Vicente Segrelles e il Mercenario: per la gioia di Burroughs e Conan Doyle


Strano personaggio, questo “Mercenario” di cui nessuno (forse neanche lui stesso) conosce il vero nome, e strano anche il suo autore, il catalano Vicente Segrelles: disegnatore tecnico e pubblicitario di grande successo, giunto all’età di 40 anni decide di lanciarsi nel modo del fumetto dopo aver collaborato per qualche tempo a riviste di fantasy o fantascienza edite dalla Norma, una famosa casa editrice di Barcellona.
Nasce così, nel 1980, il Mercenario, serie fantasy che mostra da subito forti elementi fantascientifici e il cui richiamo alle opere di Burroughs e soprattutto di Conan Doyle (“Il mondo perduto”) è piuttosto evidente. Inizialmente la serie si fa notare per il suo disegno, estremamente particolare se non unico nel suo genere: ogni vignetta non è disegnata, come sempre, a matita per poi essere ripassata a china e infine colorata con pastelli o tempera, ma è interamente realizzata a olio! Questo dà ad ognuna delle pagine del fumetto l’aspetto di un quadro manierista e dà a Segrelles una fama superiore ai suoi effettivi meriti. Quando il Mercenario arriva in Italia, nel 1982, le critiche non mancano: pubblicata dalla rivista “l’Eternauta”, allora sulla cresta dell’onda, in un periodo in cui andavano di moda fumetti impegnati e caratterizzati da testi solidi più che da disegni efficaci, il personaggio di Segrelles non riscuote il successo sperato. Il disegno non è male – dicono – ma la storia è inconsistente. Solo le prime quattro storie trovano spazio sulla rivista, e solo le prime due vengono ripubblicate in albo; le rimanenti (sono 13 in tutto) vedranno la luce in sordina sulle meno prestigiose pagine di Lanciostory, e le ultime tre sono tuttora inedite nel nostro paese.

Ma nonostante quanto si disse a suo tempo, la storia non è affatto banale e merita una lettura ben più attenta di quanto venne fatto negli anni ‘80. Inizialmente, come si diceva, l’ambientazione sembra più fantasy che fantascienza: le vicende si svolgono intorno all’anno 1000 in una regione sperduta dell’Asia, rimasta così isolata dal resto del mondo da aver conosciuto un’evoluzione parallela: animali strani e mostruosi popolano questa regione, in parte addomesticati o tenuti sotto controllo, in parte da evitare ad ogni costo. Gli abitanti, pochi ma bene organizzati, vivono a grandi altezze, sui pendii o sulle cime di alte montagne, e una coltre di nuvole perenni li separa dal mondo sottostante, che nessuno conosce e che comunque non possono visitare non essendo in grado di respirare a quote troppo basse. Gli spostamenti avvengono per mezzo di animali in grado di volare, enormi bestie che sembrano un incrocio tra un cavallo e un dinosauro alato e che tutti chiamano “dragones” o draghi (ma non sputano fuoco). Il mondo sembra fermo, dal punto di vista tecnologico, al Medioevo, con ampio uso di armature, balestre, spade, e con alchimia e superstizioni a farla da padrone. Del resto siamo appunto nell’anno 1000 o poco prima e, almeno da questo punto di vista, il mondo del Mercenario non è troppo diverso dal nostro.

