrà?

1998 Dark city Proyas 8 5 6 7

L'idea iniziale sembra decisamente buona: che sta succedendo al protagonista (Rufus Sewell), un uomo che vive in una città dove il sole non sorge mai (e dove nessuno sembra chiedersi il perché), che ha una moglie di cui non si ricorda, e che non riesce a raggiungere una spiaggia che pure dovrebbe trovarsi da qualche parte, a giudicare dai cartelloni pubblicitari? E chi sono le persone vestite di nero che lo seguono continuamente? Anche la polizia, nonostante la buona volontà dell'ispettore di turno (William Hurt), non gli è di aiuto; sarà invece uno strano medico (Kiefer Sutherland) a chiarire, poco per volta, la situazione: le persone vestite di nero sono degli alieni, padroni occulti della città, che dopo aver "prelevato", chissà quando, alcuni terrestri, li hanno confinati su un asteroide alla deriva nello spazio (per questo è sempre buio). Come se non bastasse, passano il loro tempo cambiando di continuo, con l'aiuto di colossali macchinari nascosti sotto la città, l'aspetto esteriore di questo piccolo mondo, e "riprogrammando" allo stesso modo i ricordi degli abitanti: il tutto nel tentativo di scoprire cosa siano le emozioni che provano gli esseri umani (e di cui vorrebbero impossessarsi); ma oltre a non riuscirci, gli alieni finiscono per soccombere di fronte alla ribellione del protagonista: la città viene liberata dalla loro presenza, e i suoi abitanti possono finalmente vivere un'esistenza normale, pur continuando a vagare nello spazio senza più memoria del loro passato.
Alex Proyas, regista che preferisce i temi orrorifici (è suo il famoso, e discusso, Il corvo) a quelli fantascientifici, insiste molto sul lato gotico della trama: a partire dalla tenebra che avvolge perennemente la città, e dall'aspetto degli alieni (che ricorda quello di Nosferatu), tutto, in questo film, appare sinistro, minaccioso, oscuro, inquietante; e non privo di efficacia, indubbiamente. Eppure, se si pensa a un film analogo, e meglio riuscito, come Matrix, ci si rende subito conto che quella di trascurare il lato fantascientifico della trama non è stata una buona idea: se Matrix non è un capolavoro, Dark City poteva diventarlo. Peccato.

1998 Deep impact Leder 6 6 8 5   7

Uscito quasi contemporaneamente ad Armageddon, altro film che parla di asteroidi destinati a schiantarsi sulla Terra, Deep impact affronta la faccenda da un punto di vista più realistico: anche stavolta c'è un asteroide (anzi, una cometa) in rotta di collisione col nostro pianeta; anche stavolta vi vengono mandati alcuni astronauti, guidati dal veterano Robert Duvall, col compito di piazzarvi delle bombe nucleari destinate a farlo a pezzi: ma nonostante il lavoro venga portato a termine senza troppe difficoltà (relativamente all'altro film, ovviamente), le bombe non bastano, e il presidente americano (Danny Glover) non ha altra scelta che organizzare dei rifugi sotterranei nella speranza che possano salvare abbastanza vite. All'ultimo istante, tuttavia, si scoprirà il modo di limitare i danni, anche se molti dei protagonisti non torneranno a casa ...
Se non altro, in questo film non ci sono esplosioni a getto continuo: tutti agiscono con calma, si preoccupano per tempo dei pericoli da affrontare, e non hanno tutti gli inconvenienti che capitano ai protagonisti di Armageddon. Non che questo renda Deep impact un capolavoro: la retorica abbonda, la noia affiora di tanto in tanto, e solo il realismo della vicenda la rende abbastanza interessante. Personaggi ben caratterizzati (anche grazie alla buona prova degli attori), e degli effetti speciali di buon livello (anche se limitati a poche scene) completano il quadro: non è molto, ma oggi bisogna accontentarsi.