Nella prima storia, “Il popolo del fuoco sacro” (Spagna 1981, Italia – l’Eternauta – 1982), il protagonista della serie, un avventuriero che si guadagna da vivere eseguendo pericolose missioni per conto altrui, precipita al disotto della coltre di nubi che isola il suo paese dal resto del mondo e, soccorso dagli abitanti delle pianure e messo in grado di respirare a pressioni più alte di quelle a cui è abituato, scopre l’esistenza di altri popoli, altre culture e altre tecnologie, fra cui – fantascienza dal suo punto di vista – un pallone aerostatico decisamente in anticipo sui tempi e usato da un gruppo di donne fuggito da un harem e da un sultano un po’ troppo cattivo.
Gli orizzonti si allargano ancora nella seconda storia, “La formula” (1983 – l’Eternauta), in cui viene introdotto il principale “villain” della serie, il malvagio alchimista Claust. Costui conduce il Mercenario in una specie di monastero sperduto tra i ghiacci, dove vivono dei “monaci” guidati da un “Lama” (ma nulla a che vedere con quelli moderni), custodi di una misteriosa formula in grado di dare un “grande potere”. Come Claust scoprirà a sue spese dopo averla rubata, si tratta della formula della polvere da sparo, allora ignota in tutto il mondo e che il Mercenario, aiutato da una giovane guerriera di nome Nan-Tay, tenterà invano di recuperare.
Deciso a eliminare i monaci, gli unici in grado di contrastare la sua ascesa al potere, Claust cerca in ogni modo di attaccare il loro monastero; ma con l’aiuto di Nan-Tay e del Mercenario, passato definitivamente dalla loro parte dopo un’iniziazione a base di allucinogeni (“Le prove”, 1984, l’Eternauta), questi ribattono colpo su colpo, in una corsa agli armamenti che vede l’apparizione dapprima di “semplici” bombe (“Le prove”), poi di esplosivi ad alto potenziale (“Il sacrificio”, 1988 – l’Eternauta), per passare ai cannoni e alle navi da guerra (“La fortezza”, 1991 – Lanciostory) e infine ai sottomarini, alle armi laser e persino alla bomba atomica (“La sfera”, 1993 – Lanciostory). Il tutto sempre nell’ambientazione medioevale che caratterizza la serie, con le armature, gli animali volanti e così via, e senza che il Mercenario, peraltro fedelissimo al suo arco e ai suoi metodi, batta ciglio di fronte ad armi sempre più strane e terrificanti.
Dopo una raccolta di storie più brevi e non particolarmente significative (“Il viaggio”, 1995 – Lanciostory), il Mercenario torna nel 1996 con quella che diventerà la sua storia migliore: “Anno mille” (Lanciostory). La svolta fantascientifica si accentua: catturato Claust alla fine de “La sfera”, i monaci rivolgono la loro attenzione a un pianeta gemello della Terra e che si avvicina a questa ogni 3 anni, di solito senza conseguenze, ma che stavolta potrebbe distruggere il nostro pianeta. Il Mercenario, finito dentro una misteriosa luce che collega i due mondi (un wormhole?) e uscitone vivo grazie alle radiazioni assorbite ne “La sfera”, radiazioni che hanno trasformato la sua armatura in una specie di capsula protettiva, si ritrova sul pianeta gemello dove incontra un vecchio umano di nome Kay: costui è l’unico superstite di una catastrofe ecologica che ventun’anni prima ha reso l’intero pianeta inabitabile e avvolto da una spessa coltre di nubi velenose. Il pianeta si chiama Geos, e molto tempo prima i suoi abitanti avevano organizzato delle spedizioni sulla Terra: da queste spedizioni (di cui nessuno ha più saputo nulla) dovrebbe essere nata la mitica Atlantide. Infine, Kay rivela che anche il “Lama” e Nan-Tay (sua nipote) sono originari di Geos, il che spiega finalmente le avanzate conoscenze scientifiche del piccolo gruppo di monaci.
Alle scoperte fa seguito l’azione: Kay e il Mercenario si assumono il non facile compito di bonificare il pianeta dalle nubi velenose, raggiungere e riattivare gli enormi macchinari che servono a prevenire la collisione fra Geos e la Terra, trovare un modo per tornare su quest’ultima e – come se non bastasse – sfuggire a mostri grandi e piccoli e altre strane creature, ben poco amichevoli, che vivono sopra la coltre di nubi. Gli ostacoli sono tali e tanti che neanche l’abilità del Mercenario e la sua capacità di adattarsi ad ogni situazione sono sufficienti: in suo aiuto verrà infatti un’altra superstite, una ragazza decisa e coraggiosa di nome Ky, a sua volta scampata miracolosamente alla catastrofe e abituata a sopravvivere in un ambiente ostile come quello di Geos. Sarà il suo intervento, inatteso e per questo particolarmente gradito, a risolvere ogni problema. Alla fine il Mercenario tornerà sulla Terra, Ky resterà sul pianeta bonificato e il vecchio Kay morirà, sacrificandosi per salvare la ragazza da una brutta fine.
La scoperta di Geos, con i suoi segreti, mette nuovamente in moto Nan-Tay e il Mercenario che, ne “Alla ricerca degli antenati” (1997 – Lanciostory) iniziano a cercare l’Atlantide, trovandone dapprima i resti in un piccola isola nell’oceano, e finendo poi per scontrarsi con i Toltechi, nell’America Centrale. In questa occasione ricomparirà Ky, arrivata infine sul nostro pianeta e finita in guai ancora peggiori.
Dopo un’altra raccolta di storie brevi e di livello non eccelso (“I giganti", 1998 – Lanciostory), il Mercenario e Ky tornano su Geos nella prima di tre avventure inedite da noi (“La fuga”, 2000), alla ricerca delle medicine che potrebbero salvare la vita del “Lama”, malato di cancro. Nuovi mostri, ma anche nuove popolazioni, più o meno umanoidi, più o meno ostili, accolgono i nostri eroi in un pianeta nuovamente inabitabile.
Le avventure del Mercenario si concludono con una storia lunga e complessa, divisa in due parti (“Il riscatto”, 2002-2003), che inizia nel sultanato di cui si era visto qualcosa agli inizi della saga e finisce in un mondo sotterraneo nel deserto del Sahara: qui vivono gli ultimi atlantidi, sottomessi a una razza di lucertoloni intelligenti (i “Worwoks”) le cui origini sono misteriose – si intuisce che potrebbero essere il risultato di un esperimento compiuto da visitatori extraterrestri. Tra colpi di scena, tradimenti, viaggi da una parte all’altra del pianeta e molte scoperte lasciate in sospeso, la storia si conclude in maniera poco soddisfacente col ritorno allo “status quo”, i Worwoks che continuano a vivere nascosti sottoterra, i nostri eroi che hanno avuto la memoria cancellata (tipico cliché a cui non sfugge neanche Segrelles) e il destino futuro di tutte queste razze che sembra appeso alla volontà di un’entità extraterrestre. Da allora, purtroppo, Segrelles ha tirato i remi in barca e non ha mostrato alcuna intenzione di riprendere in mano i molti spunti presenti in queste ultime storie. Ormai più che settantenne, e dopo aver persino abbandonato la sua famosa tecnica ad olio in favore della più semplice colorazione al computer (nelle ultime quattro storie), Vicente Segrelles ha probabilmente esaurito – forse un po’ prematuramente – le idee e la voglia di mettersi in discussione con storie nuove. Sul suo sito – www.segrelles.com – l’edizione completa e deluxe della serie è già esaurita, a conferma di un successo tale da consentirgli di vivere di rendita… peccato per chi sperava di vedere finalmente della “vera” fantascienza, dopo che i segnali in questo senso erano andati aumentando nelle ultime avventure del Mercenario.