1998 Godzilla Emmerich 4 7 3 5 5

Si sentiva il bisogno di un remake di Godzilla? Probabilmente no, ma ciò non giustifica l'ostilità che ha accolto questo film, di sicuro non inferiore all'originale: rispetto al quale, sono anche state introdotte delle varianti non prive di interesse, come le uova che riempiono la città (New York, stavolta) di "godzillini", non meno pericolosi della loro madre. La lotta contro tutti questi mostri è accanita, e vede in prima linea i soliti militari privi di cervello, il solito scienziato geniale, che invece capisce sempre tutto (Matthew Broderick), la solita giornalista belloccia e arrivista, e perfino un gruppo di militari francesi (guidati da Jean Reno) in preda a scrupoli di coscienza: Godzilla, infatti, è la conseguenza dei "loro" esperimenti nei pressi di Mururoa.
Inutile dire che alla fine del film tutti i mostri verranno uccisi, a partire da quello più grosso, che, intrappolato nei cavi che sostengono il ponte di Brooklyn, viene letteralmente crivellato di missili; inutile anche dire che New York si ritrova semidistrutta, con i principali edifici sventrati dal mostro e da proiettili di ogni genere: ma che importa? Lo scienziato e la giornalista convolano a giuste nozze, e tutti esultano per la fine del pericolo. Peccato che uno dei "godzillini" sia sopravvissuto ... a quando il seguito?
Comunque il film non è male: questo Godzilla, a differenza di quello giapponese, è davvero enorme (è alto più di 100 metri), e la bontà degli effetti speciali è tale da rendere credibili le scene più impressionanti (per esempio quella in cui il mostro, che sa correre sulle zampe posteriori, salta sui pilastri del ponte di Brooklyn); né la sceneggiatura abbonda di assurdità, come avviene spesso di questi tempi. I protagonisti sono tutti abbastanza simpatici, e la mancanza di un eroe di stampo classico, in grado di affrontare e sconfiggere il mostro praticamente da solo, non è certo un difetto. Cosa volere di più? Magari un film che faccia pensare, oltre a divertire: ma, a quanto pare, è chiedere troppo, almeno oggi. Domani?

1998 Sfera (Sphere) Levinson 5 5 5 5 5 5

Tra i maggiori insuccessi del cinema di fantascienza, Sfera ha influito negativamente anche sulla fama di Michael Crichton, i cui libri si erano sempre rivelati una miniera d'oro per Hollywood: basti pensare ad Andromeda e a Jurassic Park. Eppure, la storia comincia alla grande: in fondo all'oceano Pacifico viene ritrovata un'astronave, forse di provenienza extraterrestre, e un'equipe di scienziati viene chiamata a scoprire di che si tratta; ma il seguito delude un po' le aspettative. L'astronave, infatti, viene dal futuro, e contiene al suo interno una misteriosa sfera, che ha il potere di materializzare i desideri (soprattutto inconsci) di chiunque riesca a penetrarvi: sulla falsariga di quanto accadeva ne Il pianeta proibito cominciano ad apparire mostri di ogni genere, con conseguenze facilmente immaginabili, finché gli ultimi tre superstiti (Dustin Hoffmann, Sharon Stone e Samuel Jackson), non ne hanno abbastanza, e si salvano "dimenticando" tutto quello che è successo.
In realtà, quello che non funziona, in Sfera, è proprio il romanzo di Crichton: ma se nel libro i dettagli minuziosi e un ritmo lento e misurato rendono almeno plausibile una vicenda piena di buchi logici, e sempre più improbabile man mano che ci si avvicina alla fine, il film, viceversa, ricco unicamente di esplosioni, urla, inseguimenti, gente ammazzata ed effetti truculenti, distrugge del tutto la credibilità della storia, finendo per diventare una copia brutta e pretenziosa del già discutibile Leviathan.
Quello che resta, alla fine, è una sensazione di spreco: di soldi, di effetti speciali, di grandi attori, e persino di un'idea che, se fosse stata rielaborata nel modo giusto, poteva dar vita ad un grande film: l'unica cosa buona, paradossalmente, è il mancato successo di questa pellicola; se capitasse più spesso, infatti, gli appassionati di fantascienza avrebbero qualche speranza di rivedere, prima o poi, un film degno di questo nome.

1998 Star Trek 9: Insurrezione (Star Trek: insurrection) Frakes   8   5 5
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1998 X-files il film (The X-files) Bowman   7 7 5   5
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1999 Il gigante di ferro Bird 8 8      

Un gigantesco robot, proveniente dallo spazio, precipita in mare al largo della costa americana: siamo verso la fine degli anni '50, in piena guerra fredda, e tutti scrutano il cielo, nel timore di vedersi arrivare addosso una bomba sovietica. Ma il tuffo in mare danneggia il robot, che perde la memoria e dimentica lo scopo per il quale è stato costruito e, una volta raggiunta la terraferma, inizia a vagare per i boschi, affamato (mangia solo metalli) e senza meta: il primo essere umano che incontra è un ragazzo di nome Hogarth, al quale finisce per affezionarsi, e che lo nasconde, non senza difficoltà, nel garage di casa sua; il robot, infatti, incoraggiato dal ragazzo, dimostra di avere un animo (se di animo si può parlare!) buono e gentile, mentre non si può dire altrettanto dell'agente dell'FBI che si è messo sulle sue tracce, e che, accecato dalle sue paranoie, continua a frugare i boschi in cerca di indizi. Alla fine la situazione precipita; scoperto e attaccato dall'esercito, il robot ritrova la memoria, recupera le sue funzioni originali (e il suo aspetto) e si rivela per quello che è veramente: una terribile macchina da guerra, in grado di schiacciare i carri armati e polverizzare le navi. All'ultimo istante i richiami disperati di Hogarth hanno la meglio, e il robot rinuncia ai suoi minacciosi propositi: ma ormai, un missile a testata nucleare gli è stato lanciato contro, e non avrà altro modo, per salvare tutte le persone che gli stanno intorno, che andargli incontro, consapevole del destino che lo attende: di lui resterà solo una vite.
Se non fosse per un'ultima scena, probabilmente aggiunta dopo molti ripensamenti, e che lascia intravedere, nonostante tutto, un lieto fine, questo film entrerebbe nella ristretta cerchia dei capolavori assoluti del cinema di fantascienza: basti pensare che un film non troppo dissimile, come E.T., al confronto appare melenso, pur essendo a sua volta un capolavoro. Il gigante di ferro, invece, non solo vanta una sceneggiatura di prim'ordine, una magnifica ricostruzione dell'America della guerra fredda, una trama ricca di colpi di scena, di tensione, di momenti divertenti, e con un bellissimo finale: riesce persino a commuovere lo spettatore, come raramente accade al cinema, grazie a poche, bellissime battute, e ad una caratterizzazione dei personaggi, a partire dal robot, veramente straordinaria.
Eppure, un capolavoro simile è "solamente" un cartone animato, cosa che lo ha penalizzato non poco, impedendogli di raggiungere il favore del grande pubblico; se si pensa a quali film, invece, hanno avuto successo in questi ultimi anni, una domanda sorge spontanea: vale la pena di andare ancora al cinema?

1999 Matrix (The matrix) Wachowski 7 7   6 8

Se l'idea di partenza (il mondo in cui viviamo è solo un sogno) è veramente eccezionale, altrettanto non si può dire di come viene sviluppata, in questo film salutato da molti come il nuovo Blade runner, ma che non vale assolutamente il suo illustre predecessore.
Che il mondo sia un sogno lo si capisce a metà film, dopo che al protagonista, un hacker che si fa chiamare "Neo" (Keanu Reeves), sono capitate le cose più strane: la Terra, distrutta dalla solita catastrofe nucleare, è adesso dominata dalle macchine, che tengono in catalessi tutti gli esseri umani, e se ne servono come fonte di energia. Tutti fanno lo stesso sogno (la "matrice"), indotto dalle macchine, e credono di vivere un'esistenza normale; ma alcuni ribelli (svegli e consapevoli della situazione) vi si introducono dall'esterno, cercando di risvegliare tutti coloro che potrebbero aiutarli: tra questi, un ruolo decisivo spetta a "Neo", che secondo una profezia potrebbe essere "l'eletto", vale a dire l'uomo in grado di modificare la "matrice", e non solo di interagirvi come fanno tutti gli altri, consapevoli o no di come stiano le cose. E infatti è lui "l'eletto": dopo alterne vicende riesce a distruggere, nel mondo virtuale, le proiezioni delle macchine (dei loschi figuri vestiti di nero, che sembravano invincibili), e nel mondo reale rinasce la speranza, anche se la strada da percorrere prima di sconfiggere le macchine sembra ancora lunghissima.
Eppure, a dispetto dell'idea iniziale, Matrix finisce per diventare, come capita spesso ai film di fantascienza, un banale film d'avventura: dopo un buon inizio, ricco di misteri e di colpi di scena, le scene d'azione prendono il sopravvento, tra sparatorie, combattimenti corpo a corpo (con tanto di kung-fu), inseguimenti, salvataggi in extremis: il tutto condito da effetti speciali mirabolanti che esaltano il dinamismo di molte scene, ma che, quasi sempre, risultano fini a sé stessi, senza che la storia ne tragga particolari benefici.
Ed è un peccato: l'idea alla base di questo film è talmente buona che oltre alle consuete assurdità scientifiche (prima fra tutte quella di utilizzare gli esseri umani come fonte d'energia), gli si potrebbero perdonare anche le numerose contraddizioni e incongruenze; ma allora sarebbe stato necessario dare il massimo risalto alla parte fantascientifica senza perdersi nelle scene d'azione. Dove sono finiti i Kubrick, gli Scott, persino i Carpenter, tutti registi che sapevano il loro mestiere? Magari vivessimo in un sogno: potremmo sperare in un loro ritorno ...