Questo non significa che ci si debba strappare i capelli – per fortuna. Vista nel suo insieme, la serie di Segrelles raggiunge sì la sufficienza, ma non si spinge troppo oltre. La cosa forse più singolare, per chi voglia darne un giudizio critico davvero imparziale, è che le considerazioni che venivano fatte negli anni ’80 vanno capovolte: la storia, si diceva allora, è scarsa, senza una vera trama e senza quel rigore che ci si aspetta dal genere fantasy o fantascientifico; il disegno, invece, è superbo. A ben guardare, invece, il disegno è solo “bello a vedersi” ma, da un punto di vista fumettistico, risente pesantemente dei trascorsi di Segrelles: le sue vignette sono statiche, del tutto prive di movimento, e le espressioni dei personaggi praticamente sempre uguali, che siano in punto di morte o intenti in conversazioni oziose. Le vignette sono più che altro illustrazioni, e il disegno eccelle veramente solo nella raffigurazione degli animali e di alcuni macchinari, più che altro armi e astronavi. Le storie, viceversa, non sono affatto scadenti e mostrano – tutte – trame così articolate da non essere immuni da contraddizioni e “plot holes”. Semmai, l’esito di molte vicende è un po’ troppo prevedibile: i soliti salvataggi all’ultimo istante, i cattivi creduti morti e invece sopravvissuti, i mostri che spuntano fuori nel momento peggiore. Mancano i colpi di scena “veri”, ma quella di mischiare la fantascienza col thriller e i suoi espedienti narrativi è una moda relativamente recente. Quello che manca, soprattutto – è qui che la serie si allontana davvero dall’eccellenza – è una caratterizzazione efficace e credibile dei protagonisti. Il Mercenario è coraggioso, audace, abile con le armi, leale: la dotazione standard di ogni eroe che si rispetti. Ma è un personaggio stereotipato, privo di nome ma anche di personalità, tanto è vero che nulla si conosce del suo passato. E nonostante le occasioni non gli manchino non ha mai una storia d’amore con le numerose donne che incontra (Dylan Dog non aveva ancora fatto scuola), neanche con la “collega” Nan-Tay (se si esclude un rapido e casto bacio nella seconda storia breve de “Il viaggio”). Questa, a sua volta, è ancora più scialba del protagonista e, se non fosse per le non poche volte in cui viene disegnata nuda (ma senza traccia di erotismo), verrebbe quasi da chiedersi se davvero sia una donna; ben più interessante la giovane Ky, dotata di un bel caratterino e di una insolità capacità di mettersi nei guai (ma anche di tirarne fuori gli amici). Non male il villain della serie, l’alchimista Claust, per quanto a sua volta stereotipato e intento solo a organizzare vendette e ad aumentare il suo potere. Dimenticabili tutti gli altri, anche se qualcuno dei personaggi minori (per esempio Wor, il piccolo principe dei Worwoks) si ricorda con piacere.

Fatalmente, il Mercenario verrà ricordato per le sue vignette a olio che, specialmente in certe copertine, fanno davvero un’impressione molto particolare. Se la serie fosse continuata, allargandosi gradatamente a forme di fantascienza più “hard”, oggi si parlerebbe di un autore con molte chances di approdare a Hollywood. Segrelles, invece, ha dovuto accontentarsi dell’apprezzamento di Federico Fellini; per lui il fumetto è stato un esperimento, un modo di coniugare la sua abilità di disegnatore e la passione per le storie pubblicate dalla sua casa editrice.
E noialtri appassionati? Avremo altre occasioni. Anche se le serie a fumetti – anche non di fantascienza – che si meritano la sufficienza non sono così tante. E il Mercenario, se non altro, ci arriva senza problemi.