1999 La minaccia fantasma (The phantom menace) Lucas 6 8     7

Senza dubbio il film più atteso della storia del cinema, La minaccia fantasma risente pesantemente delle aspettative che si sono create intorno alla trama e alle innovazioni che Lucas ha apportato alla trilogia originale: trovare uno spettatore che non sia rimasto entusiasta di queste innovazioni o, all'opposto, estremamente deluso, è difficile.
In realtà il film si distingue soprattutto per lo sforzo di Lucas di staccarsi dalla prima trilogia, abbandonandone i toni mistici e i personaggi scanzonati per cercare una maggior serietà e un'impostazione più razionale: ma l'accoglienza relativamente fredda del pubblico (fredda rispetto alle aspettative, s'intende) e le stroncature dei critici dimostrano come l'operazione sia riuscita solo in parte. Se da un lato i nuovi personaggi non sono così privi di fascino, come molti pensano, e la trama, pur ricalcando le orme degli altri film, si fa seguire con un certo piacere, dall'altro i tentativi di Lucas di forzare l'incerto interesse degli spettatori con trovate di dubbio gusto danno più fastidio che altro: così personaggi come i Gungan, e soprattutto JarJar, finiscono per diventare antipatici, se non odiosi; gli effetti speciali risultano eccessivi e distolgono l'attenzione dai protagonisti e dalle loro vicende, alle quali diventa difficile appassionarsi.
Per di più, la lunga ombra di Darth Vader pesa come un macigno su questo film: se buona parte del successo della prima trilogia era dovuto alla figura incredibilmente carismatica dell'eroe negativo, l'impossibilità di ritrovare un personaggio dello stesso spessore nuoce non poco al tema portante del contrasto fra il bene e il male; e la figura di Darth Maul, il cattivo di turno, ne viene sminuita e resa quasi insignificante, rendendo a loro volta poco convincenti anche i personaggi positivi.
In attesa dei due film successivi, poco altro resta da dire: la trama, che ruota intorno a un conflitto tra un piccolo pianeta indipendente e una federazione di mercanti che vuole asservirlo, dice poco; più interessanti sono gli sviluppi minori, che ci permettono di fare la conoscenza del piccolo Anakin Skywalker, destinato a diventare Darth Vader, e del senatore Palpatine, destinato a diventare l'imperatore. Interessante la prova degli attori, tra i quali il grande Liam Neeson, che caratterizza l'imperturbabile ma ostinato cavaliere Jedi Qui-Gonn Jinn, il giovane Ewan McGregor, a cui è stato affidato il difficile ruolo di Obi-Wan Kenobi; e la giovanissima Natalie Portman che, nel ruolo della regina del piccolo pianeta, sembra avere molti punti in comune con la principessa Leia.
Tirate le somme, sarà poi vera gloria? Stavolta è proprio vero: ai posteri l'ardua sentenza.



Registi presenti con più di due film

- Carpenter (7)
- Arnold (6)
- Cameron, Guest, Haskin, Spielberg, Zemeckis (4)
- Cronenberg, Emmerich, Fleischer, Hyams, Lucas, Meyer, Miller, Verhoven, Whale, Wise (3)